giovedì 31 dicembre 2015

Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano

Un paio di mesi fa, sulla tv pubblica è andata in onda la nuova serie del giovane Montalbano, tratta dai romanzi di Andrea Camilleri. Sono riuscita a vedere alcuni degli episodi anche se, raramente, forse solo una volta, sono arrivata alla conclusione, perché a pochi minuti dalla fine la stanchezza ha avuto il sopravvento e mi ha stecchita sul divano lasciandomi nell'incertezza sulla soluzione del caso. Sia ben chiaro, la colpa non è delle trame montalbanesche incapaci di suscitare suspense, ma della mia vita notturna frenetica, e tutt'altro che appassionante.
Il caso ha tuttavia voluto che mi venisse regalato il libro da cui sono stati tratti alcuni degli episodi della serie e ho quindi potuto colmare le mie lacune attingendo direttamente alla fonte.
"Morte in  mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano", al contrario dei romanzi in cui il commissario di Vigàta appare in versione matura (quelli vestiti da Luca Zingaretti, per intenderci), non si focalizza su un'unica indagine, ma è composto da otto racconti brevi, ognuno con un proprio mistero da svelare. Il lessico, le atmosfere, anche i personaggi, sono quelli a cui Camilleri ci ha abituato. Cambia solo il genere, dal romanzo al racconto, e il tempo in cui si svolgono le indagini del nostro commissario.
Dimenticatevi il XXI secolo, i cellulari, Internet e l'analisi del Dna, Camilleri ci riporta indietro di oltre trent'anni, tra la morte di Sindona e l'attentato a Giovanni Paolo II, quando le spalline erano un must e il televisore aveva ancora il tubo catodico, ma i vizi degli abitanti di Vigàta, e degli italiani, coincidevano già con quelli contemporanei.
Traffico di droga, amanti che non si arrendono, uomini politici coinvolti in scandali sessuali e magistrati compiacenti, condiscono le trame di questi racconti. Otto bon bon da scartare, con il sapore classico delle storie di Montalbano ma da gustare in poco tempo così che chi, come me, non riesce a darsi pace per scoprire il nome del colpevole, deve attendere solo lo spazio di qualche pagina.
Esilarante l'inizio de La transazione, il quinto racconto della serie. Se persino io, di solito così composta e seria, non ho potuto fare a meno di sbottare in una risata, al punto da attirare l'attenzione di un curioso Ieie, vuol dire che siamo davanti a un maestro nel tirare i fili del racconto.
Bello, da far venire i lucciconi, il conclusivo Il ladro onesto. Che a sapere che in Italia ci fosse anche solo un poliziotto, e un malvivente, così, forse potresti anche ricrederti sull'animo umano. Forse potresti credere che c'è ancora un po' di speranza.



Morte in  mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano, Andrea Camilleri, Sellerio editore Palermo









P.S.
Da segnalare che nell'unico episodio trasmesso in tv di cui abbia visto il finale, il colpevole non coincide con quello del libro. Mi sto ancora chiedendo, vista la mia scarsa lucidità serale, se in realtà non mi sia sognata tutto.

giovedì 24 dicembre 2015

Caro Babbo Natale

"Caro Babbo Natale vorrei un Clempad sette anni e Raul ça Roule macchina Cars. Mia sorella un tablet di Barbi e la scuola Playmobil".
"Fatto".
"Ma come, finisce così?".
"Ma mamma,che devo mettere?".
"Non so, un saluto. Una firma, tò, se no che ne sa chi gli scrive".
"Aspetta, aspetta, so io cosa scrivere".
"Non mi deludere, Ieie".
"Non mi deludere? E per tutte le volte che hai fatto i capricci, Babbo Natale che dovrebbe dire? Magari anche lui è un po' deluso dal tuo comportamento".
"Uffi, allora che scrivo?".
"Te lo dice la nonna cosa puoi scrivere: Grazie, Ieie".
"Grazie!?!? Ma se non mi ha ancora portato niente! Grazie di che?".

