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giovedì 9 luglio 2020

E se la scuola non riaprisse?

La settimana scorsa, sul blog nonsolomamma una lettrice italiana che vive in Francia parlando della riapertura delle scuole Oltralpe scriveva: "in questo Paese il diritto allo studio è essenziale, culturale".
Tempo qualche giorno e al Tg mi imbatto in un parlamentare che, elencando i meriti del nostro Governo, annovera tra questi il fatto di aver riaperto le scuole.
Ora. Sarò anche puntigliosa e rompiscatole, ma a me sembra che finora non sia stato riaperto un bel niente (se pensiamo poi che nella mia Regione, la Puglia, la fantomatica data del 14 settembre è già slittata al 24, io la riapertura la vedo col lanternino), ma che addirittura il Governo si glori di aver riaperto le scuole, mi sembra la dica lunga su come invece da noi l'istruzione non sia considerata neppure un diritto.
Devo essere sincera: avrei voluto vedere gli insegnanti invadere le piazze chiedendo offesi di poter fare degnamente il proprio lavoro, invece ho letto solo messaggini smielati, tutti intrisi di "ci mancate, speriamo di rivederci presto". Poi però siamo state noi mamme, sia nella scuola media di città di Ieie, che nella primaria della Lolla qui al paesello, a pretendere le lezioni on line che le presidi erano restie a concedere (già una concessione, proprio come la riapertura delle scuole, sarà un caso?). 
Viviamo in un paese di 2.400 abitanti, bene o male ci si conosce tutti, le maestre vivono per la maggioranza qui e i loro figli giocano con i miei nei guardini della scuola sin da quando sono stati riaperti. Mi sarei aspettata che, almeno per le pagelle, o terminate le "lezioni", le maestre proponessero ai bambini di incontrarsi in quei giardini (cosa che per altro in città hanno fatto tante altre insegnanti, per lo più di scuole private). Invece no, ligi alle regole fino alla fine. Una squallida scheda on line che la Lolla ha disdegnato al punto che il giorno dopo neanche ricordava più che voti avesse preso.
C'è un disegno dietro questa sciatteria delle politiche dell'istruzione?
Io so una cosa. Da quando, a settembre, Ieie ha avuto il suo cellulare, gli abbiamo imposto orari (un tempo massimo per ogni giorno, che generalmente non esauriva mai) e regole (no al telefono mentre si studia). Tutto è andato bene fino al lockdown, ma da lì in poi non s'è capito più nulla. Intanto come si fa a vietare l'uso del telefono durante lo studio, se i compiti stanno sul telefono? E come limitare le ore di utilizzo, se per seguire le lezioni serve lo smartphone (purtroppo il nostro Pc e tablet si sono rivelati troppo vecchi per le applicazioni necessarie)? Certo, è anche vero che a volte Ieie diceva di aver bisogno del telefono per seguire la lezione e poi lo trovavo a seguire YouTube, ma, si sa, l'occasione fa l'uomo ladro, né si può pretendere che un genitore piantoni i propri figli come una guardia carceraria.
Quello che posso dire è che da marzo in poi, senza scuola, amici, attività sportive, corsi di musica e di lingua, il tempo libero di Ieie si è moltiplicato e non ha trovato di meglio che riempirlo con gli schermi, che fossero della Tv o del cellulare poco importa, imbesuendosi davanti a partite di Fortnite o video di TikTok. Se la scuola non dovesse riaprire ho il terrore di quello che potrebbe succedere a lui, come alla maggior parte dei ragazzi.
Istruirli dovrebbe essere una priorità per tutti...e se invece una pletora di ignoranti persi dietro a uno schermo fosse, per chi ci governa, molto più comoda e gestibile?
Mi viene in mente proprio un capitolo di storia che ho spiegato qualche mese fa a Ieie, quello sulla nascita dei comuni e della borghesia quel ceto che, sebbene non ricco come i signori, aveva un minimo di istruzione, sapeva leggere, scrivere, far di conto, e svolgeva lavori che necessitavano di competenze e specializzazione. Questo li rendeva meno ricattabili dei poveri contadini e, soprattutto, più propensi a far valere i loro diritti contro i soprusi dei signori feudali.
Di pari passo, in quello stesso periodo, nacquero le università, la prima a casa di un certo Irnerio, a Bologna, dove egli insegnava diritto a un gruppo di giovani. Neanche a dirlo, i signori e la Chiesa cercarono di ostacolare questa diffusione del sapere che vedevano come un limite all'esercizio del loro smisurato potere.
Ecco, ricordiamocelo sempre, a cosa serve l'istruzione, e a quanta strada hanno fatto i nostri antenati affinché questo diritto fosse per tutti.
Perché è vero che la storia è fatta di corsi e ricorsi, ma ci sono battaglie che non possiamo rischiare di dover ripetere. Ne va dei nostri ragazzi, ma anche del futuro del Paese.

lunedì 6 luglio 2020

A chi giova lo smart working?

