venerdì 28 settembre 2018

Una spola di filo blu

I Whitshank sono una famiglia americana come tante. Marito e moglie, Red ed Abby, quattro figli, Amanda, Jeannie, Denny e Stem, una grande casa di legno a Bouton Road nella città di Baltimora. Una casa che è un po' il cuore pulsante della famiglia, sfondo di tante vite, persona essa stessa, costruita con amore e passione da nonno Junior, capostipite dei Whitshank, della cui vita i nipoti conoscono quel poco che il padre ha saputo tramandare.
In Una spola di filo blu, la storia dei Whitshank parte un po' in sordina e ci viene narrata a partire dalla metà degli anni '90, quando Abby e Red sono alle prese col terzogenito Denny che una sera, dopo mesi di silenzio, chiama casa dicendo di essere gay per poi riattaccare e sparire di nuovo. Scopriamo subito che è sempre stato il figlio più problematico, quello che non si fa vivo per mesi e che taglia i ponti non appena ritiene che una domanda, o un commento dei familiari, sia di troppo.
Perché i Whitshank sono una normale famiglia americana, ma come ogni famiglia, a guardarla da vicino, ha le sue stranezze, i suoi segreti, la sua storia che non è mai un racconto lineare, ma assume sfumature diverse a seconda del punto di vista di chi l'ha vissuta e Anne Tyler ce la propone andando avanti e indietro nel tempo, mostrandoci quel che pare ci sia stato e quel che è accaduto, che non sempre coincidono, o forse non come ci saremmo immaginati.
Partendo dal 1994 il racconto arriva velocemente ai giorni nostri, soffermandosi sulla vecchiaia di Abby e Red, e svelando pian piano i perché del carattere difficile di Denny. Ma anche che essere famiglia non si può tradurre in un semplicistico "volemose bene", quanto piuttosto in un saper restare uniti nostante tutto.
Capitolo dopo capitolo ci ritroviamo negli anni '60, in quel pomeriggio giallo e verde in cui Abby, a Bouton Road, capì di amare Red, e scoprì dettagli, mai raccontati a nessuno, sull'incontro di Linnie Mae e Junior.
Di nuovo il nastro del tempo scorre all'indietro e, negli anni Trenta, apprendiamo tutta la verità sulla storia d'amore dei nonni Whitshank. E' così che, piano piano, la saga familiare acquisisce spessore e significato e i legami affettivi vengono inquadrati in una nuova prospettiva.
Ad Anne Tyler il merito di aver saputo costruire e descrivere personaggi complessi e a tutto tondo e di aver raccontato la storia di una famiglia come tante, arricchendola di un intreccio narrativo e di una caratterizzazione di vicende e protagonisti in grado di accendere a poco a poco l'attenzione del lettore.
Il finale ci riporterà ai giorni nostri, potrà piacere o meno (a me la sorte della bella casa di legno ha lasciato un po' di amaro in bocca), ma è proprio come la vita: mai scontata.
Ringrazio Paola di HomeMadeMamma per aver consigliato questa lettura un po' di tempo fa e, come sempre, questo post partecipa al suo Venerdì del libro.

