venerdì 21 dicembre 2018

Storia di Roma

Non ho scoperto nulla, con questo libro. Esso non pretende di portare 'rivelazioni', nemmeno di dare un'interpretazione originale della storia dell'Urbe. Tutto ciò che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale. [...] A qualcuno potrà sembrare un'ambizione modesta. A me, no. Se riuscirò ad affezionare alla storia di Roma qualche migliaio di italiani fin qui respinti dall'accademismo che gliel'ha raccontata prima di me, mi riterrò un autore utile e fortunato.
Queste le parole con cui Indro Montanelli chiudeva nel 1957 l'introduzione alla sua Storia di Roma, primo capitolo di una lunga cavalcata nella Storia d'Italia che si sarebbe conclusa molti volumi dopo.
Mi è sempre piaciuto Montanelli, quel modo di scrivere schietto eppure preciso, la sua acuta capacità di analisi. Mi è sempre piaciuta la storia, complici anche delle brave professoresse che mi hanno abituato a guardarla non come a un noioso elenco di fatti, ma a un intreccio di vite umane che hanno costruito il nostro presente.
E così che ho deciso, a dieci anni di distanza dalla lettura della suddetta Storia d'Italia, di concludere questo viaggio appassionante con l'ultimo volume che mancava all'appello e che finora avevo lasciato in disparte ritenendo, dopo cinque anni di liceo classico, di saperne fin troppo sugli antichi romani.
Ed è proprio qui che mi sbagliavo, perché il pregio del lavoro di Montanelli è di raccontare fatti stranoti senza mai essere banale, bensì fornendo una visione d'insieme così dettagliata e un'analisi cause-effetti degli avvenimenti storici, tali da farti vedere il passato sotto una luce nuova. Come se non lo avessi mai studiato prima.
A Montanelli bisogna riconoscere di aver prodotto un racconto esaustivo, perché nessun aspetto dell'antica Roma viene tralasciato, dai costumi alla religione, dalla vita nei villaggi alla letteratura, ma soprattutto bisogna levarsi il cappello davanti al suo lavoro minuzioso di ricostruzione. Non ho idea di quanti libri debba aver letto per poterci dare ritratti quanto più fedeli possibile dei nomi illustri di quel passato, ma sicuramente gli va dato atto di aver davvero risposto al suo intento, ovvero di mettere la storia romana al livello di tutti noi comuni mortali, che non vuol dire trasformarla in un feuilleton da quattro soldi, ma renderla comprensibile (a tutti) e accattivante per un pubblico moderno e variegato.
Sarà per le riflessioni ironiche con cui di tanto in tanto condisce il racconto

E Plutarco racconta che poi scoppiarono in tale urlo di entusiasmo che un branco di corvi che incrociavano sulle loro teste piombarono giù, morti. Se anche tutte le altre sue storie Plutarco ce le ha raccontate con lo stesso scrupolo di verità, c'è da stare allegri.

sarà perché la storia di Roma è più attuale di quanto sembri. Anzi, a tratti mi è sembrato di vedere la nostra, di storia.

Su questa crisi economica se innestava un'altra, sociale e morale: quella di una società che, abituata a basarsi sui suoi piccoli e liberi coltivatori, sempre più ora veniva affidandosi al saccheggio all'esterno e alla schiavitù all'interno.

Nella burocrazia c'erano ancora funzionari capaci e onesti. Ma la maggior parte erano dei predoni incompetenti che, per avere un posto nell'amministrazione di una provincia, non solo rinunciavano agli stipendi, ma lo pagavano, sicuri di potere, in un anno, abbondantemente rifarsi.

Il matrimonio con mano, cioè quello che non ammetteva il divorzio, era praticamente scomparso. Figli non se ne volevano, perché sarebbero stati un impaccio. Essi erano diventati ormai un lusso che solo i poveri potevano consentirsi. Le spose cercavano, come oggi si direbbe, 'evasioni'. E le trovavano soprattutto nelle tresche amorose e nella cultura, che ormai cominciava a diventare un fatto mondano e di salotto.

