venerdì 11 ottobre 2019

L'Idiota

Ho iniziato la lettura dell'Idiota con l'acquolina in bocca: il pasto sarebbe stato impegnativo, lo sapevo, perché ci sono cibi che richiedono palati allenati ai sapori più insoliti, ma il risultato finale mi avrebbe più che soddisfatto, almeno leggendo i pareri di chi questo romanzo lo aveva affrontato prima di me.
Dostoevskij non è facile, e questo è noto, può risultare a tratti pesante da mandare giù, ma la spesa vale sempre l'impresa e così anche quando le prime difficoltà mi hanno fatto vacillare ho tirato dritto, certa che ne sarei stata ripagata da quel pensiero denso e ricco che vale la scalata.
Devo ammettere, però, che sono arrivata alla fine delusa e stremata, trascinata solo dall'orgoglio e da una forza di volontà messa a dura prova. Da questa storia del principe Myškin, tornato in Russia dopo un periodo in Svizzera per curare la sua epilessia, da qui l'epiteto idiota che più di uno gli affibbia, non sono riuscita a cavare un senso.
Nel viaggio in treno che lo riporta a Pietroburgo, il principe fa la conoscenza del passionale e inquietante Rogožin che ha perso la testa per Nastas'ja Filippovna, giovane bella e perduta di cui il principe si innamora al solo vederne il ritratto.
Arrivato in città ramingo e senza un soldo, Myškin va a trovare il generale Epančin, che ha sposato una sua lontana parente. Sebbene non si siano mai visti prima, il principe col suo bel parlare e con l'animo buono, ispira subito simpatia alla generalessa e alle sue tre figlie che, nonostante ribadiscano sempre e comunque che si tratti di un idiota, decidono di accordargli la loro amicizia e protezione.
Sarà comunque un'eredità da un parente lontano e quasi sconosciuto (di quelle che succedono solo nei romanzi, ma mai nella vita vera), a dare stabilità economica al principe che, per una serie di eventi, cercherà di sposare Nastas'ja per salvarla dalla perdizione. Da qui la narrazione si sposta nel tempo e nello spazio, per portarci a Pavlovsk, una località di villeggiatura dove Myškin  ha affittato una dacia vicino agli Epančin. Sappiamo che Nastas'ja ha rifiutato di sposarlo, è andata da Rogožin, poi è tornata dal principe, poi di nuovo da Rogožin promettendo di sposarlo nonostante sia consapevole che quell'uomo sarà causa della sua rovina. Nel frattempo il principe si innamora di una delle figlie degli Epančin, la bella e capricciosa Aglaja e tra bigliettini e lettere, false richieste di risarcimento e tisici melodrammatici arriviamo, forse, al fidanzamento tra i due. Sembra quasi fatta, quando Aglaja decide per un chiarimento con Nastas'ja, che nel frattempo l'ha scongiurata di sposare il principe.
E qui, attenzione allo spoiler, succede la frittata, perché il principe, che pare ami entrambe, alla fine decide di salvare Nastas'ja sposandola. Aglaja fugge oltraggiata, Nastas'ja trionfa lieta sulla rivale e Rogožin sparisce, salvo tornare per il gran finale. Il matrimonio, poi, non ci sarà, e almeno questa sorpresa la risparmio a chi vorrà leggere il libro, e tutti i protagonisti, Aglaja compresa, saranno destinati a una conclusione che definire triste è un eufemismo.
Raccontato così, l'Idiota sembra quasi movimentato, ma in realtà la trama è lentissima, inframmezzata da episodi che non fanno che rallentarla e contribuire a confondere un lettore che già è sufficientemente confuso sul senso dell'intera storia. Ho chiuso le pagine continuando a lambiccarmi il cervello sul significato profondo della trama (perché quello superficiale già sfugge alla logica umana). Ovunque si vada a cercare, i paragoni tra il principe Myškin  e Cristo la fanno da padroni. Il principe è il paradigma dell'uomo buono, dell'uomo che porta dentro di sé lo splendore di una bellezza che "attira e respinge allo stesso tempo".
Neanche le recensioni e le critiche più autorevoli sono riuscite tuttavia a chiarirmi il senso del libro, né tanto meno a restituirgli, ai miei occhi, quella bellezza di cui tanti parlano. Un po' me ne dispiaccio, mi sembra di aver perso un'occasione, di non aver centrato il bersaglio, d'altro canto non so davvero di cosa accusarmi, se non di non arrivare a comprendere quello che invece per altri pare sia lampante.
Se tuttavia qualche lettore che ha letto e capito il libro volesse condividere con me il suo parere, ne sarò ben lieta. Magari darò così un senso a qualcosa che per ora, per me, "un senso non ce l'ha".