Non so se sentirmi consolata dal fatto che anche Babbo Natale, oltre a noi genitori, ha perso in rispetto e autorevolezza. Speriamo solo che domani mattina da casa nostra non parta una vibrante lettera di protesta diretta al Polo Nord.

mercoledì 16 dicembre 2015

Allarme nel presepio

Avere figli è come fare continui viaggi nel passato riassaporando memorie e sensazioni perdute. E' successo ieri, quando Ieie ha scandito il titolo della lettura assegnata per i compiti a casa. "Allarme nel presepio", ha detto, e una fioca luce si è accesa nel mio cervello, stile madeleine di Proust, e ho iniziato a pensare che quel titolo mi ricordava qualcosa, qualcosa che anch'io avevo letto nella mia infanzia.
Ora, in altri tempi per soddisfare tale curiosità avrei dovuto recarmi a casa dei miei e spulciare libri di scuola e non. Mi ci sarebbero volute settimane. Ieri, invece, sono andata di Google e ho avuto subito la risposta. "Allarme nel presepio" è un racconto aperto di Gianni Rodari. Ecco che la memoria, ripartita come un vecchio pc, mi è venuta in aiuto: si tratta di uno dei brani contenuti in "Tante storie per giocare", uno di quei libri che, nella mia infanzia, ho letto e riletto fino alla consunzione. Chissà perché, poi, a dieci anni uno ha questa strana abitudine di rileggere le stesse cose. Forse perché ti sembra di avere tutto il tempo del mondo a disposizione, o forse perché a quell'età la ripetizione ha un potere mistico e niente a che vedere con la noia.
Fatto sta che quel libro conteneva racconti con tre finali così che il lettore potesse scegliere il più gradito. Quando Ieie ha tirato fuori la fotocopia contenente la lettura (Ecco, qui devo aprire una parentesi. Perché alle elementari, pardon primaria, di oggi si fa quest'uso smodato delle fotocopie? I libri, pochi e sottili, sembrano sempre inadeguati alle esigenze didattiche. La classe di Ieie, ad esempio, non ha un testo per la grammatica e gli esercizi avvengono tramite fotocopie che quello smandrappato di mio figlio tira fuori dallo zaino, sempre che arrivino a casa, tutte sgualcite. Non sarebbe più ecologico adottare dei libri? E poi, mi viene in mente una domanda maligna. Non è che quando i testi non saranno più a carico della scuola, ma di noi genitori, improvvisa riemergerà la necessità di dotarsi di decine di volumi? Chiusa parentesi), tirata fuori la fotocopia, dicevo, ho notato che il racconto proposto era un sunto estremo dell'originale, peraltro privo di finali.
Google mi ha dato una mano ancora una volta e ho letto a mio figlio l'intera storia. A poco a poco l'immagine che un tempo mi ero fatta del racconto è ritornata nella mia mente come una foto sottratta alla polvere. La chitarrista hippy, uno degli intrusi messi dal bambino nel presepe, è riemersa col suo caschetto giallo e, prima ancora di leggerlo, mi sono ricordata che era un pupazzetto trovato in un fustino di detersivo per lavatrice (il fustino, che oggetto vintage!). Ma quel che mi ha colpito di più sono stati i finali.
All'epoca i tre finali delle storie mi sembravano tutti simpatici, sì qualcuno più bello degli altri, ma non avevo mai notato o, non so, forse non ricordavo, che invece dei tre, due erano proprio da pollice verso. Mi spiego. Nel primo finale gli intrusi, un aviatore, una chitarrista e un pellerossa, poiché non graditi agli ospiti tradizionali del presepe, decidono di andarsene. Nel secondo, per farsi accettare, cambiano e si omologano a pastori &C. Nel terzo, il re magio Gaspare riesce a riportare l'armonia facendo notare che Lui è nato per tutti gli uomini di buona volontà, senza distinzione di razza, usi e costumi.
La prima sensazione è stata di vergogna, perché quel racconto, così attuale, mi ha fatto riflettere su come spesso ci dimentichiamo di questa semplice verità. La seconda, è stata di ulteriore vergogna. E se il fatto che da bambina trovassi tutti i finali simpatici, anche i primi due, così scorretti, fosse dovuto alla mancanza di pregiudizi dell'infanzia? Se l'uguaglianza fosse stata così scontata, da trovare semplicemente buffe la fuga e il cambiamento degli intrusi?
Come si dice, Omnia munda mundis...