L'inizio della fine di Roma coincide con la scomparsa della Repubblica, l'Impero, per Montanelli, è solo una lunga agonia, e pazienza se ci ha lasciato un'eredità artistica superiore, è all'austera e sobria Res publica, all'operosità disinteressata dei suoi membri, secondo l'autore, che dobbiamo riconoscere quei principi ispiratori delle nostre democrazie, quella grandezza che fece di Roma caput mundi.
Ho veramente apprezzato questa lettura e la consiglio a tutti. A chi ama la storia e vuole riviverla attraversa una narrazione appassionata e appassionante e anche a chi la storia, sui banchi di scuola, l'ha dovuta mandar giù di traverso e poi non ne ha più voluto sapere.
La storia, raccontata da Montanelli, ha un sapore più gustoso. Provare per credere.

Storia di Roma di Indro Montanelli, Corriere della Sera

N.B.
La Storia di Roma di Montanelli è solo uno dei titoli che compongono la Storia di Italia (alcuni dei quali scritti a quattro mani da Montanelli e Roberto Gervaso e Montanelli e Mario Cervi). L'edizione in mio possesso, del 2004, si compone di 14 volumi, ma il numero dei libri è maggiore, visto che alcuni volumi ne racchiudono anche due o tre assieme.
Recentemente il Corriere della Sera ha pubblicato una nuova edizione dell'opera.

Questo post partecipa la Venerdì del libro di HomeMadeMamma

giovedì 13 dicembre 2018

E' per te il 13 dicembre

E poi quel pensiero che aspettavi all'inizio dell'anno scolastico e che non arrivava, si palesa all'improvviso mentre guardi tuo figlio davanti allo specchio e pensi che compirà dieci anni.
Già. Tra meno di dieci anni lui sarà grande e avrà già scelto la sua strada. Eccolo allora quel pensiero che punge il cuore: non mi restano che una manciata di anni prima che Ieie esca da questa casa diretto chissà dove. Possibile che il tempo rimasto sia meno di quello già trascorso?
Dove sono volati via questi dieci anni?
E poi, dieci anni, sono troppi o sono pochi?
Domande senza risposta.
Che a pronunciarli e a vederli sui volti che erano giovani nelle foto e adesso lo sono un po' meno, dieci anni sembrano un tempo di tutto rispetto.
Ma quel tempo è volato.
Però, a pensarci bene a tutta la strada che abbiamo fatto, agli ostacoli che abbiamo superato, ai pianti,  alle febbri, alle preoccupazioni e ai lunghi pomeriggi da inventare, io rivedo ogni singolo mattoncino che ho incastrato e, no, a guardarlo da vicino il tempo non è volato.
Quel bambino boccoluto è un ricordo lontano che non so come, ha lasciato il posto a un ragazzino dai pensieri profondi e dall'animo infantile.
Quello stesso ragazzino che, giorni fa, trovando il soldino, ma anche il dentino ancora sul comodino, ha dato per buona, se non ottima, la spiegazione della mamma "Tesoro, il topolino non ha fatto in tempo a prendere il dentino: deve essere stato disturbato da tua sorella che stanotte ha vomitato". Quel bambino che si unisce ai compagni nel dire di non credere a Babbo Natale e si sente rispondere "Non è vero tu ci credi, me l'hai detto".
Quel ragazzino che si lamenta di non poter uscire da solo come gli amichetti, ma che poi ha paura persino di andare da solo dalla macchina del papà alla chiesa.
Dieci anni fa il mio cammino di mamma è iniziato in una tersa e soleggiata mattina di dicembre, con un'ambulanza a sirene spiegate e una placenta traditrice.
Dieci anni fa ho visto mio figlio, un minuscolo essere di 30 settimane e 1,3 chilogrammi e non l'ho potuto abbracciare.
Dieci anni fa ho imparato subito che il cammino di madre è fatto di salite.
Dieci anni fa c'erano paure che ancora ricordo come fosse ieri. Dieci anni fa il pensiero della prematurità ha segnato a lungo il mio essere madre e il guardare a mio figlio.
Pensavo che quell'etichetta ci avrebbe contraddistinto per sempre.
E, a un certo punto, non ci ho pensato più.
Pensavo che il fatto di non aver potuto portare mio figlio a casa con me, di non averlo potuto abbracciare per settimane, di averlo lasciato quasi due mesi in una incubatrice, avrebbe tracciato un solco indelebile nel nostro rapporto.
Ma anche quel pensiero, adesso, sbiadisce.
Gli affanni passano.
Quel che resta è un figlio più grande. E l'amore di sempre.

