Ultimamente, ascoltare musica alla radio risulta essere fonte di nervosismo piuttosto che di piacere. Le canzoni si susseguono uguali, monocorde, voci indistinguibili con ritmi tutti simili.
Mi sento un po' come mia nonna quando criticava i cartoni della mia infanzia perché ripetevano sempre "maledizione" e "dannazione", se non fosse che mia nonna era tutt'altro che il prototipo della vecchia bigotta, una lavoratrice piombata dalla Milano del secondo dopoguerra nel profondo Sud, che s'ingegnò per non rinunciare alle libertà con cui era cresciuta. A dire il vero, meriterebbe un racconto a parte. Ma, dicevamo, le canzoni.
Forse sono io che sono troppo fuori target per comprenderle, del resto i maggiori consumatori di musica sono i giovani, ed è giusto che a loro la musica si rivolga. Basterebbe questo a farci capire che contestare il sistema, sovvertire i valori, è il minimo sindacale del leitmotiv musicale. Diciamocelo, se Vasco avesse cantato il posto fisso anziché una vita spericolata, non sarebbe diventato Vasco, e del resto anche Venditti guardava con terrore all'idea che il suo compagno di scuola entrasse in banca (sebbene oggi, Zalone docet, il posto fisso sia diventato il sogno proibito di molti).
Ora, quindi, capisco che si contesti e non me la prendo per qualche parolaccia (son cresciuta con Masini che mandava tutti a quel paese); le "donnacce" si cantavano anche ai miei tempi, seppur con un che di doloroso e poetico assieme, e non mi scandalizzano le canzoni sul sesso, anche senza amore, sebbene Venditti non sarebbe d'accordo e Nek direbbe che si può fare ma non è lo stesso. Però, ecco, a forza di alzare l'asticella mi sembra che adesso non si sappia più dove andare a parare.
I test delle canzoni di questo periodo sono di un nichilismo imbarazzante, un elogio del vuoto pneumatico spinto. Esaltazione della fama fine a se stessa, del denaro come massima aspirazione per potersi permettere non una bottiglia di Moet ma tutto il bar (e magari distruggerlo anche, tanto chi se ne frega se c'hai il cachet?), o regali griffati da regalare alla prima bellona vistosa, disposta per questo a concedersi su due piedi.
I testi sensuali ci son sempre stati, si pensi a Danza sul mio petto di Antonacci, ma a quanto pare anche la metafora erotica è roba da museo. L'amore, ai tempi della musica di oggi, non solo è sesso fine a se stesso senza coinvolgimento e multipartner (e magari nel letto dei genitori giusto per sottolineare la giovane età dei protagonisti), ma è la morte civile di ogni sentimento, è, senza peli sulla lingua, solo scopare accompagnato da volgari giochi di parole, giusto per togliere ogni velleità di romanticismo. In più di un testo, uomini sognano grosse auto di lusso su cui far aderire il prosperoso posteriore della belloccia che li accompagna. Purché la signorina abbia una data di scadenza, perché tanto con lei due minuti e poi si arriva al dunque e quindi che non si sogni di essere richiamata, che d'altronde lui c'ha già pronto il rimpiazzo.
Trovo queste canzoni non solo di un maschilismo sfrenato, ma umilianti e offensive per il pubblico femminile. Foriere, a mio avviso, di una mentalità pericolosa.
Diglielo di usare un linguaggio giovane/Dillo a certa gente dai quaranta in su
cantava Ramazzotti, che in più di una hit ha parlato di conflitto generazionale, di incomprensioni con gli adulti (Ciao pa', Un cuore con le ali), rivendicando il diritto di seguire la propria strada e magari anche sbagliare. Ma qui siamo oltre, dimentichiamo la contestazione, adesso c'è solo un desiderio nichilistico di distruzione, magari guidando un meteorite sulla folla, per provocare un nugolo di macerie sopra le quali cercare il numero del pusher col proprio i-phone o sognare una fine come quella di Amy Winehouse.
Questo per quel che riguarda i contenuti, che se poi si guarda al cantare, la situazione non migliora.