L'idiota, di Fëdor Dostoevskij, Newton Compton Editori, traduzione di Federigo Verdinois

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

mercoledì 9 ottobre 2019

Bilancio della prima settimana di scuola, o giù di lì, secondo una madre (2)

Il secondo aspetto che mi è balzato agli occhi come madre di uno studente delle scuole medie riguarda l'annosa questione dei libri scolastici.
Ora, non mi soffermerò sull'argomento costi, sul quale penne più autorevoli della mia hanno versato fiumi d'inchiostro cercando, peraltro senza esito, di richiamare l'attenzione di chi di dovere. D'altronde finché il ministro dell'istruzione dibatterà di crocifissi nelle aule e assenze giustificate per manifestazioni climatiche, tutti temi che ti fanno approdare in prima pagina senza aprire i cordoni della borsa né studiare chissà quali strategie, di passi avanti se ne faranno pochi.
Ma torniamo ai libri, questi bei tomi che in un modo o nell'altro fanno dannare ragazzi e genitori. Tu, armato della tua bella lista, chiedi il testo di arte, o di tecnologia, o la grammatica italiana ed ecco la prima sorpresa. Ti viene consegnato non un volume o tuttalpiù due, ma quattro, cinque e pure sei.
Cominciamo con educazione fisica, o motoria o come si chiama adesso. Parliamo di tre libri, uno di teoria, uno di storia dello sport e un piccolo atlante di anatomia che hai visto mai ti venisse voglia di sfogliarlo tra una flessione e un addominale.
Proseguiamo con educazione musicale che consta di un libro per "capire la musica", un altro per "fare la musica" e il quaderno delle competenze (quest'ultimo un must per quasi tutte le materie, dacché la conoscenza non va più per nozioni, ma per le fantomatiche competenze: non sapere, ma saper fare).
Arte&immagine è a quota quattro. Il libro di storia dell'arte, quello su linguaggio visuale e tecniche, la guida allo studio sia mai non sapessi come fare e il museo attivo per lo sviluppo delle onnipresenti competenze
Saliamo di livello. Tecnologia, ben cinque tomi. Il manuale, il libro di sintesi per il ripasso e l'"inclusione", un manuale per il coding e la robotica e uno per il disegno e il progetto. Ah, e un volumetto con un bel malloppo di disegni tecnici da completare. Renzo Piano lèvate, una nuova generazione di progettisti è pronta a darti il cambio.
Concludiamo con italiano e la sua piramide di Cheope. Solo il manuale di lettura, poveretto, conta due libri (antologia ed epica), ma siccome ogni anno va ricomprato ci sarà tempo e modo di recuperare. Poi arriva la grammatica ovvero, un manuale, un testo per scrittura e abilità linguistiche, un altro di laboratorio (?) e due quadernetti, uno con le schede di lessico e l'altro con gli schemi di sintesi e ripasso. In tutto sette mattoni che spaccano la schiena.
Sì, perché se voi editori polverizzando l'offerta in volumi e volumetti vari pensavate di dare un senso ai vostri prezzi facendoci apprezzare la quantità di roba che ci stavate appioppando; o se invece volevate facilitare i ragazzi che così, di volta in volta, portano a scuola solo il fascicolo che serve, avete sbagliato due volte.
La prima perché molti di questi volumi ho il sospetto rimarranno intonsi a prender polvere sugli scaffali. Altro che affare vantaggioso.
La seconda perché in assenza di indicazione da parte degli insegnanti (e vi assicuro che a parte rare eccezioni, indicazioni non ne danno), gli alunni più ligi porteranno a scuola tutti i libri. Come fa mio figlio, scoperto con la soma di cinque volumi di grammatica e dell'antologia per una sola ora di italiano.
Di questo passo due sono le certezze: la necessità di dover ricomprare al più presto uno zaino e la scoliosi.
Al di là del peso della conoscenza, infine, l'amarezza del genitore moderno si materializza nel leggere alcune misteriose diciture sulle copertine dei libri di testo. Diciture già viste, che sperava fossero mero appannaggio della scuola primaria e delle quali invece, ahimè, pare proprio non si possa fare a meno. Le sopracitate (e sopravvalutate) competenze, ad esempio, i compiti di realtà (ogni quaderno degli esercizi degno di questo nome si fregia di cotanto contenuto, per farci interrogare, noi vecchi, sull'astrattezza dei compiti della nostra era), la didattica inclusiva che vorrei tanto sapere che d'è, visto che quando penso alla mia amica con figlio diversamente abile spesso e volentieri costretto a rimanere a casa per esplicita richiesta della preside e delle insegnanti, di inclusivo nella didattica non ci trovo un granché.
Ma bando alle ciance, dopo tutto l'importante è che i nostri ragazzi traggano il maggior profitto da questi tre anni che si aprono davanti a loro, perché, libri o non libri, come sempre da che mi ricordi, nel bene e nel male sono gli insegnanti che fanno differenza.
Infine, per tornare all'argomento del mio post precedente (e giuro che sarà l'ultimissima volta che parlo di ragazzini e telefoni perché la questione ha dato di stomaco persino alla sottoscritta), vorrei notare come i tentativi di noi genitori di arginare l'uso degli smartphone nei figli si scontri anche con le istituzioni, scuola in primis. Alle media di Ieie, come mi risulta in tante altre, gli alunni sono tenuti a consegnare il cellulare appena arrivati in classe, ma, mi spiegava un'amica docente di matematica, i ragazzi più seguiti dalle famiglie, il telefono a scuola non lo portano proprio. E così abbiamo fatto anche noi, consapevoli che tanto, essendo la scuola a 13 chilometri da casa, ci sarà sempre qualcuno a portare e prendere Ieie, sicché cui prodest il cellulare?
Ebbene, sono stata costretta a fare dietrofront davanti alle rimostranze di mio figlio, quando l'insegnate di Arte ha consentito l'uso del telefono in classe per ascoltare musica e trovare così l'ispirazione per disegnare. Basita e interdetta ho dovuto cedere a che lo portasse a scuola quando ha disegno, perché era l'unico sprovvisto.
E quindi niente, se anche la scuola legittima l'uso del telefono in classe, durante le lezioni, mi pare che noi genitori duri&puri non possiamo proprio più fare affidamento su nessuno. Però poi, per favore, non venite a lamentarvi con noi genitori.