venerdì 7 dicembre 2018

Natale senza Natale

Anche per queste festività, come ogni anno, i bambini stanno preparando con la scuola i canti natalizi che verranno proposti ai genitori la mattina dell'ultimo giorno prima delle vacanze.
Ora, non è che queste canzoni in genere parlino tanto di nascita, presepe, né di Gesù, probabilmente per avere un tono politically correct, tuttavia quanto meno fino allo scorso anno erano a tema natalizio (che poi cosa sia il tema natalizio senza Gesù, sarebbe argomento da discettare a lungo). Comunque.
Quest'anno, però, abbiamo raggiunto il top, perché le canzoni in rassegna...non parlano nemmeno di Natale. Cioè, a parte la prima in cui si dice che Natale è pace, amore e festa di tutti, per il resto il concetto sembra essere evaporato in testi su fratellanza, amicizia e pace. Ora, tutte cose bellissime, non lo nego, ma che si sarebbero potute cantare anche per la fine dell'anno scolastico o, perché no, in occasione del 25 aprile, per dire.
A cambiare il solito copione, immagino, il fatto che quest'anno, per la prima volta, la scuola ospita due alunne straniere, figlie di famiglie di rifugiati accolte al paesello.
Probabilmente, immagino di nuovo, non sono cattoliche, né cristiane, e per non farle sentire a disagio, i canti natalizi sono stati trasformati in un concerto sulla fratellanza, dove si parla di accogliere chi viene da lontano, di nostalgia per il Paese che si è lasciato, di un albero, che solo un accenno veloce fa intuire sia di Natale, fatto di chicchi di caffé, sombreri e koala, insomma, multiculturale, perché la globalizzazione ormai investe pure gli abeti.
Ora, io non mi ritengo una fanatica, non sono una che vuole imporre le sue tradizioni agli altri, non mi straccerei le vesti neppure se togliessero l'ora di religione da scuola, però se i canti di Natale s'hanno da fare, quanto meno che parlino di Natale. Sono io quella in difficoltà, adesso, perché da credente vedo la scuola propinare ai miei figli, infiocchettato come un pacco regalo, qualcosa che col Natale non c'entra un bel niente. Che piaccia o no, il Natale è la nascita di Gesù, del Dio fatto uomo, e so che ormai il marketing spinto ne ha fatto una festa commerciale, ma vedere che anche la scuola insegna questo ai miei figli, mi offende profondamente.

Avrei preferito che i canti non si fossero fatti, tanto le occasioni non mancano e i bambini possono rimediare con quelli organizzati dalla parrocchia. E, direbbe qualcuno, ma poi avrebbero dato la colpa agli stranieri, avrebbero detto che per loro dobbiamo cambiare le nostre tradizioni.
Ma il punto è proprio questo: dubito che i genitori delle nuove alunne abbiano chiesto di modificare i canti e non penso nemmeno che si sarebbero offesi se i bambini avessero cantato le solite canzoni che (ripeto) tra Jingle bells e We wish you a merry Christmas, non è che parlassero tanto di Gesù: la verità è che i primi a vergognarci di quel che siamo, i primi pronti a cambiare le tradizioni, siamo proprio noi.
E, se devo essere sincera, dubito che l'integrazione possa passare dal mistificare noi stessi. Non è giusto chiederlo a chi cerca accoglienza in Italia. E non dovremmo farlo neppure noi.

