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martedì 21 luglio 2015

Una cosa divertente che non farò mai più

Ci sono libri che suscitano reazioni contrastanti e Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace, rientra a pieno titolo in questa categoria. Non parlo delle reazioni del pubblico e della critica, che peraltro non conosco, ma di quelle prodotte sulla sottoscritta. Iniziato con entusiasmo per il tono puntiglioso e canzonatorio, nonché per un uso del lessico chiaro, immediato, ma mai banale, continuato con un po' di perplessità e a tratti di noia, finito col botto, perché il capitolo conclusivo, quello più lungo, è a mio giudizio la vera chicca del libro, la parte più divertente.
Nel 1995 la rivista Harper's commissiona a Wallace, sull'onda del successo di un suo analogo lavoro in tema di fiere locali, un reportage sulle crociere di lusso nei Caraibi. Una cosa divertente che non farò mai più nasce proprio da questa richiesta e racconta una settimana a bordo della Zenith, di prorietà della Celebrity  Crociere, analizzando gli sprechi, le contraddizioni, le esagerazioni di quel "micro" (si fa per dire, visti i numeri da capogiro di questi natanti) mondo che sono le navi da crociera, analizzate con l'occhio serio e disincantanto del giornalista Wallace, che, da bravo reporter, basa ogni commento su cifre, documenti e resoconti dettagliati, rendendo il racconto denso di humor, grottesco e a tratti assurdo.
Trattandosi appunto di un reportage, non c'è una trama vera e propria, la narrazione si dipana prendendo in considerazione le varie esperienze a bordo della nave. Si va dalla descrizione degli ambienti in perpetuo lifting, al cibo che, come sa chiunque conosca un minimo le navi da crociera, scandisce con opulenza le ore a bordo; dall'eccesso di zelo nel servire gli ospiti, alla rigida divisione in caste dell'equipaggio; dalla descrizione del crocierista tipo, al ritmo incalzante delle attività a bordo che non devono mai farti sentire inoccupato.
Wallace ammalia innanzitutto per il suo modo di scrivere, che trasuda intelligenza e acume senza mai sconfinare nella presunzione. E' un vero cesellatore delle parole, ha trovate brillanti (il té formale in finto smoking ha dell'incredibile), riflessioni pungenti, eppure in alcuni punti del libro devo ammettere che ho provato un senso di stanchezza. Ho trovato alcune riflessioni un po' scontate (penso alla parte in cui Wallace si chiede come fanno gli inservienti a sapere quando la cabina è libera e a riordinarla ogni volta prima che l'ospite ritorni, ecco dopo tanto parlarne mi sarei aspettata una risposta, visto che a suo tempo il dubbio me l'ero posto anch'io senza risolverlo) altre eccessive. Mi riferisco in particolare all'insistenza con cui l'autore parla della promessa di divertimento, felicità e relax fatta dalle compagnie di crociera: le attività a bordo ti devono far sentire vivo, liberando la tua esistenza dalle contingenze; i depliant costruiscono il sogno della vacanza così che il viaggiatore non deve fare nemmeno questo sforzo; tutto è volto a viziare il crocierista che non avrà altra scelta se non divertirsi al punto che "l'opzione della fatica del divertimento non promette tanto il superamento del terrore della morte quanto piuttosto di allontanarlo per un po' di tempo" fino all'assunto che in crociera "veniamo coinvolti con abilità proprio nella costruzione di svariate fantasie di trionfo sulla morte e sulla decadenza".
Ecco, posso dirlo?, a questo punto mi è sembrato un po' eccessivo. Perché io in crociera ci sono stata, e mi sono immedesimata nelle disavventure di Wallace e ho riso a molte delle sue trovate, ma questo approccio metafisico proprio non sono riuscita a condividerlo.
Preferisco il Wallace che prende in giro gli ufficiali impomatati con l'espressione di chi è sempre pronto a farsi immortalare, quello che irride la smania di fotografare del turista moderno o che non può sgranchirsi le gambe perché gli addetti alla piscina mettono a lavare il telo mare ogni volta che si alza dalla sdraio.
Quello per cui, in definitiva, vale la pena leggere questo libro.

Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace, Minimum fax, trad. di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo

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