Una spola di filo blu di Anne Tyler, Guanda, traduzione  di Laura Pignatti

lunedì 24 settembre 2018

Tipi da Instagram

Questa estate, mentre tornavo a casa, una giovane donna strigliava il titolare di un'attività di escursioni via mare del paesino perché non aveva una pagina Instagram adeguata. "Fidati di me che curo la comunicazione di una grande azienda - gli diceva - è utile ed è pure gratis".
La conversazione si inserisce in una riflessione che porto avanti da un po'. Premetto che non sono molto avvezza ai social, non ho mai avuto né desidero avere Facebook e anche Instagram, al quale sono iscritta da un anno, lo considero solo come uno strumento per guardare belle foto (e imparare a farne di altrettanto belle).
Mi piacciono quelle fatte in giro per il mondo o che sappiano cogliere dettagli e proporli in maniera originale, magari corredate da una didascalia arguta. Purtroppo noto come questo social, per la sua velocità, stia sostituendo altri mezzi di comunicazione digitali più strutturati.
Accanto alle foto, infatti, sempre più spesso vedo pubblicati lunghi post che mi innervosiscono, perché quando vado su Instagram lo faccio con l'idea di una capatina veloce, non con quella di mettermi a leggere un articolo vero e proprio (al quale magari dedicherei volentieri maggior tempo e su un supporto più comodo dello smartphone). E anche i post, forse proprio per l'immediatezza di Instagram, scontano spesso una scarsa cura nell'editing.
Non ho mai considerato i commenti, che invece sui blog leggo con curiosità, forse proprio per mancanza di tempo o perché alcuni Instagrammer ne hanno così tanti che preferisco desistere in partenza. Ultimamente, però, per comprendere come funzionano (non riesco mai a capire l'ordine con cui vengono inseriti, né chi risponde a chi), ho iniziato a leggere i commenti di qualche influencer/blogger più quotato per scoprire che, bene o male, i commentatori possono ricondursi ad alcune grandi categorie.
- L'hater. Da questo non ci si scappa, è un po' come l'Anton Ego di Ratatouille, che va a recensire i ristoranti solo per il gusto di parlarne male. E mo perché sfrutta i figli a scopo pubblicitario, e mo perché con i figli non ci sta e invece di lavorare come la gente per bene sta a farsi le foto; e mo perché s'è photoshoppato, e mo perché, ma non si vergogna? non s'è ritoccato!, insomma ce n'ha sempre una per insultare l'Instagrammer di turno. Caro hater, per carità, relax!
- La groupie, ovvero il contrario dell'hater. La (o il) groupie di turno è quella/o che si spertica in lodi imperiture verso il suo mito social e, all'occorrenza, diventa anche una guerriera Sailor. Se l'hater si fa vivo, infatti, ci penserà il/la groupie a punirlo in nome della luna a colpi di risposte piccate.
- Il patetico. Questa figura si palesa in caso di Instagrammer che fanno pubblicità. "Il tuo (mettere il nome di un qualsiasi prodotto) costa più di quello che spendo per mangiare per un mese" è la sua frase tipo. Ora, c'avrà pure ragione, ma basta. Caro patetico, anch'io penso che spendere 18 euro per un detergente per la casa (alias detersivo per lavare a terra) sia eccessivo, così come non chiedo diamanti a ogni ricorrenza. Però che un diamante è per sempre, ce lo ricordavano ogni volta che accendevamo la tv per vedere il Tg o leggevamo una rivista. Il profilo dell'influencer, invece, te lo vai a vedere di proposito.
- Il promoter di se stesso. E' quello che commenta per invitare il titolare del profilo e i suoi numerosi follower a seguirlo sul proprio profilo che, ha ancora pochi numeri, ma "ne vale la pena".
- Il cinico, ovvero quello al commento di cui sopra risponde, senza troppi fronzoli, "ma che ce frega".
E poi c'è la triade, tre figure che, a mio avviso, hanno un aspetto fondamentale in comune, ovvero usare il paravento dei social per dare sfogo a comportamenti che dubito avrebbero il coraggio di riproporre nella vita di tutti i giorni:
- Lo schietto. Il suo tratto distintivo è non aver peli sulla lingua, non insulta, non usa parolacce, ma quel che gli passa per la tesa lo deve dire. Convinto che un personaggio pubblico sia un po' come l'amico del cuore, gli fa domande personali, se non addirittura intime, e pubblica osservazioni che la gente normalmente terrebbe per sé. Che male c'è a chiedere, dice, sono sincero, aggiunge. Ora, caro schietto, sei sincero? Bene, allora la prossima volta che al colloquio scuola-famiglia la maestra di tuo figlio ti apparirà ingrassata, o che il tuo capo indosserà un completo che lo fa sembrare un deficiente, sii sincero e diglielo!
- Lo scurrile. Anche lui, come il precedente, non ha filtri. Parolacce, espressioni volgari, non sempre a scopo offensivo, ma perché quella è la sua cifra stilistica. Ecco, se esistesse un filtro Instagram per pulire la sua favella, sarebbe cosa assai gradita.
- Lo sgrammaticato. Con lui/lei non ci si dimentica solo l'uso dell'accento e della mutina, ma è proprio tutta la sintassi che va a farsi benedire, al punto che Champollion in persona dichiarerebbe la resa. Ora, caro sgrammaticato che mi dici 'scusa per gli errori andavo di fretta', la scrittura corretta è l'abito con cui presentiamo i nostri pensieri. Ti presenteresti in mutande a un aperitivo con gli amici? Nooo? E allora perché in mutande ci mandi i tuoi pensieri? 