venerdì 16 novembre 2018

Il libro dei Baltimore

Incontriamo i Baltimore, brillante avvocato lui, bellissimo medico lei, un figlio, Hillel, che è un concentrato di intelligenza e sagacia; residenza nell'esclusivo quartiere di Oak park, vacanze negli Hamptons: tutto questo non ha fatto che alimentare nel giovane nipote Marcus Goldman (sì, proprio lui, il protagonista de La verità sul caso Harry Quebert!) una sorta di venerazione. I Baltimore altro non sono che i Goldman di Baltimora, ovvero il ramo più fortunato e facoltoso della famiglia di Marcus, che appartiene invece ai Goldman di Montclair, alias comuni mortali.
Sin da ragazzino, affascinato dal tenore di vita, ma soprattutto dal carisma dei parenti del Maryland, Marcus ha dedicato ogni festività e ogni vacanza scolastica ad andare a trovare zii e cugini. Cugini, sì, perché per tutti, i Goldman erano quattro. Con loro viveva anche l'orfanello Woody che, dopo aver aiutato Hillel ad affrontare un gruppo di bulli particolarmente aggressivi, si era legato a quest'ultimo ed era stato accolto come uno di famiglia.
Anche Marcus entra subito in sintonia con Woody e tutti e tre, a ogni vacanza, ricostituiscono la gang dei Goldman. La storia di questa amicizia Marcus ce la racconta partendo a ritroso dal 1989 e subito intuiamo che qualcosa, nel tempo, è cambiato. C'è lo spettro di una Tragedia che è entrata nelle loro vite e il racconto è un conto alla rovescia, inframmezzato da squarci di presente e passato prossimo, fino a questo avvenimento. C'è anche una donna, Alexandra, che Marcus ritrova per caso dopo tanto tempo e che è stata una delle poche cose che i tre ragazzi non hanno potuto condividere.
E' un libro che si legge tutto d'un fiato, Il libro dei Baltimore, perché le sue 500 e più pagine vanno giù che è una bellezza. Oltre che dotato di una scrittura piacevole, Dicker si dimostra maestro nell'arte di tener desta l'attenzione del lettore con piccoli trucchi e stratagemmi. Il conto alla rovescia sulla Tragedia, il cui fantasma aleggia per tutto il romanzo, il racconto di fatti che, ci dice, prepararono il terreno a questo fatidico evento e altre domande e dubbi disseminati qua e là. Gli si perdona persino di non aver approfondito alcuni legami tra i personaggi, che forse avrebbero meritato qualche spiegazione in più, e di non aver fornito descrizioni più precise dei protagonisti. La storia, comunque, va avanti e intriga con un finale che, più che un colpo di scena, invita a riflettere. Perché le cose (e le persone) non  sono sempre come appaiono, anche quando crediamo di conoscerle come noi stessi. Perché il giudizio degli estranei, per quanto carente di indulgenza, può essere più azzeccato di quello di chi ci vuole bene. Perché la forma, per essere perfetta, deve avere una sostanza che le corrisponda e la famiglia rimane una delle principali risorse e anche dei più grandi misteri della nostra società.

Il libro dei Baltimore di Joel Dicker, La nave di Teseo, traduzione di Vincenzo Vega

