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giovedì 17 settembre 2015

I sette peccati di Hollywood

Nel 1956 Oriana Fallaci si recò a Los Angeles come inviata dell'Europeo per un reportage dal titolo "Hollywood dal buco della serratura". Da quell'inchiesta, tre anni dopo, nacque "I sette peccati di Hollywood", il primo approccio della giornalista alla letteratura, in cui, con un linguaggio, un'ironia e un acume che non dimostrano gli oltre cinquant'anni trascorsi, la Fallaci diede prova delle sue capacità di scrittrice.
Raccontando i retroscena dorati della vita delle star Hollywoodiane, il libro rappresenta un'ottima lettura estiva, fresca e divertente, ma sbaglia chi pensa di trovarvi un antesignano del gossip moderno. La Fallaci, infatti, da brava giornalista rifugge i pettegolezzi, le voci di corridoio, i "si dice". I suoi resoconti  si basano su interviste, colloqui, incontri con i diretti interessati. Frequentò première, feste a Beverly Hills, case, piscine, camerini dei divi di una Hollywood che, come racconta lei stessa, era sul viale del tramonto. L'imporsi dei produttori indipendenti e l'insofferenza di molti attori e registi per le major, avrebbe infatti scardinato quel mondo basato sul divismo. La Hollywood turistica di oggi, sebbene sia ancora la casa del cinema, vive per lo più del ricordo di quell'epoca d'oro, quell'epoca che la Fallaci ci racconta con uno sguardo ironico e disincantato, quasi a squarciare il velo dorato che lo ammantava. 
Scopriamo così la storia della bambina Judy Garland, rapita alla sua fanciullezza e consegnata a un destino di pillole e sofferenza; di Kim Novak, la star costruita a tavolino come una campagna pubblicitaria per il lancio della nuova 500; di Jayne Mansfield, la ragazza, secondo la Fallaci, "più simpatica, più sincera e più criticata di Hollywood".
Quel che colpisce, come fa notare Maria Luisa Agnese, giornalista del Corriere della Sera, nella prefazione al libro, è come molte delle tendenze di quel mondo descritte dalla Fallaci, si siano poi diffuse non solo nel nostro più provinciale star system, ma anche nella vita quotidiana degli spettatori. Altre piccole, e grandi, manie, invece, fanno ancor oggi strabuzzare gli occhi.
Se, infine, il libro ci consegna racconti inediti di divi i cui nomi ancor oggi fanno parte dell'immaginario collettivo, dall'altra parte conserva ritratti di artisti la cui stella sì è nel tempo offuscata, al punto che in pochi ricordano chi siano. In un certo senso è come se la Fallacci ci abbia, inconsapevolmente, mostrato quanto questo mondo, con i suoi riflettori, i lustrini e il lusso, sia effimero.
Un discorso a parte meritano poi quegli attori che, all'epoca del reportage, erano all'apice della carriera e del successo e che, alcuni anni dopo, sarebbero morti in circostanze tragiche. Leggere di Montgomery Clift, di Elvis Presley o di William Holden come se fossero ancora vivi, ancora belli, dannati e inseguiti dalle fan, fa riflettere. Ricordando come si siano spenti, vien da pensare che a volte è meglio una piccola casetta in periferia di una mega villa a Beverly Hills.

I sette peccati di Hollywood di Oriana Fallaci, Bur Rizzoli

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