martedì 18 settembre 2018

Milan l'è on gran Milan

Desideravo visitare Milano da tempo, più o meno da quando tutti tornavano dall'Expo dicendo che la città era cambiata, era più bella, più moderna più europea e..irriconoscibile.
Mancavo da Milano da dieci anni, dal matrimonio di una mia amica. Non che prima fossi un habitué, ma durante il periodo dell'università facevo di tanto in tanto qualche incursione per trovare la mia amica, anche se le maggiori conoscenze sulla capitale lombarda le ho raccolte quando, a nove anni, vi trascorsi due settimane ospite da una cugina di mia madre, perché la mia nonna materna era milanese, e un po' di sangue lumbard me lo porto nelle vene.
Così ho colto al volo l'opportunità della mostra di Harry Potter, per visitare anche la città dalla quale tutti tornavano estasiati.
Non posso che confermare questa versione: sono state 48 ore dense, ma ben spese, dalle quali sono ritornata con la conoscenza di una città migliorata sotto tantissimi punti di vista. Un centro storico ordinato, silenzioso, con pochissimo traffico. Niente auto in doppia fila, niente strombazzamenti, niente smog.
Una piazza Duomo gremita, ma una Brera, a quattro passi, tranquilla e chic, con quei cortili elegantissimi dove è bello sognare di vivere (perché visti, i prezzi, giusto sognare si può).
I cortili di Brera
Grazie alla velocità della metro siamo riusciti a vedere un bel po' dei posti che avevamo messo in lista, merito di treni veloci, non troppo affollati e frequenti e merito soprattutto di tariffe vantaggiose che invitano le persone a lasciare le auto a casa. Abbiamo scelto un biglietto valido per tutti i mezzi cittadini della durata di 24 ore, del costo di 4,50€ ad adulto (i bambini sotto i dieci anni non pagano) e in questo modo abbiamo girato come trottole in lungo e in largo, prediligendo soprattutto le zone nuove, quelle che più mi incuriosivano.
Ho adorato piazza Gae Aulenti con il suo muro di grattacieli che scintilla da lontano e i giochi d'acqua, le vetrine che rapiscono gli occhi e le strade intorno che rinascono grazie a questa riqualificazione.
Piazza Gae Aulenti
Qui, come a Citylife, un restyling moderno si sposa con gusto con i palazzi d'epoca tutto intorno, mescolando vecchio e nuovo, ma soprattutto creando un ambiente urbano estremamente piacevole, ricco di verde, di spazi fruibili a piedi, di luoghi per lo shopping e il tempo libero.
Il quartiere visto dalle torri di Citylife
Le scelte urbanistiche possono piacere o meno, so che su piazza Gae Aulenti i pareri non sono unanimi, ma quando si gira per i quartieri (sono molte le aree dove si lavora a costruire e ristrutturare), quel che colpisce è che c'è un'idea di città che viene portata avanti, ci sono progetti, c'è una visione moderna.
Il grattacielo di piazza Gae Aulenti visto da corso Garibaldi
Perché è questo che si nota a Milano: la città si sta proiettando nel futuro senza per questo tradire le sue radici, ed è, soprattutto, vivibile.
Sembra il vicolo d'Oro a Praga e invece è il vicolo dei lavandai sul Naviglio grande
Ci son quartieri, come Isola che non ho visto ma di cui mi hanno parlato, che erano degradati e oggi sono un fiore all'occhiello. C'è via Paolo Sarpi, nella Chinatown, al centro di tante polemiche negli scorsi anni, che rigurgita sì di negozi orientali, ma che si è trasformata in una via pedonale, tranquilla, gradevole, al centro di un quartiere in piena ristrutturazione.
C'è una città dove è bello passeggiare con i bambini, dove ci si sposta con facilità, pulita, ordinata e dove la gente è...gentile. Mi è capitato più di una volta, in questi due giorni, che abitanti di Milano, vedendoci alle prese con strade e cartine, ci chiedessero se avevamo bisogno di aiuto. Non mi succedeva dai tempi di New York di incontrare tanta cortesia non richiesta. Non è scontato, non è sempre stato così.
Ho vissuto dieci anni a Roma e posso testimoniare come la vita nelle grandi città sia capace di abbrutire anche le persone più gentili. Persino io, a furia di vedere il grugno scontroso della tabaccaia sotto casa a Roma ogni volta che compravo un biglietto dei mezzi, ero diventata ostile, collerica, refrattaria a qualsiasi contatto umano (soprattutto se il contatto era, quotidianamente, dover stare spiaccicata tra centinaia di corpi nella metro).
A Milano la gente ti sorride, il che significa che è ben disposta verso il prossimo e che, nonostante la fatica di ogni giorno, tutto sommato si vive bene.
Ora non dirò che è tutto rose e fiori. La mia è stata una visita parziale, certamente ci sono quartieri degradati, ma è bello che qualcosa si muova.
Certo, a volte il progresso può spiazzare. Come quando volevamo visitare il Duomo, ma non si poteva senza biglietto. E va bene pagare per entrare in chiesa, è così in molte città all'estero, i costi di manutenzione sono alti, sono disponibile a fare la mia parte. Solo, non poter entrare in chiesa perché la biglietteria chiude un'ora prima della chiesa stessa, be', questo mi ha lasciata perplessa. Essere costretta a non entrare in una chiesa aperta ancora per un'ora, per una questione di biglietti, questa è una cosa alla quale difficilmente potrò abituarmi.
In ogni caso, mi sento di consigliare vivamente una visita a Milano con i bambini, sia per la facilità negli spostamenti, sia per le tante attrazioni adatte ai più piccoli. Si può scegliere una passeggiata tranquilla tra le vie eleganti, lungo i navigli o in un parco, per esempio a parco Sempione, al quale si accede dopo aver attraversato i cortili del castello Sforzesco e si sa che i castelli esercitano sempre il loro fascino sui più piccoli.
Il Naviglio grande
Se in casa c'è un piccolo fanatico di calcio, si può decidere di portarlo con la metro lilla (quella senza guidatore, dove ti puoi sedere proprio in testa al treno e vedere le gallerie che ti si aprono davanti) fin sotto lo stadio Meazza.
Corso Como
Oppure si può consultare il cartellone degli spettacoli e delle mostre, sicuramente ci sarà qualcosa per il pubblico sotto il metro e mezzo. Il Muba (Museo dei bambini) ha un'offerta varia e interessante e ad ottobre al teatro Nazionale, ad esempio, tornerà in scena il musical su Mary Poppins.
E poi, siccome anche noi grandi abbiamo diritto a un minimo di cultura, ci sono musei, come la Pinacoteca di Brera, dove l'ingresso è gratuito sotto i 18 anni.
L'unica accortezza è dotarsi di bambini con un minimo di tolleranza. Almeno su quello, non ci sono offerte di alcun tipo.

