Ricordo bene il nostro primo, vero, incontro. Indossavi quella tutina bianca e fucsia, decorata con due gattini sotto un ombrello che si riparano da una pioggia di cuori. I capelli neri, pettinati con la scrima, l'odore di alcol della medicazione e una vigilatrice gentile che, nonostante a quell'ora tu dovessi stare nella nursery, fece uno strappo alla regola per farci conoscere.
Ricordo di aver affondato il naso nel tuo collo, per aspirare l'odore buono di nuovo. Ricordo lo stupore nel rigirarmi le tue manine tra le mie. Potevano essere così piccole e perfette allo stesso tempo? Poteva un'unghia raggiungere una dimensione tanto ridotta? Poteva tutto ciò essere uscito da me?
E ricordo la punta dolorosa di un pensiero che si incuneò in quella felicità: questa probabilmente sarà la mia ultima prima volta con un neonato mio. A dire il vero, considerando com'era andato il primo parto, sarebbe stata anche la prima e ultima prima volta.
Quattro anni sono passati da allora e il rimpianto precoce si è affievolito. Non ci sono stati vuoti tra noi, ma solo pieni, momenti densi e vissuti intensamente. Come immaginavo, cominciano a delinearsi i primi scontri: tu pesti i piedi perché non accetti restrizioni, a me fuma il cervello per l'impossibilità di ragionare con la tua cocciutaggine e perché non riesco a leggere i tuoi capricci. Niente di speciale, tutto previsto.
Poi però torna il sole e all'improvviso, senza un apparente perché, ci perdiamo nei nostri abbracci, ci guardiamo, sorridiamo, e stiamo lì strette, strette come se non ci fosse altro da fare.
Domani festeggerai il tuo quarto compleanno, non vedi l'ora. Io posso solo stare qui ad osservarti e fare da testimone ai tuoi cambiamenti perché, anche se ai miei occhi sei sempre la piccola smorfiosa di casa, mi accorgo che la tua testa e il tuo corpo ti portano avanti, verso mete tutte da scoprire. Fa male ed è bello allo stesso tempo. Sto rinunciando ad avere una bimba, ansiosa di scoprire che ragazzina, e che donna, sarai.
Ecco allora che, per ricordarmi di te adesso, posso solo ringraziarti di quello che sei.
Grazie per esserci, innanzitutto. Grazie perché sei una sorella affettuosa, invadente e prepotente al punto giusto.
Grazie per le tue chiacchiere irrefrenabili che impediscono il silenzio; grazie per i disegni che svolazzano per tutta la casa; grazie per le tue risate che sono come biglie di vetro in caduta libera; grazie per la simpatia, le moine e le smorfie che elargisci con studiata generosità.
Grazie perché giochi da sola; grazie perché dormi da sola; perché sei autonoma, indipendente e coraggiosa. Grazie perché, anche quando confrontarti con gli altri ti mette a disagio, non ti lamenti e trovi la forza.
Grazie per come ti insinui fra le mie braccia al momento della buonanotte.
E anche se so che mi rende più difficile comprenderti, grazie per non assomigliarmi per niente.
Auguri.
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