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

lunedì 12 novembre 2018

Make up for dummies

Non so se succede solo a me, ma ogni qualvolta vado a ricomprare un prodotto per il make-up, che sia un rossetto o un fondotinta, mi imbatto in un restyling di tutta la gamma che mi costringe a cambiare colore e modello.
E' la legge del mercato, bellezza, se non t'inventi qualcosa di nuovo, perdi clienti.
Mah, sarà. Comunque, questa  non è storia recente, che adesso mi trucco poco e un prodotto mi dura mesi e anni e ci sta che poi non lo ritrovo più, anche quando da ggiovane mi truccavo ogni giorno, il finale non cambiava.
Ricordo quando scoprii con orrore che l'azienda dalla quale mi rifornivo di fodotinta&cipria aveva rifatto tutto: packaging, linee, colori.
"Non si preoccupi - mi disse la commessa - prenda il numero 2 come prima, tanto la numerazione non è cambiata". Fu così che dopo il trucco sembravo essere appena uscita da una seduta di lampada. Quarantamila lire buttate e la scelta, da allora, di ripiegare su prodotti poco costosi, ché non ne valeva la pena. Quindi, a conti fatti, l'azienda perse ugualmente una cliente.
Poi, a tutto questo, si aggiunge il fatto che ormai sono vecchia dentro. Di novità non ne capisco nulla e vado in cerca delle solite quattro cose che adoperavo anche vent'anni fa.
Tipo che qualche settimana fa cercavo una semplice matita per gli occhi e la commessa deve avermi vista in difficoltà tra matite morbide, resistenti all'acqua, sfumabili, interno occhio, esterno occhio, kajal e compagnia cantante, e dopo dieci minuti che me le rigiravo tra le mani è venuta a chiedermi se avevo bisogno d'aiuto (o così o forse ero una ladra). Quasi trattenendo le lacrime le ho spiegato che volevo una semplice matita nera per le palpebre, possibilmente che non si sciogliesse dopo due minuti (che quella che avevo, super professionale consigliatami da un'altra commessa, mi faceva questo effetto panda triste così avvilente).
E niente io mi guardo pure i tutorial su Internet cercando di farmi una ragione della modernità. Di solito digito trucco acqua e sapone o trucco veloce, ma ho capito che dovrei scrivere piuttosto truccarsi con meno di dieci prodotti o trucco senza ipotecare la casa, perché oggi il numero di roba che devi stratificarti in viso per essere minimamente decente si può misurare solo con i numeri periodici.
Blush, primer, BB cream, foundation, face base, face fluid, ma che è? mi chiedo, cosa ne è stato del semplice (e comprensibile) binomio cipria e fondotinta? Guardo stordita tutta sta mercanzia e mi sento come quando qualcuno parla del suo lavoro spiegando di essere un account manager un consultant o un controller (magari con un bel junior davanti a mo' di titolo nobiliare) e mi chiedo perplessa "cioè in pratica che fai?" (che poi, diciamocelo, ancora oggi i nostri bambini alla domanda "che vuoi fare da grande?" è più probabile rispondano l'astronauta o il parrucchiere che il junior consultant, e mi sa che loro hanno capito tutto). Comunque, tornando al make up, dopo essermi aggiornata capisco appieno perché adesso mi trucco molto meno che da giovane, nonostante forse necessiterei di qualche mano di intonaco in più rispetto al passato.
Non è una questione di tempo che manca, di figli che non ti concedono qualche minuto per te, no, la verità è un'altra. Dopo aver capito che non sarò mai in grado di stendere tutti quei prodotti nell'ordine e nel modo giusto, dopo che constato che il mio miglior risultato sarà sempre ben al di sotto del minimo sindacale oggidì richiesto, dopo che mi rendo conto di aver sempre e comunque un aspetto un po' retrò e un po' vintage col mio trucco stile fine anni '90, ripiego sul vero e unico maquillage acqua e sapone: quello che non ha traccia di make up.



venerdì 2 novembre 2018

2 novembre

"Chi è questa mamma?".
"Una zia del nonno, una sorella di mio nonno".
"E quella?".
"E' la zia L. non te la ricordi Ieie?".
"Me la ricordavo diversa".
"Perché negli ultimi anni era malata, ma io la ricordo così".
"E quest'altra signora che ha il suo stesso nome?".
"La mamma del nonno, mia nonna".
"E chi sono questi tre che si chiamano tutti Vito?".
"Uno è il nonno del nonno. L'altro è mio nonno...".
"Si chiamavano allo stesso modo?".
"Sì".
"Il papà del nonno è nato...nel '98!?".
"Nel 1898".
"Milleottocento!!!??? E l'ultimo Vito?".
"Era mia fratello".
"Perché non c'è la foto?".
"Perché è morto appena nato".
"Appena nato?".
"E certo Lolla guarda: 24 marzo 1980-11 aprile 1980 nemmeno un anno".
"A dire il vero, Ieie, nemmeno un mese".
"Se non fosse morto avrei uno zio".
"Già".

