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martedì 30 marzo 2021

Ahi serva Italia

 Il Dantedì ha contagiato anche la classe della Lolla, alla quale la maestra ha inviato via classroom una mappa dell'inferno dettando i nomi dei vari gironi.

Dopo la Dad.

"Mamma, ma Limbo si scrive elle apostrofo imbo?".
"No si scrive tutto attaccato".
"Ok e cosa c'entra col ballo?".
"Niente, il ballo è arrivato dopo e non so perché si chiami così, ma ai tempi di Dante non esisteva".
"Ok. Poi ci sono i lissiriosi?".
"No lussuriosi, da lussuria. Sai cosa significa?".
"No, la maestra ha detto di cercare sul vocabolario le parole che non conosciamo. Guarda gli altri cerchi e dimmi se sono corretti".
"Allora, questi non sono erefici, ma eretici".
"E gli erefici cosa sono?".
"Niente, gli erefici non esistono. E questi non si chiamano praudolenti, ma fraudolenti, da frode. Sai cos'è una frode?".
"No".
"Va bene, allora adesso cerca le parole che non conosci".

Qualche minuto dopo.

"Mamma ma sul vocabolario dice che prodigo siginifica generoso. Mica è una cosa brutta".
"E' vero, ma Dante, quando parlava di prodighi, intendeva persone che scialacquavano il denaro, lo sperperavano in cose inutili, non certo i generosi".
"Ah ok. Ma senti, perché pure i golosi sono all'inferno?".
"I golosi sono quelli che esagerano col cibo. Considera che ai tempi di Dante tanta gente faceva la fame, uno che mangiava per tre mentre il vicino di casa era digiuno, non era proprio una cosa bella".
"Quindi non intendeva quelli che sono golosi di qualcosa, cioè che gli piace un cibo in particolare?".
"No, tranquilla".

Le cose belle, penso, sono belle a qualsiasi età, per cui, in virtù del detto "semina che qualcosa resta" ben venga parlare della Divina Commedia anche agli scolari delle elementari. Certo, parlarne via Dad, con i bambini che già fanno fatica a capire le parole che conoscono, può essere un po' complicato.
Ci vorrebbe Dante a commento di questo tempo torbido in generale e della Dad in particolare, ma purtroppo non mi sovviene un verso del sommo adatto all'argomento.
Confido però che tra le migliaia di terzine della Comedìa, ce ne sia una (o più) adeguata all'occasione.