domenica 16 settembre 2018

Si ricomincia

In questa vigilia agrodolce che precede il riprendere della scuola, sono divisa tra la necessità di mettere un punto a ben tre mesi di vacanza (e riprendermi un po' del mio tempo) e la malinconia all'idea di ricominciare col tran tran frenetico. Mi sembra ieri che mi affannavo tra compiti e attività sportive e, lo so che invece di tempo ne è passato e di cose ne abbiamo fatte, ma la prospettiva di rituffarmi nel vortice non mi alletta per nulla.
E poi c'è lui, che si appresta alla classe quinta, traguardo e rampa di lancio.
Avrei voluto scrivere fior fior di riflessioni su questo momento così simbolico, ma la verità è che ho un'unica, banale considerazione, che è poi comune a molte mamme: il tempo è volato via.
E' stantio dire che mi sembra ieri quando Ieie, piccolo e tremante, aspettava con i compagni davanti alla scuola la cerimonia di accoglienza dei bambini di prima. Era talmente teso e pareva minuscolo sotto quello zaino vuoto. A parte il primo anno, che forse per la fatica iniziale mi è sembrato più lungo, per il resto non so nemmeno io come abbiamo fatto a ritrovarci già qui. Erano i piccoli, da domani saranno tra i grandi della scuola.
Chissà cosa ricorderà Ieie della "primaria". Io ho memorie nitide e precise delle mie elementari. Ricordo mia nonna che mi chiedeva conto degli esami di quinta, la mattina, a casa sua, appena uscita da scuola; ricordo i pianti in braccio a mia madre sulla sdraio beige del balcone, quella che non esiste più, al pensiero che non avrei più rivisto i compagni di quegli, nella mia mente di bambina, interminabili cinque anni. Ricordo le amiche che sembravano dover essere per sempre e che invece non ho più rivisto.
Chissà cosa si porterà dietro mio figlio.
Io, per quest'anno, ho un solo piccolo desiderio: che il tempo rallenti un po', perché ho paura che, a quella campanella di inizio lezioni, seguirà rapida quella che ne segnerà la fine.

