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lunedì 2 maggio 2016

Il sangue dei vinti

Non è stato facile portare a termine la lettura de Il sangue dei vinti, Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile. Quella sfilza di esecuzioni che ti si para davanti come un elenco senza fine, è un boccone duro da digerire. Non solo fucilazioni o impiccagioni punirono i fascisti, o presunti tali, all'indomani della Liberazione, ma miriadi di atrocità che spesso niente avevano a che fare con la vendetta per le angherie subite durante la dittatura mussoliniana né, tanto meno, con la voglia di giustizia.
E' risaputo che Giampaolo Pansa, nonostante la sua nota militanza a sinistra, abbia ricevuto molte accuse in seguito alla pubblicazione di questo libro. Una su tutte, quella di aver voluto fare del revisionismo, con storici titolati che l'hanno criticato per aver vestito panni che non gli competono. E tuttavia forse nessuno meglio di lui poteva affrontare questa ricerca, proprio perché non aveva interesse a fare del revisionismo. 
Nella sua analisi, che altro non è che un resoconto, parziale a suo dire, delle morti provocate dalla guerra civile seguita alla Liberazione, Pansa parte dal presupposto che in ogni guerra è normale che i vincitori si vendichino degli sconfitti, e i fascisti avevano molto da farsi perdonare, Ma si chiede anche se sia stato giusto, da parte dei vincitori, comportarsi come i fascisti e i nazisti, se avesse un senso "uccidere tante persone a guerra finita. Per lasciarsi alle spalle una scia di odio e di rancori che, dopo quasi sessant'anni, non si è ancora cancellata". Ed è proprio questa domanda a tormentare il lettore: qual è il punto in cui la giustizia lascia il posto alla vendetta? E ancora, da quali ceneri è sorta la democrazia che conosciamo?
Consumatesi spesso senza una condanna da parte di un tribunale legittimo, le esecuzioni post 25 aprile colpirono a volte nel mucchio, "bastava un sospetto, anche se non provato, per finire sottoterra". A Torino per esempio, toccò a un gruppo di donne che, per campare, lavorava alle mense tedesche; a quattro innocenti, tutti scambiati per il colonnello fascista Cabras; a una madre colpevole di avere un figlio diciassettenne nella Brigata nera. Mogli, genitori, fidanzate, figli di persone che a vario titolo erano legate al fascismo, uomini e donne la cui unica colpa era quella di avere avuto la tessera del partito, fecero la stessa fine di aguzzini, comandanti e spie. Non c'era pietà per nessuno, nemmeno per i bambini. Così, nel genovese, i partigiani che cercavano un colonnello delle Gnr, in mancanza del reo, trascinarono a morte la moglie e i due figli di 14 e 8 anni.
A pagare il prezzo maggiore, come sempre, le donne, alle quali toccava una sorte più crudele "lo stupro, la violenza sadica, l'umiliazione terribile di essere data in pasto alla gente inferocita, con la testa rapata e dipinta di rosso".
In Romagna, poi, l'idea che la rivoluzione comunista fosse imminente, portò a una vera e propria lotta di classe. Non erano solo i fascisti a finire ammazzati, ma anche preti, proprietari terrieri, imprenditori. A volte uomini che avevano aiutato i partigiani, o ex partigiani stessi, che non erano d'accordo sui metodi adottati o che potevano rappresentare scomodi testimoni.
Ma perché, si chiede Pansa, i partiti, che tramite le formazioni partigiane avevano combattuto contro i nazifascisti, non seppero tenere a freno la voglia smodata di vendetta?
Sicuramente tedeschi e fascisti avevano mostrato una ferocia particolare che gridava giustizia, ma, aggiunge Pansa, c'era anche il fatto che molte formazioni partigiane erano poco strutturate, così che singoli gruppi poterono agire senza controllo, in barba a vertici locali della Resistenza incapaci di far rispettare l'ordine e la legalità. Tuttavia è anche vero che, con la vittoria alle porte, nelle formazioni partigiane entrò "il fiotto della razzamaglia: avventurieri, disertori, profittatori, gente che aveva qualcosa da far dimenticare. A questa corsa non si opposero i partiti. Nell'imminenza della spartizione del potere, ciascuno cercava titoli da gettar sulla bilancia, per affermare la preminenza della propria parte...Su suggerimento dall'alto, i comandanti accettarono chiunque si presentasse". Si ripropone quindi il quesito iniziale. A ricostruire l'Italia contribuirono certo molti uomini, e politici, di buona volontà, ma è anche vero che i partiti, pur di fare numero, non guardarono in faccia ai propri sostenitori, né alle loro intenzioni. Un viziaccio tutto italiano ancora presente nel Dna della nostra politica.

Il sangue dei vinti, Giampaolo Pansa, Pickwick

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