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lunedì 13 aprile 2015

I (lavoratori) sommersi e i salvati

Qualche giorno fa abbiamo incontrato la moglie di un amico. Ci racconta, tra le altre, che ha cambiato lavoro, non insegna più nella scuola privata dove l'avevamo lasciata, ma in una pubblica. Sei contenta, chiediamo.
Certo, adesso la pagano!
Vien fuori che per sei anni ha lavorato senza vedere un soldo. Regolare contratto, con tanto di busta paga, ma tutto fittizio. Noi, che non sapevamo nulla, restiamo basiti. Ha accettato, ci spiega, per avere punteggio, così che adesso è potuta rientrare nelle graduatorie della scuola pubblica. In alternativa avrebbe potuto fare domanda per insegnare nel Nord Italia. Lì avrebbe avuto un lavoro "normale", solo che non se l'era sentita di lasciare il marito, che lavora qui, e il figlio che all'epoca era appena nato.


Oggi, nelle scuole pubbliche frequentate dai miei figli, c'era assemblea sindacale. Alle 9.30.
I diritti dei lavoratori sono sacrosanti, ma questa assemblea, messa di lunedì, a solo un'ora dall'inizio delle lezioni, su di me ha avuto l'effetto di un cece bloccato nell'esofago. Non mi è andata giù.
Alla materna, quando ho lasciato la Lolla, mi hanno chiesto se mi ricordassi che alle 9.30 dovevo riprenderla (come a dire, che l'hai portata a fare?).
Ieie, quando gli ho spiegato dell'assemblea, mi ha risposto "Mettetevi d'accordo. La maestra ha detto che c'era lo sciopero".
Ecco, avrei gradito che sul foglietto, invece dell'avviso di assemblea, mi avessero scritto "Lunedì non portate i vostri figli a scuola. Grazie".


Penso a queste due storie e mi viene un senso di amarezza. Tutte le riforme di questo mondo non salveranno l'Italia, finché a lavoratori ben tutelati si affiancheranno, nell'indifferenza delle istituzioni, nuove forme di schiavismo. O ci sono regole valide per tutti, o qui si implode.

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