venerdì 26 marzo 2021

Sangue inquieto

 
Eccoli, finalmente, Robin Ellacott e Cormoran Strike, ci erano mancati come non mai. Dopo il loro ultimo successo investigativo, si trovano a gestire, da soci, un'agenzia molto quotata, con un discreto numero di collaboratori e, soprattutto, di casi. Se il lavoro dà soddisfazione, la vita privata langue. Robin deve affrontare il divorzio con un (ex) marito rancoroso e capriccioso, mentre Cormoran vede la zia che lo ha cresciuto come un figlio, consumarsi per un male incurabile.
Proprio durante una visita in Cornovaglia a zia Joan, Cormoran viene avvicinato da una donna che gli chiede di indagare sulla misteriosa scomparsa della madre, Margot Bamborough, avvenuta a Londra quasi quaranta anni prima. Affascinati dal loro primo cold case, Corm e Robin partono per un viaggio a ritroso nel tempo, ricostruendo l'ultima giornata della dottoressa nell'ambulatorio St John nell'ottobre del 1974.
Tra testimoni ormai morti e altri spariti nel nulla, i nostri si affidano anche ai rapporti stilati dall'ispettore all'epoca a capo delle indagini. Peccato che gli appunti di Talbot, poi sollevato dal caso per un esaurimento nervoso, sembrino più che altro i deliri mistici di un fanatico dell'astrologia; peccato, soprattutto, che fosse convinto che dietro la sparizione di Margot ci fosse Dennis Creed, un serial killer specializzato nel rapimento e omicidio di giovani donne, sulla cui colpevolezza scarseggiano prove sufficienti.
Così, in una Londra sempre splendida, schiaffeggiata dal vento e dalla pioggia, con le vetrine illuminate dalle lucine di Natale e gli alberi che si vestono del verde più fresco, nel giro di quattro stagioni la figura di Margot riprende vita in tutta la sua forza attraverso i racconti di chi l'ha conosciuta. Una ragazza splendida, di umili origini, ma in grado di sollevarsi dalla povertà grazie a un'instancabile voglia di lavorare. Una donna sempre pronta a combattere per le giuste cause, per questo, forse, oggetto di odii e invidie. Una dottoressa a un bivio della propria vita, provata dalla stanchezza, da un matrimonio non proprio felice, ma anche dalla voglia di far funzionare un ambiente lavorativo tutt'altro che idilliaco.
Scavando nel passato di amici, parenti e colleghi, Cormoran e Robin scoprono che più di uno poteva avere un motivo per desiderare la sparizione di Margot, ma si rendono conto anche che il loro rapporto lavorativo potrebbe prendere un sentiero pericoloso, sebbene, forse, desiderato.
Sangue inquieto è il capitolo cinque delle indagini di Cormoran Strike e Robin Ellacott. Un libro molto lungo, ma che non annoia mai, nonostante l'indagine sia spesso inframmezzata da incursioni nella vita privata dei due protagonisti con una frequenza maggiore rispetto ai volumi precedenti.
Il finale è spiazzante come al solito, anche se devo ammettere di esserci rimasta male, per motivi che non sono chiari nemmeno alla sottoscritta perché, come sempre, Galbraith aka Rowling, chiude ogni caso senza sbavature, ricostruendo un quadro preciso e coerente. Forse è perché la mole di piste e dettagli è davvero notevole da elaborare, forse perché gli indizi disseminati portano a sospettare diverse persone...tranne il vero colpevole.
Resta in ogni caso un libro che si legge con estremo piacere e che consiglio vivamente a chi, in questo periodo così pesante, ha bisogno di evadere altrove. La Londra di Robin e Cormoran vale sempre la pena.

Sangue inquieto di Robert Galbraith, Salani, traduzione di Valentina Daniele, Barbara Ronca, Laura Serra, Loredana Serratore

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma 

P.S.
Piccola nota di colore. Per avere un'idea dei luoghi dell'ambientazione, ho seguito Robin e Cormoran nelle loro peregrinazioni londinesi attraverso Google Maps. Mi ha fatto un po' effetto leggere, ad ogni pub, museo, chiesa o negozio, la dicitura "temporaneamente chiuso". Speriamo che a Londra, come ovunque, la vita possa riprendere per tutti e non solo per i personaggi di fantasia.

martedì 23 marzo 2021

Compleanno in lockdown 2.0

 E così sono dieci. Sarà il numero a due cifre, ma fa tanto grande. E così, per il secondo anno, ti ritrovi a festeggiare in lockdown, senza un qualcuno che non siano i genitori e il fratello.
Avrei voluto darti qualcosa di più, non una festa, vocabolo ormai cancellato dal nostro discorrere quotidiano dopo aver trascorso in solitudine Pasqua, Natale e quant'altro, ma almeno un'amica con cui scambiarsi un abbraccio o una visita dei nonni. Comunque, sarà che ormai siamo rodati, quest'anno il festeggiamento in solitaria è andato meglio. Niente scleri, forse perché non ho dovuto sostituirmi alle maestre e al pasticciere, e ho potuto essere semplicemente la mamma. E almeno la torta, l'hai avuta.
Sei cambiata tanto, in quest'ultimo anno, ma non so dire se le crisi nervose, le paure e le timidezze che ho visto affiorare nella mia bambina coraggiosa, sono solo il frutto dell'età che avanza, della ragazzina che piano piano emerge dal tuo corpo di bambina o delle privazioni che sei stata costretta a sopportare.
Una mini Lolla. A dire il vero io la vedo ancora così
Sei stata fin troppo brava, lo sai? Non te lo dico spesso, ma se guardo a questi mesi di giornate sempre uguali, di solitudine profonda, mi rendo conto di come li hai sopportati senza grandi lamentele. Proprio come quel tampone negativo per cui non hai versato neanche una lacrima, impostoti per la nostra paura di un semplice raffreddore e del quale hai temuto, in silenzio, più il verdetto che la procedura.
Lo so che questi mesi sono stati pesanti, io ti guardo e leggo nei tuoi gesti molto più di quanto racconti. E tu sei una che racconta tanto! L'ho capito quando ti sei consumata le sopracciglia a furia di sfregartele, l'ho compreso quando a un certo punto hai smesso di chiedermi di poter invitare le amichette a casa. L'ho intuito,  decifrato e temuto in ogni sguardo mesto, alzata di spalle o sorriso forzato.
Stai crescendo velocemente e mi si spezza il cuore perché quando anche la piccola di casa non sarà più tale, mi sembrerà conclusa una fase della mia vita. Intanto mi beo dei tuoi scampoli d'infanzia: la voce da Masha, le Barbie che hai voluto in regalo, il fatto che tu sia contenta di essere la figlia più piccola.
Vorrei poterti dire che l'anno prossimo sarà diverso, ma non mi piace fare promesse che non so se posso mantenere. Fammi tu una promessa, invece. Promettimi che conserverai la tua leggerezza e il sorriso con cui affronti ogni giornata. Promettimi di far sì che queste tue nuove timidezze non cancellino uno dei tuoi superpoteri: quella polvere magica che ti circonda e che attira l'affetto e la simpatia delle persone che incontri.