Che poi, parlare di canto è forse un'esagerazione perché, a parte ritornelli che ti entrano in testa con un ritmo martellante, il resto è più un racconto in "rima" (se far rimare una parola con se stessa può definirsi rima, roba che ogni volta che Mogol la sente ha un mancamento), un susseguirsi di melodie magari accattivanti, intessute di un parlato fatto da voci tutte uguali, un unico lunghissimo pezzo che pare essere stato diviso in più brani per allungare il brodo.
Per carità, non è che tutti i cantanti di noi agée fossero degli usignoli però, a cantare, almeno ci provavano, e possedevano sonorità che li rendevano distinguibili gli uni dagli altri, uno stile personale che si rifletteva in testi cuciti sulle loro capacità. Accendevi la radio e subito riconoscevi il cantante, ti veniva in mente il suo nome: oggi è difficile pure quello, perché nessuno ha il coraggio di metterci il suo, di nome (e forse su questo gli darei anche ragione).
Ora, di tutto ciò non m'importerebbe un fico secco, ho una scorta di canzoni, vere, sufficiente a dilettare i miei attempati padiglioni, il fatto è che le radio (quelle che un tempo contribuivano a diffondere la Musica), solo questo propongono e i miei figli, come la maggior parte dei loro coetanei, questo cantano allegramente, blaterando, è vero, parole a casaccio senza capire, ma comunque introiettando contenuti che faranno parte del loro background. Se si pensa poi che le nuove generazioni sono numericamente sempre più esigue e che, per campare, le etichette musicali devono reclutare pubblico fin dalle elementari, ben si comprendono le mie perplessità.
La musica è il linguaggio dei giovani, ma un linguaggio dovrebbe veicolare un messaggio e io qui non trovo nulla che valga la pena diffondere, men che meno conservare.
Sarà questa la colonna sonora della giovinezza dei miei figli? Veramente non è possibile proporre loro qualcosa che li rappresenti in maniera più costruttiva?
Due sono le cose. O i giovani di oggi non hanno ideali, non hanno una visione personale, seppure in contrasto con la nostra, da proporre e propugnare, oppure la musica leggera è morta, ma, se così fosse, e qui termino, lo prometto, sarebbe triste perché
un mondo senza musica non si può neanche immaginare.
Diglielo di usare un linguaggio giovane/Dillo a certa gente dai quaranta in su
cantava Ramazzotti, che in più di una hit ha parlato di conflitto generazionale, di incomprensioni con gli adulti (Ciao pa', Un cuore con le ali), rivendicando il diritto di seguire la propria strada e magari anche sbagliare. Ma qui siamo oltre, dimentichiamo la contestazione, adesso c'è solo un desiderio nichilistico di distruzione, magari guidando un meteorite sulla folla, per provocare un nugolo di macerie sopra le quali cercare il numero del pusher col proprio i-phone o sognare una fine come quella di Amy Winehouse.
Questo per quel che riguarda i contenuti, che se poi si guarda al cantare, la situazione non migliora.
Che poi, parlare di canto è forse un'esagerazione perché, a parte ritornelli che ti entrano in testa con un ritmo martellante, il resto è più un racconto in "rima" (se far rimare una parola con se stessa può definirsi rima, roba che ogni volta che Mogol la sente ha un mancamento), un susseguirsi di melodie magari accattivanti, intessute di un parlato fatto da voci tutte uguali, un unico lunghissimo pezzo che pare essere stato diviso in più brani per allungare il brodo.
Per carità, non è che tutti i cantanti di noi agée fossero degli usignoli però, a cantare, almeno ci provavano, e possedevano sonorità che li rendevano distinguibili gli uni dagli altri, uno stile personale che si rifletteva in testi cuciti sulle loro capacità. Accendevi la radio e subito riconoscevi il cantante, ti veniva in mente il suo nome: oggi è difficile pure quello, perché nessuno ha il coraggio di metterci il suo, di nome (e forse su questo gli darei anche ragione).