venerdì 14 settembre 2018

Leggiamolo insieme-Harry Potter e la camera dei segreti: libro+film+mostra

Harry Potter e la camera dei segreti rappresenta un punto di svolta nel ciclo del maghetto di Hogwarts. La capacità narrativa della Rowling si affina e diventa più sofisticata rispetto al primo volume, la storia assume i contorni di una saga grazie all'inserimento di elementi che torneranno utilissimi per comprendere gli ultimi libri e si innesca quel meccanismo a orologeria perfetto che è la vicenda del maghetto più famoso al mondo.
Dal mio punto di vista è di gran lunga superiore a Harry Potter e la pietra filosofale perché, pur conservando ancora quella spensierata fanciullezza che dal quarto volume in poi andrà stemperandosi in toni più lugubri, già mostra la maestria della Rowling nel creare misteri che lasciano col fiato sospeso, dal finale incredibile in tutti i sensi. Secondo come bellezza al prigioniero di Azkaban, che resta il mio preferito, ha riscosso grande successo nella nostra lettura collettiva, resa più agile dalle vacanze estive.
Questa volta il nostro eroe, al suo secondo anno a Hogwarts, sempre affiancato dai fidi Ron e Hermione, dovrà vedersela con una stanza leggendaria che forse esiste o forse no e con un mostro che pietrifica gli studenti. Tra voci disincarnate, diari segreti e pozioni polisucco, i tre amici giungeranno alla soluzione del mistero, che lascerà letteralmente di sasso.
La storia si arricchirà di nuovi personaggi, alcuni dei quali diventeranno nel tempo vecchie, care conoscenze, assumerà toni spassosi in presenza del professor Gilderoy Allock che Ieie e la Lolla hanno adorato, stupirà e no, non farà paura (cosa che molte amiche mamme mi chiedono quando i bambini raccontano di Harry Potter), nemmeno quando i mostri, dalla pagina del libro, si materializzano nell'omonimo film.
Secondo me i miei figli mi stanno ad ascoltare più per il piacere di vedere, a libro finito, il film, che per la lettura in sé, ma va bene così. Sono contenta di aver fatto scoprire loro questo mondo, sono contenta di scoprirlo attraverso i loro occhi perché rileggere i libri e rivedere i film con loro, mi restituisce tutto lo stupore e il fascino che i bambini provano approcciandosi alla saga di Harry Potter.
La Lolla si sveglia la mattina chiedendomi chiarimenti su qualche passaggio dello storia, Ieie ne memorizza le battute, insomma è HarryPottermania e a coronare il tutto, stavolta ho pensato di regalare loro un pezzetto di magia in più.
Così, per festeggiare la fine del secondo capitolo della saga, siamo stati alla Harry Potter Exhibition, la mostra che si è tenuta a Milano nello stabile della Fabbrica del vapore fino al 9 settembre scorso. L'attesa è stata spasmodica e febbrile per tutta l'estate. Poi, finalmente, l'8 settembre abbiamo visitato l'esposizione che, altro non è, che la mise en place del materiale usato per i film: costumi, oggetti di scena, allestimenti.
Si va dagli arredi della torre del Grifondoro alle scope per il Quidditch, dalla tunica di Silente alle mandragole e chi più ne ha più ne metta. Ci siamo divertiti molto a girare tra il materiale cercando di riconoscere ogni singolo pezzo e, anche quando si trattava di elementi o personaggi dei libri successivi che ancora non conoscevano, è stato bello curiosare con loro sui prossimi volumi, cercando, of course, di non svelare troppo.
Rinvasando mandragole
Dopo la mostra, a mente fredda, posso dire che forse, visto il contenuto dell'esposizione, il prezzo del biglietto potrebbe essere un tantino più contenuto (abbiamo speso mooolto meno per la Pinacoteca di Brera che è pur sempre la Pinacoteca di Brera), però i bambini sono tornati entusiasti, per cui alla fine, vista con i loro occhi, ne è valsa la pena.
Provando a segnare con la Pluffa
Harry Potter e la camera dei segreti di J.K. Rowling, Salani, traduzione di Serena Daniele

