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lunedì 6 luglio 2020

A chi giova lo smart working?

In epoca di Covid tutto ciò che può essere fatto in modalità smart, ovvero a distanza, è fortemente consigliato. E' così che stamattina, invece di prendere appuntamento e andare in loco, ho trascorso qualche ora al telefono di casa con la banca per svolgere alcune operazioni. Ovviamente in quel lasso di tempo tutt'altro che breve, hanno suonato due volte al citofono e ho ricevuto tre chiamate sul cellulare. Per fortuna non siamo più in tempi di Dad homeschooling, altrimenti avrei dovuto anche aiutare i bambini a districarsi con i compiti assegnati-e-mai-spiegati, e loro si sono autointrattenuti per un bel po' (finché non li ho sentiti prendersi a botte as usual), ma più di una volta  sono stata sul punto di scoppiare pensando che non è proprio possibile fare certe cosa da casa.
Ora. Negli ultimi tempi, parlando con amiche che lavorano chi nel pubblico, chi nel privato, ho ricevuto spesso sempre pareri positivi sullo smart working al punto che nessuna vuole ritornare dietro la scrivania. A parte una che lavora a Milano, però, nessuna ha addotto come motivo la paura del contagio, bensì la comodità di lavorare da casa, magari in pigiama, la possibilità di evitare i colleghi e/o un ambiente lavorativo tutt'altro che piacevole. Va detto che hanno tutte bimbi molto più piccoli dei miei e mi parlavano sempre e comunque con un sottofondo che andava dal pianto del neonato, a una vocina che chiedeva di fare un disegno.
Delle due, quindi, l'una: o le persone che fanno smart working svolgono lavori poco impegnativi oppure non lavorano affatto.
Perché se io che non dovevo lavorare, ma solo fare delle semplici operazioni tramite Pc sotto la guida di una consulente della banca ho sentito tutto il peso del fatto di non avere un luogo tranquillo dal quale operare, tanto più questo dovrebbe valere per chi invece ha da lavorà e si ritrova (oltre a postini, vicini di casa, corrieri e telefoni vari a rompere la concentrazione) anche pargoli sotto i sei anni da tenere sott'occhio. Ditemi un po', ma come si fa?
La prova del nove alla mia tesi me l'ha data recentemente l'Inps. Anche quest'anno mio padre non ha ricevuto le credenziali per scaricare il Cud via Internet. L'anno scorso si risolse andando direttamente alla sede Inps provinciale, ma quest'anno è chiusa al pubblico, causa Covid. Il commercialista se n'è lavato le mani dandoci un numero di telefono al quale rispondeva una voce elettronica di nessun aiuto. Per una botta di fortuna sono riuscita a risolvere all'italica maniera, ovvero chiedendo un favore al genitore di un amichetto di mia figlia che, per puro caso, ho scoperto lavorasse proprio all'Inps. Così, tramite conoscenze, e la gentilezza di questa persona va aggiunto, sono riuscita a ottenere un qualcosa che lo Stato era obbligato a fornirci, ma che non saremmo mai riusciti a ottenere proprio per via del fantomatico smart working.
Da qui la domanda. Ma quando il Governo prevede di lasciare il 50% dei dipendenti pubblici in smart working, è consapevole di quel che sta facendo? O forse è un modo elegante e veloce per dimostrare che in fondo si può fare a meno di gran parte del personale della pubblica amministrazione?
Non molti giorni fa, il sindaco di Milano Sala ha lanciato un monito ai lavoratori in smart working, invitandoli a tornare al lavoro e presidiare le scrivanie, perché a suo parere a breve le aziende daranno via a piani di efficientamento (leggi: tagli del personale). Che ci abbia visto giusto?

A proposito, ho preso appuntamento in banca. Dopo due ore al telefono e il sistema che andava continuamente in blocco ho chiesto disperata alla consulente di fissarmi un appuntamento. O così o prendevo a capocciate il Pc. 

4 commenti:

  1. Uhhhh che post.
    C'è molto da dire, torno ah se torno...

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    1. E io ti aspetto perché sono stracuriosa di sentire che ne pensi...