Ora, di tutto ciò non m'importerebbe un fico secco, ho una scorta di canzoni, vere, sufficiente a dilettare i miei attempati padiglioni, il fatto è che le radio (quelle che un tempo contribuivano a diffondere la Musica), solo questo propongono e i miei figli, come la maggior parte dei loro coetanei, questo cantano allegramente, blaterando, è vero, parole a casaccio senza capire, ma comunque introiettando contenuti che faranno parte del loro background. Se si pensa poi che le nuove generazioni sono numericamente sempre più esigue e che, per campare, le etichette musicali devono reclutare pubblico fin dalle elementari, ben si comprendono le mie perplessità.
La musica è il linguaggio dei giovani, ma un linguaggio dovrebbe veicolare un messaggio e io qui non trovo nulla che valga la pena diffondere, men che meno conservare.
Sarà questa la colonna sonora della giovinezza dei miei figli? Veramente non è possibile proporre loro qualcosa che li rappresenti in maniera più costruttiva?
Due sono le cose. O i giovani di oggi non hanno ideali, non hanno una visione personale, seppure in contrasto con la nostra, da proporre e propugnare, oppure la musica leggera è morta, ma, se così fosse, e qui termino, lo prometto, sarebbe triste perché
un mondo senza musica non si può neanche immaginare.
Pensa proprio stasera mio marito è tornato con un cofanetto con 4 cd contenente tutti e dieci (anzi undici) concerti del Live 8 anno 2005 che ha preso in internet.Faccio qualche nome?
RispondiEliminaU2, Coldplay, Stereophonics, Stevie Wonder, Audioslave, The Who, George Michael, Alicia Keys, Muse, Sting, Richard Ashcroft, Annie Lennox, Good Charlotte ecc...ecc...ecc...
La musica ha sempre risposto all'esigenza del periodo. C'è stato il periodo della rabbia, quello della rivoluzione, quello dell'amore, quello del ricordo e il rimpianto. Ora è il tempo dell'immagine. Che rispecchia l'enorme fragilità di cui sono "composti" i ragazzi. Sono fragili, ma lo siamo stati tutti, ognuno a suo tempo e a suo modo. No, la musica leggera non è morta ma sta passando un periodo difficile assieme a noi. E si, forse stiamo invecchiando.
"How fragile we are..."
In effetti, che sto invecchiando, è stato il mio primo pensiero. Che noi "grandi" non possiamo comprendere, men che meno riconoscerci nelle canzoni dei giovani, è nell'ordine delle cose. Probabilmente anche mia madre aveva difficoltà a capire cosa ci trovassi nel Jovanotti che cantava "sei come la mia moto".
EliminaPerò un dubbio mi resta: a distanza di anni, ci sono canzoni della mia giovinezza che ascolto ancora con piacere perché non sono solo belle, ma anche portatrici di sentimenti che vanno dalla nostalgia alla disillusione. Ecco, mi chiedo, rimarrà qualcosa di queste canzoni passate oggi alla radio? I giovani di oggi vorranno ascoltarle ancora tra vent'anni?
Del resto anche Jovanotti/Lorenzo non è passato alla storia per La mia moto.
Beh, ma Lorenzo è un poeta metropolitano, come lo definisco io. È tutta un'altra storia😉e anche "La mia moto" ha un suo perché ahahahah😘
EliminaGuardo a Jovanotti e spero che tra i tanti giovani che ci sono oggi, "impegnati" a cantare canzoni leggere, ci sia qualcuno che segua il suo percorso e che, come lui, sappia crescere e rinnovarsi.
EliminaPerò, ecco, Jovanotti, anche da ragazzo, cantava Sex NO drugs and rock and roll, quindi su certi temi mi pare sia stato chiaro sin da subito.
Mi sa che c'è un perché se l'unico canale radio che ascolto è radio3, altrimenti mi deprimo troppo...
RispondiEliminaVedere che c'è qualcuno persino più intransigente di me mi consola 😂
EliminaLe canzoni attuali sono adatte ai cantanti che escono dai talent, belle voci,ma personalità un tanto al kg!
RispondiEliminaCiao Sara, devo dire che, sarà anche il modo di cantare, ma a me anche le voci sembrano tutte uguali! Sulla personalità non mi esprimo, in fondo sono molto giovani e il mondo della musica può essere un vero tritacarne.
EliminaGrazie di essere passata!