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

martedì 11 settembre 2018

Sulle smanie dell'inizio scolastico

Ritorni dalle vacanze e, senza nemmeno accorgertene, i soldi ti sgusciano fuori dal portafogli. Cene fuori? cinema? shopping selvaggio? Neanche a parlarne, la prima grossa spesa della stagione è il materiale scolastico. Ieri ho iniziato, senza peraltro concluderlo, il tour de force tra quadernoni e penne ritrovandomi a domandarmi come abbia potuto sborsare tutti quei soldi per un po' di cancelleria.
E no, io non sono una che vuole tutto griffato, tutt'altro, ieri, al centro commerciale, ero quella che ravanava nel cesto dei pacchi di quadernoni in offerta, alla ricerca dei più convenienti e che, quando si è arresa all'evidenza della fine dei quadernoni a righe di terza, anziché cedere alla proposta della Lolla che sventolava quelli di Elsa da € 1,50 l'uno, ha gridato "Giammai, piuttosto li faccio io con la fotocopiatrice e la spillatrice" (ok, non l'ho urlato ma l'ho seriamente pensato).
Così, sotto un sole ancora terribilmente caldo, siamo andate di negozio in negozio per tornare a casa con 45 tra quadernoni a righe e a quadretti (tutti in offerta). Esagerata? Eppure lo scorso anno ne comprai altrettanti e bastarono sì e no fino a Pasqua. Tempo una settimana e già la metà saranno foderati e destinati a una materia. Prendete un quadernone per storia, scienze e geografia a testa, tre per italiano, due per matematica, un altro ciascuno per religione, inglese, musica e arte, moltiplicate per due (figli) e i conti tornano. Attaccate schede su schede su ogni pagina e i quadernoni finiranno prima che riusciate a memorizzare l'associazione copertina/materia.
Non voglio rispolverare il solito "ai miei tempi", ma è un fatto che i quaderni (piccoli, compatti) che ho usato in cinque anni di elementari, sono all'incirca quanti quelli che Ieie ha fatto fuori nel solo primo anno di primaria.
E va bene che la didattica è cambiata e tutta la solita solfa, ma io, come dice lo spot, guardo al risultato, e non mi sembra che Ieie e la Lolla ne sappiano di più di me alla loro età. E no, non è perché io fossi più brava di loro (tutti i dieci che portano a casa io li vedevo col cannocchiale), è che semplicemente noi, si lavorava di più. Ho ancora l'incubo dei pomeriggi trascorsi a fare l'analisi grammaticale di interi brani del libro di testo, mi pareva che l'orologio si cristallizzasse mentre sottolineavo ogni parola con un colore diverso (blu per il verbo, rosso il nome, giallo l'aggettivo) e le riscrivevo sul quaderno con la relativa analisi.
Però io, a tutt'oggi, potrei fare l'analisi grammaticale solfeggiando su un piede solo, e non so se i miei figli, alla fine della primaria, ne saranno altrettanto capaci.
Così, dicevo, le prime banconote sono volate via solo per i quadernoni, e speriamo che siano soldi ben spesi.
Su qualche altro articolo richiesto dalla scuola, io, che sin da bambina ho avuto il complesso dell'autorità e non ho mai messo in discussione le richieste degli insegnanti, ho glissato con nonchalance. Mi riferisco alla etichette con nome e cognome con cui, dallo scorso anno, dovrebbero essere corredati tutti gli articoli in possesso degli studenti: dai quaderni ai libri, fino alle forbici e a tutti i pastelli.
Lo so che ci sono appositi siti Internet che te li stampano e te li inviano a casa (ma mica te li appiccicano, eh?), ma io lo scorso anno mi sono rifiutata di sottopormi a questa spesa.
I motivi, per parte mia, sono due, entrambi validissimi.
Il primo è che, con o senza nome, i bambini si perdono comunque il materiale scolastico. Le gomme per cancellare, per dire, le ho sempre vergate con il nome dei miei figli su ogni faccia. Questo, tuttavia, non ha impedito che il numero di gomme smarrite e mai più ritrovate sia comunque giunto a una cifra incalcolabile (e infatti mica lo so quante ne abbiamo cambiate negli anni). Sicché etichettare tutto, cui prodest?
Il secondo motivo è  che, se la scuola mi chiede di appiccicare etichette su tutto, anche dal primo all'ultimo dei 24 pastelli, evidentemente suppone che io non abbia nulla da fare e mi stia gentilmente suggerendo un modo per impiegare il tempo libero. Ma io, di tempo, ne ho poco, e quel che mi avanza, so già come impiegarlo di mio (per non parlar dei soldi), sicché siccome lo scorso anno nessuno ha eccepito sulla mancata etichettatura, qualora quest'anno la richiesta si dovesse ripetere, ho già pronta la risposta.
Comunque, io speriamo che me la cavo, e pure i miei figli, va.
I quadernoni oggi e i quaderni di un tempo

