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mercoledì 27 aprile 2016

Ritornare

Palazzoni alti, sporchi e anneriti come il viso di un minatore. Lavatrici sui balconi. Inferriate alle finestre. Strade brulicanti di una vita che hai quasi paura ti travolga. Auto che zigzagano nel traffico con la disinvoltura di chi non vede gli altri, ma solo il proprio obiettivo.
Un autobus che stranamente non si fa attendere e che ti accoglie spazioso. Odore di pelle, di unto, di gente. Strade e semafori. Palazzine liberty dalle facciate color pastello che sembrano appena dipinte. Fregi e telamoni candidi e bei cortili curati, con quel verde che oscilla dai muri di cinta e ti fa domandare come sia la vita là dietro, che quella nei palazzoni l'hai conosciuta fin troppo bene.
E poi il centro. Che nonostante il cielo grigio, il caos e tante altre brutte cose, ha una bellezza irriducibile, testimoniata da una folla variopinta che in veste di turista, ospite o abitante lo riempie di vita.
Un'umanità che ti rapisce, stupisce e respinge nello stesso tempo. Capelli rasta e viola, teste rasate e ipertricotiche, tatuaggi e piercing, abiti dark ed emo, sneakers, gonne lunghe, veli e shorts. Qui la normalità non è a senso unico e chi osa, in fondo sa di rischiare di confondersi nella folla. Tante nazionalità tutte insieme e soprattutto giovani. Perché per loro è più facile digerire l'impatto con questa città.
Una bolla di sapone che si staglia gigantesca tra l'obelisco e il cielo grigioazzurro del tramonto e ti ricorda come, pur con tutti i suoi difetti, questo luogo custodisca un fascino che si risveglia a ogni sanpietrino calpestato.
Manifesti e cartelloni elettorali che occhieggiano dai palazzoni e dagli autobus, per avvisarti che qui le regole si rispettano. Che c'è bisogno di decoro. E che i cittadini devono sentirsi liberi. Di girare la sera sicuri come di sgomberare un campo Rom. E vorresti sapere cosa ne pensano gli stranieri di questi slogan. Forse credono che sia uno scherzo, o forse che lì devono essere messi molto male. O tutte e due le cose.
Ho vissuto dieci anni a Roma e senza accorgermene sono passati dieci anni da quando non ci vivo più. Tornare fa sempre uno strano effetto, lì per lì ti sembra strano che la città sia andata avanti senza di te. Ma sai bene che non è vero, a Roma nessuno è indispensabile. Roma è un'amante bella e cinica, e non puoi fare altro che ammirarla nostalgico dal finestrino di un bus. E ringraziare per essere sfuggito alla sua malia. 

mercoledì 20 aprile 2016

Quando una mamma si ammala

Quando un papà si ammala, la vita in casa continua senza scossoni intorno a quello strano soprammobile che giace inerte sul divano. I bambini vanno a scuola adeguatamente vestiti, pettinati e con i denti profumati. Le attività pomeridiane si svolgono come da copione, sport, inglese, feste di compleanno, e i compiti vengono portati a termine senza particolari intoppi.
I pasti sono regolari, seguono una dieta varia e bilanciata e si compongono, come sempre, di un primo, un secondo, la frutta e, a cena, anche di un dolcetto.
La lavatrice segue la sua tabella di marcia, producendo bucati a ritmo regolare, in casa regna un moderato ordine interrotto, di tanto in tanto, da qualche sprazzo di infantile disordine. Insomma, tutto va come deve andare.
Quando la mamma si ammala...
Quando la mamma si ammala, intanto bisogna definire la malattia, che un semplice raffreddore o qualche linea di febbre da sola non giustificano la diagnosi (e la conseguente messa a riposo). Per godere del diritto alla malattia, una mamma deve avere almeno febbre, placche, ossa rotte e lacrimazione ininterrotta e incontrollabile che nemmeno quando ha visto al cinema "Nemicheamiche".
Quando una mamma si ammala, quindi, succede di tutto. I bambini si aggirano spettinati, con l'alito fetente e con abbigliamento inappropriato. Le felpe sono indossate al contrario e a ginnastica ci andrebbero con pantaloni con le tasche e cardigan se la madre, febbricitante, non urlasse dal suo letto di indossare una tuta. E qui partono le reazioni isteriche all'idea di doverla cercare, perché dove mai, in una casa, si potrà tenere una tuta?
Quando una mamma si ammala le attività pomeridiane vengono saltate a piè pari, e come presentarsi alle feste se nessuno si è ricordato di comprare un regalo? Non parliamo dei compiti. Pare sia impossibile sedersi a studiare senza la presenza di una signorina Rottermaier a ricordare i propri doveri.
I pasti si compongono spesso di piatti freddi, pane, prosciutto, formaggio, a meno che non intervengano i nonni materni con pietanze di rinforzo. La frutta più consumata è la banana e tutto questo nonostante frigo e freezer rigurgitino di cibarie.
La lavatrice entra in ferie e il cesto del bucato diventa obeso poiché il papà si è sempre rifiutato di imparare come fare una lavatrice, quasi che questo elettrodomestico abbia poteri devirilizzanti. Posso però assicurare che imparare a riavviare una caldaia, portare la macchina a fare il tagliando o montare i mobili Ikea, non rendono una donna una virago né le conferiscono autorevolezza in materia idraulica, automobilistica o tecnica. In ogni caso la mamma potrebbe sempre decidere di alzarsi e caricare una lavatrice, tutto ciò, però, a suo rischio e pericolo perché potrebbe perdere d'amblè il diritto alla malattia. O potrebbe impazzire vedendo il caos che regna sovrano in sua assenza.
Non bastano TUTTI i giocattoli disseminati per la casa, i minuscoli Lego sparsi ovunque, i pastelli buttati sulle coperte bianche, i libri ammucchiati su ogni superficie. In più si registrano strane anomalie: una spazzola per le scarpe tra i giochi dei bambini, un portacarte rovesciato sulla scrivania del computer, cinque sei giubbotti da bambino tirati fuori per un'uscita di pochi minuti.
Quando una mamma si ammala la testa le gira due volte. La prima è per la febbre, la seconda è perché tutto, intorno a lei, va al contrario.

Questo post non è ipotetico, supposto o paradossale, ma frutto di esperienze provate.