All'ufficio postale ci sono solo due addetti agli sportelli.
Il primo, occhiali quadrati e capelli grigi con un taglio che una mia amica definirebbe da abbonato, gestisce praticamente tutto: raccomandate, pacchi, pagamenti. Anche la porta che separa la sala per il pubblico e il backoffice è roba sua. Di tanto in tanto (molto spesso) quando qualcosa o qualcuno deve passare, si alza, aziona la prima porta e, alla chiusura, aziona la seconda. Lentamente. Poi ritorna al suo posto. A continuare a servire il cliente.
Intanto il collega è ostaggio di tre donne e un uomo il quale, forse in un tentativo di mediazione, spiega che la ragazza "è registrata alla Comune di Isère, perché è nata lì, alla Comune di Isère".
Molta gente entra, prende il biglietto, confronta il numero con quello servito e desiste.
Lentamente (che lì velocemente sarebbe un controsenso) una sensazione di déjà-vu mi assale.
Una donna con un pacco con su scritto Tim entra, chiede se come al solito c'è un impiegato addetto solo ai pacchi e sentendo che no, deve fare tutta la fila rimane perplessa. "E' come a dicembre" commenta una sua conoscente, evidentemente sottolineando analogie cabalistiche che si verificano in tempo di vacanze.
La donna col pacco desiste.
Dal backoffice, dove il personale pullula più che al front office, una guardia giurata esce nella sala. Il solito impiegato lascia il suo lavoro, apre la prima porta, poi la seconda. La guardia giurata salta la fila e dà all'impiegato un bollettino, paga, poi ritorna nel retro. Apri la prima porta, apri la seconda porta.
I quattro della Comune sono ancora lì.
Una signora ha un pacco voluminoso da spedire. Apriti cielo (e apriti porta). Informazione sui costi, pesa di qua, conta di là, che manco le valigie al banco della Rayanair.
Una signora addetta ai finanziamenti passa nel retro. Apri la prima porta, apri la seconda porta. La signora esce. Apri, riapri.
Sempre di più tutto questo mi ricorda qualcosa.
Finalmente il secondo impiegato si libera. Ma non chiama nessun numero.
Di nuovo l'addetta ai finanziamenti deve andare nel retro. Entra. Poi esce.
Chiamano il 42, tra due numeri tocca a me. Che bello, il 42 non c'è, ma, aspetta, l'impiegato invita allo sportello una signora arrivata da poco che chiedeva se per la sua operazione ci fosse da fare tutta la fila...adesso ho capito dove mi trovo.
E poi, ecco il 44. L'impiegato mi sorride, mi dice qualcosa sul perché di tanta attesa, annuisco senza capire una parola, che tra il vocio e i doppi vetri è impresa ardua. E poi diciamocelo, a questo punto mi interessa solo pagare e andar via.
Ieri mattina sono andata a pagare alcune bollette ché, da quando è arrivata l'estate, al paesello il postino arriva a settimane alterne e così ne abbiamo trovate tre tutte assieme, come i pacchi sotto l'albero la mattina di Natale.
Siccome nel frattempo siamo al paesino, ho pensato di usufruire dell'ufficio postale del comune vicino, che è un po' più grande e hai visto mai che ci si sbriga prima, ma evidentemente la mareggiata di scirocco ha ispirato lo stesso pensiero alle 14 persone davanti a me e alle altrettante arrivate subito dopo.
Tutti i paesi di questo territorio sono paesi in cui, pur essendoci Internet, Amazon (l'ufficio postale era zeppo di pacchi con il sorriso) e turisti a profusione, qualcosa è rimasto bloccato, fermo nel tempo. Sono una versione del regno della Bella addormentata ambientato nella Gagliano di Cristo si è fermati a Eboli.
E comunque non era il libro di Carlo Levi quello a cui l'attesa mi ha fatto pensare. Il déjà-vu è molto più prosaico. Un'ora e passa di fila allo sportello della posta e mi sembra che il bradipo della motorizzazione di Zootropolis sia lì davanti a me.