martedì 5 maggio 2015

Un bambino

"E allora andai ospite dalla zia Tina che viveva a G., perché qui in paese, allora, le scuole medie non c'erano. Stetti da lei un anno, poi la trasferirono, andò a lavorare in città e si fece ospitare da una parente. Io allora andai in collegio, poi quando la zia trovò casa in città mi prese con sé e rimasi con lei fino alla fine delle scuole".
"E papà? Anche lui andò a stare dalla zia Tina, no?".
"Sì, quando cominciò le medie. Ancora me lo ricordo, si era nascosto là, sotto il tavolo della macchina da cucire, piangeva e diceva 'Io voglio stare con la Titina mia'. Sai, la mamma era morta da poco".

Pur sapendo che anche i nostri genitori sono stati bambini, fa sempre un certo effetto scoprirli piccoli e indifesi. Non ho mai ignorato che mio padre avesse perso la madre nell'infanzia, ma non avevo mai veramente riflettuto su come questa perdita avesse influito sulla sua piccola esistenza di bambino di otto anni. 
Ho immaginato lui, così serio e poco incline ai sentimentalismi, poco più grande di Ieie, accucciato sotto un tavolo che si dispera perché non vuole essere separato dalla sorella di soli due anni più grande. E ho sentito una grande tristezza, una voglia di piangere e di consolare quel bambino di cui conosco solo la versione adulta.
E poi ho messo in fila i ricordi, ho ripensato al rapporto tra mio padre e mia zia, ho guardato quella loro affettuosità pacata e priva di gesti eclatanti, fatta di dialoghi, visite e aiuto nei momenti del bisogno e ho capito che quello che noi vediamo, e pensiamo di conoscere, è così poco in confronto a tutto quello che c'è stato. Ed è un vero peccato.

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