Pare proprio di conoscerla quella valle, con le rovine del castello, il ruscello di un azzurro scintillante, le montagne che si stagliano bianche e Nuoro che appare in lontananza. E le canne, le canne che sussurrano a Efix parole rilasciate nel vento, le canne che sono come gli uomini, si piegano davanti alle intemperie della vita, si rialzano. A volte si spezzano.
Canne al vento è il romanzo più famoso di Grazia Deledda, scrittrice controversa, dalla produzione vastissima ma sulla quale la critica non ha espresso un'opinione unanime.
Eppure è stata una delle prime donne a vincere un premio Nobel per la letteratura e se sulle antologie delle scuole superiori le pagine dedicate (a buona ragione, per carità) a Pirandello, Quasimodo e Montale non si contano, Grazia viene relegata tra gli autori minori e spesso, come nel mio caso, nemmeno studiata.
Sarà per le opinioni della critica, perché la sua opera alla fine è imperniata sulla Sardegna o forse, semplicemente, perché era una donna, per di più di scarsa formazione culturale?
Per rispondere a questi interrogativi e per colmare le mie lacune sulla Deledda e sulla sua isola, ho deciso di immergermi nella storia di Efix, umile e anziano servitore, che ha passato la vita coltivando il poderetto delle sue tre padrone, Ruth, Ester e Noemi. Bersaglio delle battute dei compaesani che non comprendono la fedeltà con cui accudisce le nobildonne decadute, incapaci di retribuirlo adeguatamente, Efix sopporta anche questo fardello con la stessa mansuetudine con cui ha accettato tutte le miserie della sua vita.
Sarà l'arrivo del nipote delle donne, Giacinto, cresciuto lontano dalla famiglia, sul continente, e figlio di una quarta sorella scappata di casa, a riaprire vecchie ferite, a spiegare i misteri di Efix e a scombussolare il monotono tran tran di esistenze condotte su ritmi antichi e immutabili.
Per noi lettori moderni Canne al vento può forse rappresentare un mondo sorpassato e difficile da apprezzare o comprendere, eppure, anche se non conosco la Sardegna, leggerlo mi ha aiutata a comprendere questa terra. La Deledda, poi, è maestra nel rendere perfettamente l'atmosfera rude e assieme dolce dell'isola. Le sue descrizioni sono impregnate di lirismo, sprigionano luce e bellezza e dipingono un territorio dove religione e credenze, colori e suggestioni si incontrano per dare vita a un mondo a parte rispetto al "continente".
Fatti salvi i capitoli finali, più cupi e difficili da digerire, ho apprezzato molto questo romanzo che mi ha fatto venire una gran voglia di visitare la Sardegna. Ho come l'impressione che nonostante un bel po' di anni siano passati dall'uscita di Canne al vento, sia ancora possibile rintracciarvi quelle atmosfere e quei luoghi protagonisti del romanzo.
Canne al vento, Grazia Deledda, Giunti Demetra
Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma
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Mi hai davvero stuzzicato... Conosco solo di nome la Deledda, non ho mai letto nulla di suo, ma questa tua recensione mi ha fatto nascere la curiosità di provare ad entrare in questo mondo che è passato ma di certo rappresenta la radice del presente, in una terra bellissima e particolare come quella sarda che io ho visitato solo una volta tanti anni fa e dove vorrei tornare.
RispondiEliminaSe ti va da me c'è un premio, una contest per chi ama la lettura e ci si può divertire a rispondere alle 7 domande proposte. Io l'ho lasciato a disposizione di chiunque tra i miei amici blogger lettori accaniti desideri partecipare :)
Ciao Maris, leggo adesso, ma sono già passata dal tuo blog e ho visto il contest di cui parli, è davvero una tentazione per noi lettori, appena ho un po' di tempo mi riprometto di partecipare :)
EliminaPer quanto riguarda la Deledda, penso sia bello sapere che ci sono ancora tanti autori "nuovi" che aspettano solo di essere scoperti. Ogni tanto mi scoraggio pensando a quanto ancora non ho letto, ma la verità è che un mondo di soli libri già letti sarebbe infinitamente più triste.