In un'estate dei primi anni '90, quando avevo ***ici anni, nella casa del paesino trovai, tra i vecchi gialli Mondadori di mio zio, uno che catturò la mia attenzione. Si chiamava Il lago d'oro e recava nel tondo della copertina gialla, l'immagine di un cadavere accanto a un quadro. Al centro del mistero c'era appunto un dipinto, un tentativo di furto in una lussuosa villa e l'alone del sospetto che aleggiava fra i suoi facoltosi ospiti.
Non ricordo molto altro, se non che il libro mi prese molto, al punto da trascurare una mia amica ospite da me in quei giorni (e che comunque mi avrà perdonata se siamo ancora amiche).
Un po' di tempo è passato, mia madre ha fatto pulizia e i gialli Mondadori sono partiti per altri lidi, ma quel libro mi è rimasto in testa per anni finché, complice Google che oggi permette di dare corpo ai ricordi, sono andata a cercarne tracce. Al momento il titolo non è stato ristampato, tuttavia ho scoperto che il suo autore, John Dickson Carr, è stato un giallista assai prolifico del secolo scorso, tanto che, non potendo la sua case editrice dare alle stampe tutti i titoli che sfornava, usò lo pseudonimo Carter Dickson per pubblicare con la concorrenza.
Tutto questo per spiegare come sono approdata a I delitti della vedova rossa, un intricato giallo che si impernia sul tema della camera chiusa, argomento del quale pare che Carr fosse maestro.
La vicenda ruota attorno a una camera nell'antico palazzo di Lord Mantling, in una Londra degli anni '50, detta appunto della vedova rossa e sigillata da circa ottant'anni, dopo che varie persone vi avevano trovato la morte in circostanze misteriose, probabilmente avvelenate, dopo avervi passato una notte da soli.
Lord Mantling ed alcuni amici vogliono sfatare le voci sulla maledizione che graverebbe sulla camera e decidono di sfidare la sorte: chi pescherà la carta più alta passerà due ore chiuso nella stanza, mentre gli altri, fuori dall'unico accesso, si sincereranno della sua incolumità chiamandolo ogni mezz'ora.
Le carte scelgono l'artista Bender e la prova sembra filare liscia. Bender risponde a ogni chiamata e passate le due ore, quando la porta viene riaperta...è morto, avvelenato, probabilmente subito dopo essere entrato nella stanza.
Ma allora chi ha risposto? E chi gli ha iniettato il veleno mortale?
Ma, soprattutto, come mai la camera dopo essere stata chiusa per ottant'anni mostrava tracce di un recente accesso?
Per fortuna che tra gli ospiti di Lord Mantling c'è sir Henry Merrivale, famoso investigatore (va be', ok, io non lo conoscevo, ma nel libro ci sono parecchi accenni ai suoi precedenti successi investigativi). Sarà proprio lui a spiegare l'inspiegabile, in un giallo parecchio intricato, dove le congetture e le soluzioni (presunte) vanno e vengono con la velocità delle onde sulla sabbia.
Il libro è accattivante, per via dei suoi quesiti apparentemente insolubili, e questo trascina il lettore velocemente fino alla fine, tuttavia in alcuni passaggi ho avuto qualche difficoltà a seguirlo e la sensazione, confrontandolo con i gialli della Christie, è quella di un elaborato piatto di nouvelle cuisine a confronto con una semplice pasta e fagioli. Squisiti entrambi, ma manca quella linearità, quella semplicità, che ti fa percepire come tutto fosse così lapalissiano e ti fa contemporaneamente stupire di non esserci arrivato da solo.
Va dato atto a Dickson, comunque, della sua bravura nel creare "l'atmosfera", la nebbia di Londra e il vecchio palazzo hanno una forte impronta suggestiva e la storia alla base della camera della vedova rossa dà il giusto senso di malessere mescolando con sapienza fatti storici e di fantasia.
Il giudizio quindi, è positivo e non escludo di optare presto per un altro titolo a firma Dickson/Carr.
I delitti della vedova rossa di Carter Dickson, Polillo editore, traduzione di Giovanni Viganò
Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma
Il libro è accattivante, per via dei suoi quesiti apparentemente insolubili, e questo trascina il lettore velocemente fino alla fine, tuttavia in alcuni passaggi ho avuto qualche difficoltà a seguirlo e la sensazione, confrontandolo con i gialli della Christie, è quella di un elaborato piatto di nouvelle cuisine a confronto con una semplice pasta e fagioli. Squisiti entrambi, ma manca quella linearità, quella semplicità, che ti fa percepire come tutto fosse così lapalissiano e ti fa contemporaneamente stupire di non esserci arrivato da solo.
Va dato atto a Dickson, comunque, della sua bravura nel creare "l'atmosfera", la nebbia di Londra e il vecchio palazzo hanno una forte impronta suggestiva e la storia alla base della camera della vedova rossa dà il giusto senso di malessere mescolando con sapienza fatti storici e di fantasia.
Il giudizio quindi, è positivo e non escludo di optare presto per un altro titolo a firma Dickson/Carr.
I delitti della vedova rossa di Carter Dickson, Polillo editore, traduzione di Giovanni Viganò
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