martedì 2 marzo 2021

Orizzonti

 Ci sono momenti, la sera, in cui il cuore è leggero e la mente libera, compio i gesti quotidiani con la tranquillità di chi attende una nuova giornata. Sono momenti, perché d'un tratto un'ombra appesantisce l'animo. C'è il Covid, ti ricorda il cervello, come si fa ad essere felici?
Ci sono mattine in cui mi sveglio serena, la promessa di un giorno da riempire davanti a me, prima che la realtà mi schiaffeggi con il ricordo di una pandemia che detta le regole delle nostre giornate. Ce ne sono altre in cui apro gli occhi agitata da un sogno in cui qualcuno aveva dimenticato di indossare la mascherina, e nessuna illusione rende il risveglio più dolce.
Ci sono giorni in cui vorrei andare in letargo in attesa della primavera, quella vera.
È da un anno ormai che viviamo su questo ottovolante emotivo in cui le altezze durano un attimo, giusto il tempo di tirare il fiato e poi pensare che il tracollo è sempre dietro l'angolo. Non ci si può rilassare o provare gioia per un evento lieto, la tensione è massima: le brutte notizie sono dietro l'angolo, l'angoscia ci consuma nell'attesa del peggio. Lo sappiamo ogni volta che i messaggi si susseguono a raffica e scopriamo che la mattina dopo la scuola si farà a casa, ce lo diciamo quando salutiamo i nostri cari che vivono in un altro Comune, chiedendoci se un improvviso cambio di colore ci separerà da loro nuovamente. 
Non si fanno più programmi, di nessun tipo. Non si vive più. Rinchiusi in un eterno presente sempre uguale, nel quale è più facile provare tristezza che felicità.
Quanto si può vivere in questo modo, mi chiedo.
Ho rinunciato, se non a tutto, alla gran parte. Non è dei viaggi, della pizza o del cinema che ho rimpianti, per quanto mi manchino, posso sopportarlo. Ma mi pesa stare lontano dalle persone amate (È il mio cuore il paese più straziato). Lasciar scorrere il tempo senza poterlo impiegare come si deve. Perché, saranno i quaranta, ma dopo una certa età c'è la consapevolezza che il tempo è limitato, e questa risorsa noi la stiamo sprecando, ipotecando in attesa di un momento migliore che pare l'araba fenice (Che vi sia, ciascun lo dice; Dove sia, nessun lo sa) senza sapere quanto ancora ne abbiamo a disposizione.
Se ripenso al lockdown di un anno fa vado in apnea: la sola idea di ritornare al carcere di quei mesi, quando la polizia era dietro l'angolo a intimarti di tornare a casa, mi gela il sangue; quella stessa polizia che adesso che in paese sono ripresi i furti nelle abitazioni, non si trova neanche a pagarla.
Oggi ho letto un commento che mi è parso la sintesi perfetta dei miei pensieri: pensano alle poltrone e non ai vaccini. Ecco, è così che ci sentiamo. Stanchi di essere travolti da valanghe di progetti, di faremo e di ripartiremo. In attesa di essere allagati da cascate di vaccini che si dimostrano tuttalpiù un ruscelletto.
A noi questa fine ce l'hanno promessa, raccontata sin nei particolari, ma la verità è che le parole non si sono tradotte in nulla di minimamente visibile. Per quanto distante, vorremmo dare una sbirciata col binocolo all'agognata meta, renderci conto che esiste veramente. Perché per ora ci sentiamo come quelli che, nonostante tutti i sacrifici fatti, possono permettersi solo di sfogliare il catalogo dei viaggi.

3 commenti:

  1. Per me i quaranta sono ancora lontani, ma davvero vivo con la sensazione di star sprecando gli anni migliori della mia vita. Ed è come se davanti a me non vi fosse più tempo per essere pienamente felice.

    Hai ragione, ci hanno parlato tanto della fine del tunnel, ma non ci hanno mai mostrato uno spiraglio e oltretutto continuano a farci vivere nel senso di colpa.
    Perché se i contagi aumentano è a causa dei nostri assembramenti, delle mascherine sul mento, ecc.
    Non una parola sui loro incommentabili e vergognosi ritardi.
    Non una parola su tutto il resto.

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    1. I comportamenti scorretti (assembramenti ecc.) ci sono, non lo nego. Tuttavia qui il problema è che da un anno ci sacrifichiamo per avere nulla in cambio. La scuola di mio figlio ci ha chiesto di tenere i ragazzi a casa in Dad, io sarei anche disponibile se la scuola mi dicesse come intende recuperare la metà delle ore che in Dad non si fanno, ma la scuola non intende recuperarle; molte attività sono chiuse da mesi ma devono pagare Imu, Tari e a quanto ho capito anche il canone RAI per intero; ci chiedono ancora di chiuderci a casa in attesa che la vaccinazione faccia il suo corso, ma adesso che i vaccini arrivano in misura maggiore scopriamo che non siamo attrezzati per vaccinare velocemente e il piano vaccini approntato fa acqua da tutte le parti. L'altro ieri l'Italia ha segnato il record peggiore: 45mila vaccini somministrati in un giorno, calcolando una popolazione di 41 milioni ancora da vaccinare (al netto di under 16, già vaccinati e contrari) a questo ritmo ci vorrebbero 911 giorni per finire...come ti ho già detto, ci chiedono responsabilità e correttezza, ma la cosa dovrebbe essere reciproca.

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  2. Ti capisco benissimo...da un anno ci portiamo dentro un mostro che ci divora. Per quanto riguarda i ragazzi la cosa è anche più avvilente, sono gli ultimi degli ultimi in questa tragedia, nessuno li considera. Non è solo il problema di una scuola che con la Dad è stata stravolta e trasformata in uno strumento unidirezionale dove i ragazzi sono contenitori da riempire; ai giovani è stata marchiata l'anima. Mio figlio lo scorso anno aveva appena iniziato a familiarizzare con i compagni di prima media che le scuole hanno chiuso. Quest'anno le occasioni di socialità sono state rarissime anche perché noi viviamo in paese e la scuola è in città. Mia figlia più piccola ultimamente ha preso a sfregarsi le sopracciglia creando due vistosi "buchi". Dice che lo fa per rilassarsi e ovviamente non si era resa conto di quel che aveva fatto, ma la cosa mi ha turbata. Lei vede coetanei solo a scuola, i pomeriggi li passa sempre a casa: mi chiedo quanto tutto questo stia incidendo su di lei.
    In tutto ciò il silenzio delle istituzioni, che per carità a parole ci sono sempre molto vicine. Ma le parole, dopo un anno, lasciano il tempo che trovano.

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