In epoca di Covid tutto ciò che può essere fatto in modalità smart, ovvero a distanza, è fortemente consigliato. E' così che stamattina, invece di prendere appuntamento e andare in loco, ho trascorso qualche ora al telefono di casa con la banca per svolgere alcune operazioni. Ovviamente in quel lasso di tempo tutt'altro che breve, hanno suonato due volte al citofono e ho ricevuto tre chiamate sul cellulare. Per fortuna non siamo più in tempi di Dad homeschooling, altrimenti avrei dovuto anche aiutare i bambini a districarsi con i compiti assegnati-e-mai-spiegati, e loro si sono autointrattenuti per un bel po' (finché non li ho sentiti prendersi a botte as usual), ma più di una volta  sono stata sul punto di scoppiare pensando che non è proprio possibile fare certe cosa da casa.
Ora. Negli ultimi tempi, parlando con amiche che lavorano chi nel pubblico, chi nel privato, ho ricevuto spesso sempre pareri positivi sullo smart working al punto che nessuna vuole ritornare dietro la scrivania. A parte una che lavora a Milano, però, nessuna ha addotto come motivo la paura del contagio, bensì la comodità di lavorare da casa, magari in pigiama, la possibilità di evitare i colleghi e/o un ambiente lavorativo tutt'altro che piacevole. Va detto che hanno tutte bimbi molto più piccoli dei miei e mi parlavano sempre e comunque con un sottofondo che andava dal pianto del neonato, a una vocina che chiedeva di fare un disegno.
Delle due, quindi, l'una: o le persone che fanno smart working svolgono lavori poco impegnativi oppure non lavorano affatto.
Perché se io che non dovevo lavorare, ma solo fare delle semplici operazioni tramite Pc sotto la guida di una consulente della banca ho sentito tutto il peso del fatto di non avere un luogo tranquillo dal quale operare, tanto più questo dovrebbe valere per chi invece ha da lavorà e si ritrova (oltre a postini, vicini di casa, corrieri e telefoni vari a rompere la concentrazione) anche pargoli sotto i sei anni da tenere sott'occhio. Ditemi un po', ma come si fa?
La prova del nove alla mia tesi me l'ha data recentemente l'Inps. Anche quest'anno mio padre non ha ricevuto le credenziali per scaricare il Cud via Internet. L'anno scorso si risolse andando direttamente alla sede Inps provinciale, ma quest'anno è chiusa al pubblico, causa Covid. Il commercialista se n'è lavato le mani dandoci un numero di telefono al quale rispondeva una voce elettronica di nessun aiuto. Per una botta di fortuna sono riuscita a risolvere all'italica maniera, ovvero chiedendo un favore al genitore di un amichetto di mia figlia che, per puro caso, ho scoperto lavorasse proprio all'Inps. Così, tramite conoscenze, e la gentilezza di questa persona va aggiunto, sono riuscita a ottenere un qualcosa che lo Stato era obbligato a fornirci, ma che non saremmo mai riusciti a ottenere proprio per via del fantomatico smart working.
Da qui la domanda. Ma quando il Governo prevede di lasciare il 50% dei dipendenti pubblici in smart working, è consapevole di quel che sta facendo? O forse è un modo elegante e veloce per dimostrare che in fondo si può fare a meno di gran parte del personale della pubblica amministrazione?
Non molti giorni fa, il sindaco di Milano Sala ha lanciato un monito ai lavoratori in smart working, invitandoli a tornare al lavoro e presidiare le scrivanie, perché a suo parere a breve le aziende daranno via a piani di efficientamento (leggi: tagli del personale). Che ci abbia visto giusto?

A proposito, ho preso appuntamento in banca. Dopo due ore al telefono e il sistema che andava continuamente in blocco ho chiesto disperata alla consulente di fissarmi un appuntamento. O così o prendevo a capocciate il Pc.