venerdì 5 marzo 2021

L'enigma della camera 622

 
Al Palace de Verbier manca la camera 622, Joël, famoso scrittore che si è rifugiato sulle Alpi svizzere per consolarsi da una delusione d'amore, ne rimane incuriosito e insieme a Scarlett, anche lei ospite dell'albergo, scoprono che anni prima in quella stanza c'è stato un omicidio irrisolto che ha riguardato un banchiere della prestigiosa banca Ebezner, proprio durante il weekend dell'elezione del presidente.
Dai tempi de La verità sul caso Harry Quebert ho scoperto che Joël Dicker o si ama o si odia e, avendolo io amato, fin da quando ho visto la copertina de L'enigma della camera 622 ho desiderato leggerlo.
Il romanzo, come spesso avviene nelle opere di Dicker, si snoda su più piani temporali. C'è Joël, alter ego dell'autore, che in una sorta di metalibro racconta di questa vacanza del 2018 che avrebbe dovuto sanare le ferite d'amore e il dolore per la scomparsa del suo editore e mentore, Bernard de Fallois, che è stato veramente l'editore di Dicker e al quale il libro è dedicato; ci sono Anastasia, Lev e Macaire nel weekend dell'omicidio e quindici anni prima quando, sempre al Palace de Verbier, in occasione di un'altra riunione della banca Ebezner, avevano fatto scelte che avevano cambiato, non sempre in bene, le loro vite.
Nel weekend dell'omicidio, Anastasia è pronta a lasciare il marito Macaire Ebezner che, in quanto unico erede della famiglia, spera di essere eletto nuovo presidente dell'omonima banca, anche se la sua nomina non è scontata: Lev, gestore patrimoniale della banca nonché amante di Anastasia, potrebbe essergli preferito da uno dei mebri del Cda, Sinior Tarnogol, desideroso di convincere gli altri consiglieri a puntare su Lev.
Del resto quindici anni prima, sempre al Palace, era stato proprio Macaire a rinunciare alle sue azioni della banca in favore di Tarnogol, suscitando le ire del padre Abel e facendosi di fatto escludere da una successione che fino a quel momento era stata indiscussa.
Joël dà le carte e ci lascia nel mistero. Fino a metà libro non sapremo chi è stato ucciso nella camera 622 e se all'inizio l'indagine dello scrittore e di Scarlett per risolvere l'omicidio ci pare andare avanti con troppa semplicità, poi la realtà degli eventi e dei personaggi, sui quali il lettore si era fatta una prima, ingannevole, opinione, comincia a ricomporsi in un prisma multisfaccettato e abbagliante.

"Cosa siamo capaci di fare per difendere le persone che amiamo? E' da questo che si misura il senso della nostra vita".