venerdì 26 ottobre 2018

Leggiamolo insieme-Harry Potter e il prigioniero di Azkaban

Con Harry Potter e il prigioniero di Azkaban si entra nel vivo del ciclo del maghetto di Hogwarts. Perfettamente congegnato come gli ingranaggi di un orologio (e il paragone non è casuale), rappresenta la chiave di volta della storia di Harry, là dove passato e presente si congiungono per dare forma a quell'architrave che dovrà reggere tutti i capitoli successivi.
Al suo terzo anno alla scuola di magia e stregoneria, Harry solo in questo capitolo non dovrà vedersela con Voldemort, ma con un pericoloso criminale fuggito da Azkaban, la prigione dei maghi, tale Sirius Black, accolito del Signore Oscuro che pare cerchi proprio Harry per completare ciò che Voldemort, a suo tempo, non era riuscito a compiere. E' così che Hogwarts si ritrova presidiata dalle guardie di Azkaban, i terribili Dissennatori, e Harry, quasi controllato a vista, viene ammonito a non cercare di catturare Sirius Black (ma perché poi dovrebbe farlo?). Niente avventure, quindi?
Neanche per sogno. Ci penseranno una mappa magica, un nuovo professore di Difesa contro le arti oscure e un'inattendibile professoressa di Divinazione con la fissa per le sciagure, a movimentare la vita al castello e a creare una trama che ormai prende il largo e diventa di ampio respiro. Spiegando e gettando nuova luce su avvenimenti passati, alcuni già noti altri inediti per il lettore, seminando dettagli fondamentali per il prosieguo della storia, creando un mistero dove niente è come sembra e dove le carte si rimescolano di continuo con gran sorpresa, e goduria, del lettore.
Il finale è un puzzle dove finalmente le tessere si riposizionano correttamente e lascia già intravedere il filo conduttore del prossimo volume.
Sebbene ami molto questa storia, temevo fosse un po' troppo complicata e cervellotica, invece i bambini hanno mostrato di comprenderla e, soprattutto, di gradirla. In effetti tra ippogrifi, tornei di Quidditch, nuove formule magiche e personaggi, le sorprese sono così tante che i piccoli non restano mai delusi.
Se qualche cosa li ha disorientati è stato invece il fatto che il film omonimo non riporti tutta la storia, ma abbia dovuto necessariamente alleggerire la trama per evitare di durare quattro ore o più. Per i bambini risulta ancora difficile comprendere questo concetto, per loro è inaudito che, ad esempio, le appassionanti partite di Quidditch raccontate nel libro non siano tutte presenti nel film, ma questo non ha impedito loro di rivedere Harry Potter e il prigioniero di Azkaban decine e decine di volte.
Se devo fare un appunto al film, che comunque riesce a dare adeguato sviluppo alla trama e si avvale di una fotografia bellissima che oltre a illustrare perfettamente la storia, ne sottolinea con arguzia alcuni particolari (fate caso agli orologi!), è che il racconto sul padre di Harry ed i suoi amici viene semplificato eccessivamente. E' una parte che dà spessore al libro ed è un peccato che non trovi abbastanza spazio nel racconto cinematografico, ma tant'è, i linguaggi sono diversi e diverso è anche il peso che si dà ai dettagli della trama.
Harry Potter e il prigioniero di Azkaban resta comunque il  mio preferito tra i sette libri, per saper coniugare in maniera impeccabile il mistero con un'atmosfera che è ancora sbarazzina e gioviale. Il clima, dal quarto libro in poi, nonostante un infittirsi e un "insaporirsi" della trama, diventerà infatti sempre più cupo, sottolineando così il passaggio dall'infanzia all'età adulta dei nostri eroi. Ma questa è un'altra storia e per raccontarla c'è ancora tempo.

Harry Potter e il prigioniero di Azkaban di J.K. Rowling, Salani, traduzione di Beatrice Masini

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