Non ha la precisione di un Caravaggio o la pennellata luminosa di Monet. Si fa fatica a cercare un nesso, un significato tra i suoi segni sui fogli, ma non ha niente a che vedere con Magritte. I suoi disegni suscitano domande, ma son ben lontani dall'enigmaticità di un Della Francesca. Non hanno nemmeno la gioiosità di Mirò o l'estro inquietante di Picasso, che pure ambiva a dipingere come un bambino.
Che mio figlio non sia portato per il disegno, o meglio che lo detesti del tutto (due lati della stessa medaglia che si alimentano a vicenda), è un fatto che ho accettato da tempo. Credo che una manualità maldestra, supportata da una lateralizzazione tardiva, abbiano contribuito a tale risultato, ma tant'è, nessuno se ne rammarica. Saper disegnare è una capacità bellissima, ma alla fin fine se ne può fare a meno.
Certo, quando a scuola qualche compagna sottolinea la bruttezza dei suoi disegni, un po' ci rimane male (e c'ha ragione, ci rimarrei male anch'io), ma gli ho spiegato che quelle stesse persone che lo prendono in giro, probabilmente riescono peggio in attività per cui lui è più portato (ok, è vero, conoscendo i soggetti, io già lo immaginavo, ma dovevo dargli un'iniezione di fiducia, e come mamma mi son sentita in diritto di farlo gioire dei difetti altrui) perché nella vita è così, non si può essere bravi in tutto, e ognuno ha i suoi talenti. L'importante è dare il meglio di sé in ciò che si fa.
Ecco, appunto. Ma quando il libro di scuola sembra scritto da Giovanni Mucciaccia e ogni tre per due propone qualche lavoretto da fare a casa, opzione peraltro accolta dalla maestra, il problema potrebbe essere un po' più grave del previsto.
Sin dall'anno scorso, ho sempre cercato di affiancare Ieie in queste situazioni. Volevo limitare i danni (tra cui dita tagliate, pagine di libri incollati e mobili dipinti) e garantirgli un risultato decente, senza farmi prendere da quella sindrome della maestrina che sfocia spesso in un facciottuttoio. Volevo, soprattutto, che il lavoretto parlasse di lui, mostrandone limiti e imperfezioni, che sembrasse, insomma, il frutto del lavoro di un bambino e non di un adulto.
Evidentemente mi sbagliavo.
L'ho capito il giorno in cui portarono a scuola una casetta in cartoncino tridimensionale. Non so perché, ma solo quella di Ieie, con le finestre sghembe disegnate da lui e i contorni ritagliati imprecisi, non sembrava uscita direttamente dalla studio di Renzo Piano. Le altre avevano la facciata a mattoni, perfetti e squadrati, magnifici rampicanti che correvano sul muro, comignoli, persiane intarsiate e chi più ne ha più ne metta.
"Abbiamo fatto il villaggio - mi ha detto Ieie demoralizzato al ritorno da scuola - la mia casetta è stata messa in ultima fila".
Poi ho visto le maschere di Carnevale ricavate dalle buste del pane esposte nei corridoi della scuola, e là ho avuto la certezza di quel che pensavo. Il nostro (nel senso che io ho avuto l'idea e Ieie l'ha realizzata) pirata con la benda poteva, doveva, reggere il confronto, ma ahimé era miserrimo e triste se rapportato ai pagliacci dalla massa di riccioli colorati, a quelle buste del pane che sembravano appena uscite dalla fabbrica, tant'erano lisce e piatte come se non avessero mai contenuto pane in vita loro.
Eh sì, insomma, quel che ho capito è che o tutti i compagni di Ieie sono figli illegittimi di Mucciaccia, o qualcuno li deve aiutare, e non poco.
Il secondo elemento che mi è balzato agli occhi è che sono una tirchia senza speranza, che va raccattando per casa il materiale necessario ai lavoretti anziché comprarlo nuovo di zecca. A questo, almeno, ho cercato di rimediare. Così adesso abbiamo un cartoncino Bristol rosa, privato di un angolo e una risma di fogli A4 colorati, il cui prezzo di 8 euro (che mio marito ancora mi rinfaccia) non è giustificato dall'uso di quattro, dico quattro, dei cento fogli contenuti. Da tale risma abbiamo recentemente prelevato il foglio blu per fare il pipistrello di Halloween (comprarne un'altra di fogli neri era fuori discussione, bisognava ottimizzare il precedente acquisto) e pare che anche questo abbia generato ilarità tra i compagni.
La verità è che adesso, ogni qual volta che Ieie mi dice che c'è un lavoretto da fare, sento il sudore corrermi lungo la schiena. Non è solo il timore di dover girare per cartolerie a generarlo. E' la paura di non essere all'altezza, perché, sarò incapace, c'avrò poca voglia o sarò troppo ligia a mantenermi al mio posto, ma so che per quanto aiuterò mio figlio, il suo mio lavoretto non reggerà il confronto con quello degli altri.
Un disegno di Ieie a 4 anni. Finalmente riusciva a delineare un volto |
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