mercoledì 31 agosto 2016

Anna Karenina

Si chiama Anna Karenina, ma a dispetto del titolo, questo celeberrimo romanzo di Lev Tolstoj vede spesso la protagonista in secondo piano. Non è lei ad aprire il libro, né tantomeno a chiuderlo, e non compare nemmeno nella maggioranza dei capitoli.
Bandita dalla buona società per la scelta di abbandonare marito e figlio e seguire il suo amante, Anna è suo malgrado defilata anche nel romanzo, quasi a segnare l'esclusione, lo stigma che la colpisce e che avvelenerà il suo rapporto con Vronskij. Costretta a una vita di isolamento, mentre Vronskij, ufficialmente scapolo, potrà continuare a frequentare i salotti che contano, Anna sarà invasa da un'insana quanto insensata gelosia che logorerà la sua relazione fino al tragico epilogo.
Chi sono allora i protagonisti di questo romanzo nel quale si riscopre tutta la bravura di Tolstoj nell'incastonare tante piccole storie per comporre un racconto di grande respiro? Dove, come in Guerra e pace, il lettore viene portato per mano nelle dimore e nelle tradizioni del popolo russo, e la storia è fatta da persone comuni e dalla vita di tutti i giorni?
Sono Stiva, fratello di Anna, e la moglie Dolly, che all'inizio del romanzo Anna dissuade dal lasciare il marito fedifrago; Kitty, che dovrà rinunciare a Vronskij quando lui le preferirà Anna, e Levin.
Tre coppie che, come spiega Eraldo Affinati nella sua introduzione, rappresentano i paradigmi di varie forme di amore. Quello coniugale di Stiva e Dolly  che cerca di rispettare le convenienze; quello assoluto e passionale di Anna e Vronskij; e quello fatto di stima, affetto profondo e comprensione di Kitty e Levin.
Tolstoj non dà giudizi, non condanna Anna. Ma non posso fare a meno di pensare che sia il legame di Levin e Kitty quello che vorrebbe portarci a modello. Altrimenti non si spiega la piega disastrosa che fa prendere alla storia della sua eroina. Proprio quando il marito la lascia libera di andarsene con l'amante, Anna, anziché trovare la felicità, precipita in un vortice di autodistruzione. Incapace di vivere serenamente il sentimento per Vronskij, la gelosia e la paura di perdere l'unico bene che le è rimasto la porteranno a divenire tragica e dispotica, folle e perduta.
Sembra quasi che Tolstoj ci voglia dire che anche il più grande degli amori deve rispettare certe regole, deve correre sui giusti binari. Altrimenti rischia di deragliare.


Anna Karenina, Lev Tolstoj, Newton Compton Editori, trad. di Enrichetta Carafa d'Andria

lunedì 29 agosto 2016

Arrivederci

E poi, immancabilmente arriva lei.
Da ragazza contavo con cupidigia gli ultimi giorni di agosto e i superstiti di settembre per rincuorarmi e allontanarne il pensiero, adesso l'età non mi consente più queste facili illusioni e gli amici che all'improvviso svuotano il paesino mi danno la certezza: la fine dell'estate è arrivata.
Me lo dice l'aria fresca, il sole meno pungente e dai mille riflessi dorati, le barche che ritornano sempre prima dal mare, quel golfino che diventa indispensabile la sera. E l'aria di malinconia che si confonde con gli effluvi dei flaconi mezzi vuoti di crema solare.
Ben presto, col solito rituale strappacuore, anche noi diremo addio al paesino, alla salita vicino casa oltre la quale sai sempre di poter trovare compagnia, perché una manciata di case concentra così tanti amici grandi e piccini da confonderti i sensi. Saluteremo quel porticato noto dove chiacchierare mentre i bambini si rincorrono, il mare che con i suoi riflessi ti parla e ti tiene compagnia ogni volta che ti affacci alla finestra, la sensazione di perenne libertà che ti si appiccica addosso come la salsedine.
Perché, al di là dello struggimento nostalgico che colpisce puntuale al rientro dalle vacanze, ciò che più mi pesa è proprio la prospettiva di ritornare a chiudermi in casa, del riabituarmi a una routine fatta di un tetris di impegni, di sapere che non è più possibile percorrere la salita per sentirmi meno sola. A qualsiasi ora.
E così addio alle passeggiate dopo cena. Il divano del soggiorno ritornerà protagonista delle nostre serate. Addio alla caccia ai granchi, alle partite di beach volley, alle corse in bici sul lungomare. Il tempo al chiuso, ahimè, diverrà sempre di più e per rivedere gli amici bisognerà prendere appuntamento. E un'automobile.
Anche questa estate, volata via con una velocità incredibile, costellata suo malgrado di qualche imprevisto, va a iscriversi nel libro dei ricordi. Tra un po' ne parleremo come di quelle che sono già state, "Ti ricordi quando...?", per adesso possiamo solo godere degli scampoli rimasti. E percorrere per le ultime volte la nota salita.