mercoledì 5 settembre 2018

Ciao, mare

Hai mai visto, veramente, il mare? Hai nuotato tra le sue onde, tagliandolo a vigorose bracciate, sentito la sua freschezza scivolarti addosso? Hai permesso al tuo corpo di divenire parte dell'acqua, mentre polmoni, occhi, naso perdevano la loro consistenza diventando liquidi essi stessi?
Hai lasciato la salsedine seccarsi sulla pelle, imperlarti le sopracciglia, infarinarti il viso?
Hai mai vissuto il mare? Hai respirato il suo profumo? Lo hai solcato a tutte le ore imparando come a ognuna corrisponda una sfumatura diversa di luce?
Sin da bambina ho sempre amato il mare. Il mio mare.

L'ho amato pazzamente quando saltavo i cavalloni sulla prua di una barca.
L'ho amato osservandolo attraverso le lenti di maschere che mi hanno insegnato a riconoscere fondali e colori di ogni singola insenatura.

L'ho amato quando ne esploravo le viscere scendendo sempre più giù.
L'ho amato anche quando, profondo e arcigno, non permetteva di vederne la fine mostrando solo l'angosciante incrocio dei raggi del sole.
Poi sono cresciuta e, come ogni amore che si rispetti, la maturità ha aggiunto a quel sentimento folle e sconsiderato, una scintilla di lucidità.
Ho cominciato a temerlo e a rispettarlo, dopo averne conosciuto l'imprevedibilità.
Ma ho continuato ad amarlo.
Lo amo quando sonnecchia placido e bellissimo sotto il sole e la sua chioma diventa d'oro; lo amo quando si increspa leggermente infastidito per un refolo troppo audace; lo amo quando, arrabbiato, ti scuote e ti strattona.

Lo amo vestito con i colori verdi e azzurri della spensieratezza, o col blu scuro delle grandi occasioni; lo amo al tramonto, quando stanco e incapace di opporsi, permette al sole di tingerlo di sfumature fosforescenti rosa e violette.
Lo amo persino quando si fa baciare dal sole, diluendosi in un rosso appassionato.

Come ogni anno le vacanze al paesino sono agli sgoccioli. Come ogni anno da tanti a questa parte, arrivano le giornate intrise di nostalgia e il cuore è un puntaspilli dove ogni ricordo lascia una piccola puntura. A volte vorrei saltarlo a pie' pari, questo momento che si trascina con malinconia, ma fa parte della vita, della fine di qualsiasi cosa bella. E il fatto che le vacanze al paesino, dopo tanti anni, sappiano ancora farsi rimpiangere è dopotutto un fatto positivo.
Non sarà solo il mare, a mancarmi, ma tutto ciò che questo spazio sconfinato racchiude: la libertà, la possibilità di vivere all'aria aperta, la vicinanza con vecchi amici e l'opportunità di trascorrere con loro tanto tempo assieme.
E poi, quest'anno, anche Ieie si approssima alla fine delle vacanze con un nuovo stato d'animo, quello di chi ha compreso il segreto, ineluttabilmente dolce-amaro, del tempo che se ne va.
Ha raccontato alla nonna di aver salutato un amichetto conosciuto in spiaggia, perché era l'ultima mattina in cui si sarebbero visti.
"Va be' - l'ha consolato mia madre - vi rivedrete l'anno prossimo".
"Sì ma non è la stessa cosa, perché l'anno prossimo sarò più grande".