domenica 13 dicembre 2015

Sette

Ricordo bene la colazione di sette anni fa: panettone e caffè. La ricordo perché me lo chiesero prima di entrare in sala operatoria. Si sa, un intervento va affrontato a stomaco vuoto e io, che non mi aspettavo quel cesareo a sole 30 settimane e tre giorni, uno prima della fine del settimo mese, quella mattina aveva fatto tranquillamente colazione.
Sarebbe stata l'unica cosa tranquilla della giornata. Dopo, tra sangue e sirene, saresti arrivato tu. Improvviso, inaspettato, in un mare di cose lasciate incompiute come quella gravidanza. Un presepe fatto a metà, regali natalizi prémaman che non sarebbero serviti, e un cornetto di corallo portafortuna comprato a Napoli e giunto troppo tardi.
Sei arrivato così, in una bella giornata di sole dicembrino, con un cielo terso come quello che oggi sembrava voler festeggiare il tuo settimo compleanno. Sei arrivato e sei rimasto due mesi in ospedale, a farmi sentire una madre a metà: con un figlio neonato, ma libera di fare tardi la sera. Mi chiedo spesso quanto questo abbia contribuito a determinare i nostri rapporti.
Ultimamente non facciamo che discutere. Mi sembra di essere in una perenne preadolescenza, con te che ti adombri, non ascolti e provochi ed io che mi tormento dietro ai tuoi silenzi, mi sgolo e minaccio. Lo so che sei fatto così, son fatta così anch'io, siamo due ipersensibili pronti a scattar su alla minima avversità e di ogni pozzanghera facciamo un fossato, ma leggere tra i tuoi silenzi e musi lunghi non è per niente facile.
Vorrei che ti arrivasse presto il dono di capire che non siamo trasparenti, e che l'ineffabile non può essere compreso, nemmeno da chi ci ama di più. Vorrei che ti arrivasse presto il dono del coraggio, il coraggio di dire cosa ci fa star male, anche quando rischiamo di sembrare assurdi.
Eppure c'è ancora qualcosa di quel bambino boccoloso, quel frugoletto con cui passavo tanti pomeriggi complici prima che, duenne, fosse investito suo malgrado del ruolo di fratello, e bambino, grande. Lo vedo in quegli slanci affettuosi, anche quando non sono per me. Lo vedo nell'ingenuità con cui ti entusiasmi per Buzz e Woody, al punto di averli voluti sulla tua torta di compleanno per mostrarli ai tuoi amici che non conoscono i cartoni Disney. Lo vedo nella fanciullezza con cui ti trastulli nei tuoi pensieri di settenne che non ha fretta di sembrare più grande. Lo vedo nell'entusiasmo con cui hai atteso questo tuo compleanno, al punto da annunciarlo anche alle persone con cui non hai molta confidenza, in barba alla tua timidezza, perché "sono contento di dire che è il mio compleanno".
Allora buon compleanno, amore. Noi, tra festa, inviti, dolci e personaggi di Toy Story, abbiamo fatto il possibile. Spero sia stato davvero un giorno speciale, un giorno senza fossati, né pozzanghere, ma solo con un bellissimo sole.

martedì 1 dicembre 2015

Un giorno qualunque

Un giorno qualunque è quello in cui, per caso, da una delle tante chat whatsapp che ormai popolano il tuo smartphone (di classe, di catechismo, di danza, degli amici e sottogruppi di amici), ricevi un messaggio: "Perdete tempo a giocare coi vostri figli. Il tempo che si dedica alla famiglia non è tempo perso". Il messaggio non  te l'ha mandato direttamente il papa, autore della frase, ma tant'è, lascia il segno uguale. E non puoi fare a meno di pensare mortificata a tutti i sono stanca, non ho tempo, devo finire qui, non vedi che sto facendo?, che quotidianamente ti sfuggono davanti alle richieste dei tuoi figli.
Un giorno qualunque è quello in cui, ripensando al messaggio, quando tuo figlio ti chiede "Dopo i compiti facciamo qualcosa insieme?" rispondi prontamente di sì.
Un giorno qualunque è quando giochi a Twister, che a tuo figlio piace tanto. Un giorno qualunque è quando vi mettete a fare le tagliatelle, quelle vere, all'uovo, precise precise grazie alla macchinetta a manovella che tira e affetta la sfoglia, altro "gioco" molto gradito, per poi mangiarle e scoprire che sono buone.
In un giorno qualunque vedi tuo figlio sereno e felice come non succede da tempo.
In un giorno qualunque ti sembra il bambino più buono del mondo.
In un giorno qualunque ti senti, se non la migliore madre del mondo, quantomeno una madre accettabile.