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  2. È importante fare una premessa al tuo post.
    Lo smart working si è reso strettamente necessario nei tempi della pandemia, per ovvi rischi da contagio.
    Ora che, pare, il virus sia sotto controllo, piano piano dovremmo tutti ritornare alla normalità e riprendere la vita dell'ufficio. Anche io dopo due mesi di totale chiusura alterno giorni a casa e altri in ufficio. Fino a settembre quando torneremo alla normalità. Spero visto che qui in Lombardia non è che ne siamo del tutto fuori...
    Posso dirti che, ho ancora una paura fottuta di muovermi sui mezzi pubblici. Vivo a qualche chilometro da Milano e tutti i giorni devo prendere, treno, metro e tram. Questa è la mia vita da vent'anni. Consideriamo anche il tempo che si perde, di media, sono fuori casa circa 12 ore al giorno. A chi si trova nelle mie condizioni, lo sw ha giovato.
    In termini di sicurezza, in termini di tempo, in termini di ottimizzazione del lavoro. Anche in termini di tranquillità, perché rispetto all'ufficio, dove si è subissati di richieste e sei continuamente distratto, a casa davanti al tuo pc, è un percorso a due. Producendo in termini di qualità meglio che sul lavoro. E ti assicuro che il mio lavoro è impegnativo. Ovvio, posso parlare così perché, tra le mura domestiche, non avevo nessuno a "disturbarmi", ovvero figli. Ho esempi di colleghe che, lavoravano negli orari più insensati per portare avanti il programma e consegnare il lavoro nei tempi stabiliti. Noi abbiamo scadenze e obiettivi a cui far fronte, covid o non covid. Posso quindi testimoniare, che nel privato a me noto, si è lavorato e tanto. Nel pubblico, ho esempi di chi si è dato da fare in ogni caso e di chi invece, ha fatto poco e nulla. Ora però mi pare assurdo pensare che non si debbano riprendere i ritmi soliti. Ho notizie (lasciando perdere l'Inps presa ad esempio da te) che Comuni, AdE, Camere di Commercio ecc... continuino ad oltranza con lo sw. Addirittura, sui loro sportelli on-line alcune pratiche che prima si effettuavano presso i loro sportelli, previa abilitazione, il cliente deve svolgerla da solo. Siamo al delirio. Se gli uffici privati, hanno ripreso (parlando di Milano e Lombardia) le loro attività dal 18 maggio, io non capisco perché gli sportelli del pubblico debbano rimanere parzialmente chiusi, creando ulteriore disagio come se non ce ne fosse già abbastanza. Credo che Sala abbia visto giusto eccome: se lavori da casa e produci poco (ti assicuro che le aziende sono in grado di monitorare perfettamente lo svolgimento del lavoro anche da remoto) prima o poi si farà a a meno di parecchia gente. Ma sul pubblico ho poche speranze di tagli, quando mai è successo?
    Scusa la lungaggine...

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    1. Ciao Mariella, grazie per il tuo contributo. Mi pare che siamo sulla stessa lunghezza d'onda: è fuori di dubbio che lo smart working è stato necessario per frenare il contagio e penso anche che sia opportuno prolungarlo là dove la situazione presenta ancora margini di rischio (vedi Milano e Lombardia).
      Avendo lavorato a Roma in un ufficio che distava ben 13 km da casa, so anche quanto tempo si perda per andare al lavoro (nelle situazioni peggiori, tipo scioperi, piogge consistenti e manifestazioni, impiegavo anche due ore a tratta) e, poiché lavoravo in un'azienda privata, sono consapevole che lì se non produci non servi. Senza mezzi termini.
      Il problema, dal mio punto di vista, sta ahimè proprio nel pubblico (do per scontato che un'azienda privata che campa con quel che produce, farà dal suo meglio per andare avanti) che non solo è da noi sovvenzionato, ma dovrebbe essere anche al nostro servizio. Il caso dell'Inps per me è emblematico poiché si tratta di una struttura che ha a che fare con molti anziani e stranieri, categorie che hanno difficoltà con gli strumenti elettronici e con la lingua italiana. Ma potrei citarti anche gli uffici amministrativi della nostra Asl, dove già prima del lockdown parlare al telefono con un impiegato era impresa ardua perché c'era sempre qualcuno in ferie o in malattia. Adesso a quei numeri non risponde più nessuno. Se ci aggiungi che era complicato anche mandare o ricevere una mail da detti uffici (per motivi incomprensibili non trovavano mai la posta che gli avevi mandato) vien da chiedersi come facciano a fare lo sw.
      Se poi aggiungiamo che so di persone in sw che vanno al mare quasi ogni giorno, capisci il mio disappunto. Insomma la sensazione che ho guardandomi intorno, è che si lavori anche meno di prima e che stare a casa diventi un ulteriore diritto acquisito, irrevocabile. Il che non sarebbe un problema se non fosse che questo va a discapito dei nostri diritti, diritti che paghiamo profumatamente con le tasse.

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