martedì 16 agosto 2016

Vorrei ma non posto

Io non so se accadeva anche prima, fatto sta che l'ho notato solo questa estate.
Succede che la casa del paesino si affaccia su un percorso battuto dai turisti: proprio sotto al nostro balcone si trova un belvedere dove, da sempre, la gente si ferma a scattare fotografie. Un tempo erano le classiche foto di gruppo o di famiglia con la costa e il faro sullo sfondo, un abbraccio di due innamorati, i figli in piedi uno accanto all'altro.
Da quest'anno ho assistito ai photo set più assurdi. La bambina in bilico sulla stradina in salita, poggiata al cancelletto arrugginito; la ragazza sbracata sul muretto, una mano fra i capelli, l'altra a reggere la schiena; un'adolescente verticalmente spiaggiata sul muro al punto che ho pensato "Oddio la ragazzina si sente male". Poi dietro di lei ho visto il padre piegato a 90° come Karl Lagerfeld e ho capito che no, non stava male.
Devo ammettere che i soggetti di questi scatti sono prevalentemente donne, giovanissime, e a immortalarle ci sono i genitori, più spesso i padri.
La ragione di questa nuova moda sta nel fatto che è ormai passato il tempo in cui le foto delle vacanze finivano in un album destinato ad allietare le cene con parenti e amici. Oggi le foto delle vacanze, grazie ai social, arrivano direttamente a casa. E poco importa che quest'anno la cellulite sia aumentata, che la vacanza sia trascorsa litigando col partner e il tour operator scelto faccia schifo: l'imperativo è uno solo, mostrarsi felici e contenti. E magari suscitare un po' d'invidia. Perché per alcuni postare è come dare un tocco di photoshop alla propria vita. E qui ritorno ai turisti del paesino.
Qualche giorno fa sul lungomare si aggirava una graziosa, giovane donna, una reflex al collo e uno smartphone in mano. Camminava sola, il musetto serio serio, poi, trovato uno scorcio che le piaceva, si è fermata, ha alzato lo smartphone, atteggiato il viso in un bellissimo sorriso e scattato. Il tempo del flash e la sua faccia, come quelle bambole antiche alle quali girando la testa cambiavi espressione, è tornata a incupirsi.
Improvvisamente ho sperato che da qualche parte nelle vicinanze ci fosse qualcuno ad aspettarla, che non fosse sola come sembrava. O quanto meno che fosse veramente felice come si era ritratta in quel selfie. Altrimenti è proprio vero, come dice la canzone, che non c'è 
Un senso a questo tempo che non dà
Il giusto peso a quello che viviamo
Ogni ricordo è più importante condividerlo
Che viverlo.

martedì 9 agosto 2016

La via del male

E poi ci sono dei libri che sono come una droga. Non riesci a staccartene, fai fuori un capitolo dopo l'altro e quando mancano appena cento pagine alla fine sei disposto anche a fare le due di notte per leggere l'agognata conclusione. Salvo sentirti, dopo, in astinenza, disposta a rileggere quelle pagine pur di non rimanerne senza.
Mi succede sempre così con i libri della Rowling, maestra, a mio giudizio, nel tessere trame letterarie. Lo è stata con la saga di Harry Potter, continua ad esserlo con lo pseudonimo di Robert Galbraith, l'autore della serie di volumi dedicati al detective privato Cormoran Strike. Il terzo, La via del male, è uscito a giugno in Italia e si apre poco dopo la fine de Il baco da seta.
Seguendo una tradizione già inaugurata ai tempi di Harry Potter, ogni libro, pur presentando un nuovo intricatissimo caso, si ricollega ai precedenti intrecciando l'attività professionale di Cormoran, un ex militare dal fascino burbero e solitario, con la sua vita privata e quella della sua segretaria e collaboratrice, la brillante e solare Robin Ellacott.
In questo nuovo thriller, dai toni decisamente più foschi e truci, la loro agenzia investigativa dovrà scoprire chi e perché si diverte a terrorizzarli, inviando loro parti di un corpo umano. Contemporaneamente scopriremo nuovi elementi sul passato dei due protagonisti e anche il loro rapporto farà dei passi avanti.
Rispetto alle precedenti indagini, questa volta la dinamica della storia appare più statica, anche perché Cormoran e Robin non avranno un caso su cui indagare, quanto più che altro una minaccia da sventare. Li vedremo in giro per la Gran Bretagna a esplorare i bassifondi delle perversioni umane, niente a che vedere con lo sfavillante mondo della moda e con le gelosie e le ripicche dell'editoria che avevano fatto da sfondo ai primi due romanzi.
Anche stavolta Galbraith/Rowling ci porterà a spasso per Londra che, tra mercatini, locali per adulti e pub, sembra un caleidoscopio ricco di infinite combinazioni. Lo stile è quello semplice e preciso che avevamo conosciuto con Harry Potter e la bravura dell'autrice nel lasciarti a bocca aperta sul finale non delude mai. Stavolta, infatti, dopo averci comunicato il nome dell'assassino, ci butta lì un colpo di scena di quelli che vorresti averla davanti per farle un inchino.
Col senno di poi, potrei dire che il "colpevole" si poteva scoprire perché gli elementi, in effetti, ce li aveva dati tutti. Ma lo posso dire solo alla seconda lettura e ad assassino scoperto, perché la Rowling è così brava nel disseminare indizi, quanto nel non farti capire che lo sta facendo.
A questo punto non posso fare altro che aspettare il quarto volume della serie per sperare di migliorare le mie doti investigative. Perché un quarto volume? Perché basta leggere La via del male per capire che le indagini di Cormoran e Robin non sono ancora finite.


La via del male, Robert Galbraith, Salani, trad. di Francesco Bruno