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lunedì 1 febbraio 2016

Neve

Avevamo esultato quando, col primo vero freddo invernale, la neve era caduta copiosa. Avevamo consultato le webcam con cadenza quotidiana mentre, più o meno con la stessa frequenza, avevamo fatto visita alla Decathlon (santa subito per aver reso l'abbigliamento da montagna alla portata delle tasche meno fornite) provando e riprovando tenute a prova di freddo. Tutti, tranne la sottoscritta, equipaggiata con capi vintage anni '90 risalenti all'ultima settimana bianca fine settimana bianco della sua vita.
Cos'altro ci mancava? Avevamo prenotato proprio per i giorni della merla: la neve era assicurata.
Certo. Peccato che sabato giù da noi i termometri delle auto lasciate al sole segnassero 30° e che quest'anticipo di primavera avesse sciolto tutto lo scioglibile. Per fortuna siamo turisti di poche pretese e quando la neve non la vedi da una vita, o non l'hai mai vista, di sciare non te ne importa poi tanto: una scivolata con lo slittino e una battaglia a colpi di palle bastano per farti felice.
E' così che, nel fine settimana appena trascorso, siamo tornati sul Pollino con l'obiettivo di far vedere ai bambini quella neve finora conosciuta solo attraverso le magie di Elsa. Temevamo di tornarcene con le pive nel sacco, invece, proprio in quel piano Ruggio che a settembre riluceva di un verde fosforescente, abbiamo trovato una valle incantata dove, come per una magia di Frozen, si era conservato un mantello candido e intoccato.


Abbiamo anche montato le catene alla macchina (alla faccia di chi ci diceva che occorreva portarle solo per non farsi fare la multa, tanto non sarebbero servite), operazione tutt'altro che semplice per noi gente di pianura. Per fortuna che sulla strada si sono fermate altre auto intente alla stessa opera e, come spesso succede in questi momenti di comune difficoltà, ci si è dati una mano gli uni con gli altri. Prima un signore ci ha mostrato come fare, poi noi abbiamo aiutato i suoi amici che, senza catene, erano slittati sul ghiaccio.
Ma solo una volta ritrovatici al rifugio a mangiare panini, tra un "tie" e un pasticciotto, abbiamo capito di essere conterranei. E a quanto pare dovevamo esserci riforniti tutti allo stesso scaffale della Decathlon, che appena si trovava un guanto a terra non si sapeva di chi fosse, perché indossavamo tutti lo stesso modello.
Per il resto la mattinata è volata. Mentirei se dicessi che i più contenti sono stati i bambini: anche noi adulti eravamo entusiasti. Ci siamo rotolati, abbiamo zompato affondando nel bianco fino ai polpacci, scivolato sui pendii e tirato palle di neve senza vergogna. E ovviamente fatto un pupazzo "grande come Olaf", ha tenuto a specificare la Lolla.
Non abbiamo capito quanto tempo è trascorso: a noi sono sembrati pochi minuti, ma a un certo punto eravamo madidi e con le gote fucsia. E inaspettatamente affamati. Così abbiamo fatto rotta per il rifugio. E' stato allora che una sensazione dimenticata ha fatto capolino.
Quando, dopo aver camminato sulla neve, ritorni a percorrere il terreno normale e ti senti molleggiata, un po' come quando scendi dai tappeti elastici. Erano più di vent'anni che non mi capitava di provare una sensazione simile, ma appena successo mi è sembrata familiare. Allora forse andare sulla neve è come andare in bicicletta: non si dimentica mai.

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