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giovedì 21 settembre 2017

Uno su mille ce la fa

Io li ammiro quei genitori pronti a sacrificare i loro fine settimana nell'erba di un campetto o sul cigolante linoleum di una palestra. Disponibili a condividere con i figli i sacrifici che l'agonismo comporta, a giustificare le ore di allenamento a scapito di altre attività. Veramente, li ammiro.
Quando invece, io, ogni volta che l'allenatore di mio figlio mi prospettava l'ennesima domenica in un palazzetto dall'aroma di sudore, alzavo gli occhi al cielo sentendomi dire "Perché, che dovete fare?".
Be', ecco. E' un giorno festivo, mio marito è, incredibilmente, libero, sono previsti 30° gradi, abbiamo il mare a due passi, insomma una combinazione di eventi più rara di un'eclissi solare, vedi un po' tu.
Ecco, questo è il mio rapporto con lo sport. Soprattutto con lo sport dei miei figli. Per carità, anch'io in giovinezza ho avuto le mie passioni, ho vissuto un anno incredibile all'insegna del campionato di pallavolo. Incredibile e stancante al punto da dover ricorrere, alla fine, a una cura di ferro che mi fece capire che l'agonismo ed io eravamo due mondi destinati a non incontrarsi.
Ma tant'è, è giusto che i bambini facciano sport, che si muovano, soprattutto che si divertano. Purtroppo quest'ultimo concetto non è tanto condiviso. Se per me l'attività sportiva dei miei figli deve essere un momento di apprendimento sì, ma specialmente di svago, la maggior parte delle scuole la pensa diversamente. Lasciamo stare che quello dello sport dei bambini è diventato un business da migliaia di euro dove la pratica in sé per sé è la parte più "economica", alla quale devi aggiungere visite mediche iperspecialistiche, divise, attrezzi, spese per saggi e dimostrazioni. Ma la verità è che ogni scuola non può chiamarsi tale se non partecipa a gare, manifestazioni sportive, tornei e chi più ne ha, più ne metta. Spesso il fine settimana. A volte la domenica mattina mooolto presto. Sempre sulle spalle di noi genitori che, tanto, cosa abbiamo di meglio da fare?
Così quando quest'anno la Lolla ha detto che non voleva più fare la ginnastica per bambini degli anni scorsi (economica, pratica, divertente), ma voleva darsi alla danza, ho avuto un momento di sconforto pensando ai soldi volatilizzati per lezioni, tutù, saggi, affitto teatri, trucco, parrucco e fioraio (non scherzo, sono discorsi che ho realmente sentito da mamme di piccole ballerine).
Dopo un giro tra scuole dove siamo state accolte da algide maestre con le pareti adorne di attestati che manco i chirurghi di Grey's anatomy, dritte come fusi e con l'approccio di una Rottermaier, dove ho appurato che "la danza è disciplina" (aspetta che forse preferisco arruolarla), che "raccogliere i capelli in uno chignon non è difficile, faremo un corso per le mamme" (risata inarcando la schiena come facesse un grand jeté), che una "coda di cavallo andrà bene finché i capelli della bambina cresceranno" (perché, ho forse detto che sarebbero cresciuti?), ho dirottato la Lolla verso una prova di ritmica, pensando che, per quanto sia anch'essa un'attività rigorosa, la maestra paziente e gentile di quel corso facesse più al caso nostro.
La bambina ne è uscita stravolta, con i capelli scarmigliati ("le mollette mi davano fastidio e me le sono tolte") e propensa a fare quello che faceva l'anno scorso, perché si cambiava spesso gioco, era divertente e aggiungo io, poteva parlare con le compagne, che per una come la Lolla, che già soffre a dover stare in silenzio per cinque ore e mezza sui banchi di scuola, è un grandissimo vantaggio.
E niente, si vede che non è ancora pronta per lo sport vero e proprio, o forse non ha ancora trovato quello che la appassiona, chissà, è ancora presto per saperlo. Quello che è certo è che per quanto ogni sport abbia le sue regole e necessiti di disciplina (per carità sono d'accordo), bisogna ricordarsi che i bambini sono bambini, che hanno bisogno soprattutto di giocare e stare in compagnia e che questo, insieme a fare del movimento, dovrebbe essere il fine della gran parte delle attività sportive a loro dirette. Perché, dopo tutto, di campioni in erba pronti al sacrificio ne vien fuori uno su mille.

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