Non posso dire altro, se non che la soluzione arriva pian piano, una tessera dopo l'altra il puzzle si ricompone e la sensazione, man mano che l'autore ci consegna gli indizi, è che le cose dovevano andare proprio così. Una soluzione che combacia perfettamente, ma non è banale. I tre piani narrativi si ricompongono in un unico, coerente percorso fino a scivolare nel presente.
Bellissimo il finale che è, anche, un tributo a de Fallois, celebrato nel modo migliore che un editore possa desiderare, all'interno di un libro. Di un bel libro. 

La vita è un romanzo di cui già si conosce la fine: il protagonista muore. La cosa più importante, in fondo, non è come va a finire, ma in che modo ne riempiamo le pagine. Perché la vita, come un romanzo, deve essere un'avventura. E le avventure sono le vacanze della vita.

L'enigma della camera 622 di Joël Dicker, La nave di Teseo, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

martedì 2 marzo 2021

Orizzonti

 Ci sono momenti, la sera, in cui il cuore è leggero e la mente libera, compio i gesti quotidiani con la tranquillità di chi attende una nuova giornata. Sono momenti, perché d'un tratto un'ombra appesantisce l'animo. C'è il Covid, ti ricorda il cervello, come si fa ad essere felici?
Ci sono mattine in cui mi sveglio serena, la promessa di un giorno da riempire davanti a me, prima che la realtà mi schiaffeggi con il ricordo di una pandemia che detta le regole delle nostre giornate. Ce ne sono altre in cui apro gli occhi agitata da un sogno in cui qualcuno aveva dimenticato di indossare la mascherina, e nessuna illusione rende il risveglio più dolce.
Ci sono giorni in cui vorrei andare in letargo in attesa della primavera, quella vera.
È da un anno ormai che viviamo su questo ottovolante emotivo in cui le altezze durano un attimo, giusto il tempo di tirare il fiato e poi pensare che il tracollo è sempre dietro l'angolo. Non ci si può rilassare o provare gioia per un evento lieto, la tensione è massima: le brutte notizie sono dietro l'angolo, l'angoscia ci consuma nell'attesa del peggio. Lo sappiamo ogni volta che i messaggi si susseguono a raffica e scopriamo che la mattina dopo la scuola si farà a casa, ce lo diciamo quando salutiamo i nostri cari che vivono in un altro Comune, chiedendoci se un improvviso cambio di colore ci separerà da loro nuovamente. 
Non si fanno più programmi, di nessun tipo. Non si vive più. Rinchiusi in un eterno presente sempre uguale, nel quale è più facile provare tristezza che felicità.
Quanto si può vivere in questo modo, mi chiedo.
Ho rinunciato, se non a tutto, alla gran parte. Non è dei viaggi, della pizza o del cinema che ho rimpianti, per quanto mi manchino, posso sopportarlo. Ma mi pesa stare lontano dalle persone amate (È il mio cuore il paese più straziato). Lasciar scorrere il tempo senza poterlo impiegare come si deve. Perché, saranno i quaranta, ma dopo una certa età c'è la consapevolezza che il tempo è limitato, e questa risorsa noi la stiamo sprecando, ipotecando in attesa di un momento migliore che pare l'araba fenice (Che vi sia, ciascun lo dice; Dove sia, nessun lo sa) senza sapere quanto ancora ne abbiamo a disposizione.
Se ripenso al lockdown di un anno fa vado in apnea: la sola idea di ritornare al carcere di quei mesi, quando la polizia era dietro l'angolo a intimarti di tornare a casa, mi gela il sangue; quella stessa polizia che adesso che in paese sono ripresi i furti nelle abitazioni, non si trova neanche a pagarla.
Oggi ho letto un commento che mi è parso la sintesi perfetta dei miei pensieri: pensano alle poltrone e non ai vaccini. Ecco, è così che ci sentiamo. Stanchi di essere travolti da valanghe di progetti, di faremo e di ripartiremo. In attesa di essere allagati da cascate di vaccini che si dimostrano tuttalpiù un ruscelletto.
A noi questa fine ce l'hanno promessa, raccontata sin nei particolari, ma la verità è che le parole non si sono tradotte in nulla di minimamente visibile. Per quanto distante, vorremmo dare una sbirciata col binocolo all'agognata meta, renderci conto che esiste veramente. Perché per ora ci sentiamo come quelli che, nonostante tutti i sacrifici fatti, possono permettersi solo di sfogliare il catalogo dei viaggi.