mercoledì 30 dicembre 2020

Tre desideri per l'anno nuovo

 Se potessimo esprimere un desiderio per il nuovo anno, sono sicura che in maggioranza chiederemmo la fine immediata dell'odiato covid con tutto ciò che questo comporterebbe, la guarigione delle persone ancora in ospedale e la ripresa delle attività lavorative in primis.
Assodato questo augurio corale, per il 2021 avrei anche tre piccoli auspici, no anzi, proprio tre richieste che spero possano essere esaudite.
3) La fine delle conferenze stampa di Conte. Ecco, mi auguro che l'anno nuovo, oltre che covid free, sia anche Conte's press conference free, perché già è brutto che ogni tre per due le maglie della tua libertà si restringano, se poi, prima di ogni nuova regola, il presidente del Consiglio ti deve attaccare un pippone interminabile per spiegare la rava e la fava della necessità di cotale scelta, cercando di convincerti che è per il tuo bene, tutto ciò diventa proprio una tortura cinese. Un po' come se il giudice, prima di quantificare la condanna (perché sai che ti condannerà), ti tormentasse con una paternalistica spiegazione sui benefici che la permanenza in carcere ti garantirà o se il meccanico si dilungasse in inutili valutazioni tecniche sulla fenomenologia del parafango prima di dirti a quanto ammonta il danno.
2) La fine delle mielose (e inutili) frasi ipocrite. Se sento un'altra volta che andrà tutto bene tiro fuori il mitra. Non parliamo di "è come quando c'era la guerra" (ah sì, perché c'eri?), "ma che vi costa rimanere a casa? in fondo vi chiedono solo di starvene seduti in poltrona" (di solito detto da chi percepisce il suo stipendio per intero), "sarà un Natale più semplice ma più vero" (sì come no, e poi "ne usciremo tutti migliori"). Pietà e misericordia 2021, liberaci da questa valanga di cliché che non aiutano a stare meglio, ma nella maggior parte dei casi aumentano solo il tasso di intolleranza.
Immagine presa dal web
1)  Poter uscire di casa senza prima interrogare il tuo smartphone per capire cosa puoi fare e cosa no. Non chiedersi "è consentito?" per la qualunque, se un amico ha bisogno di un passaggio, se vuoi andare in città a trovare i tuoi (o a comprarti una qualsiasi cosa), se piove a dirotto e un amico di tuo figlio ha bisogno di ripararsi a casa tua. Non uscire ogni volta dal supermercato carica di scorte come se il giorno dopo dovesse scoppiare la guerra, perché "magari domani cambiano le regole e non posso più venire qui a fare la spesa". Non tenermi a distanza dalle persone, non muovermi intorno agli amici seguendo percorsi tortuosi fatti di spazi e vuoti. Non contare i canonici 14 giorni per capire se sono sommersa o salvata, ogni qual volta mi sembra di aver fatto qualcosa di "pericoloso". Spero che il 2021 eradichi queste bizzarre e atroci abitudini che hanno preso possesso del mio cervello. E ci restituisca la vita.
Che questo 2020 fatto di rinunce e di giorni sempre uguali, a pensarci ora, mi sembra di non averlo vissuto per niente.
Immagine presa dal web


venerdì 18 dicembre 2020

Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh

Benvenuti nell'isola di Combe, paradiso al largo della Cornovaglia accessibile a pochi, selezionati ospiti. Qui troverete silenzio, tranquillità e riservatezza, sarete accolti in comodi cottage e assistiti da personale discreto e sollecito. Non abbiate remore, se avete i requisiti per accedere, Combe non vi deluderà.
Be' sì, certo, almeno finché uno degli ospiti non verrà trovato impiccato al faro dell'isola e da Scotland Yard invieranno l'ispettore Adam Dalgliesh a sbrogliare quello che ha tutta l'aria di essere la messa in scena di un suicidio.
Ma chi aveva interesse a far fuori il famoso scrittore Nathan Oliver? Forse l'assistente che si era innamorato, ricambiato, di sua figlia, mandandolo su tutte le furie; oppure il tuttofare dell'isola che secondo Oliver non ne combinava mai una giusta; o ancora l'infermiera Jo Staveley e la governante Mrs Burbridge che gli rimproveravano di aver fatto ricadere nel vizio dell'alcol il fragile Boyde; magari Mark Yelland, con cui aveva litigato la sera prima della morte; no sicuramente Jago, marinaio e guardiano di Combe, legato ad Oliver da segreti provenienti da un lontano passato, d'altronde chi meglio di Jago per una vendetta? Certo è che questo scrittore non suscitava molte simpatie.
Il caso, comunque, dovrebbe essere di facile soluzione. L'omicida è uno dei pochissimi tra ospiti e lavoratori ammessi nell'isola, sbarcare senza autorizzazione e senza essere visti è praticamente impossibile e se si aggiunge che a indagare c'è uno dei migliori investigatori di Scotland Yard con la sua squadra, la soluzione è a portata di mano. Ecco che però a complicare la partita arriva un secondo omicidio e una malattia contagiosa, la Sars, che impedisce a chiunque di arrivare o lasciare l'isola in una convivenza con il presunto assassino che si fa ancora più pericolosa.
Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh chiude la trilogia sull'investigatore in bellezza, unendo agli elementi classici del giallo (il numero circoscritto di sospetti, la possibilità che ognuno di loro sia il colpevole), il paesaggio selvaggio di un'isola inventata di sana pianta ma incredibilmente suggestiva e il colpo di scena della Sars che contribuisce ad aumentare la tensione della storia. Come tutti i gialli della trilogia, e come la trilogia stessa, parte in sordina, come un diesel, con un prologo che snocciola dettagli sulla vita dei protagonisti e sulle abitudini di Combe, per poi catturare pian piano l'attenzione e l'entusiasmo del lettore.
A parte qualche dettaglio che meriterebbe un approfondimento e che è dovuto certamente alla longevità e prolificità dell'autrice (Dalgliesh alla sua prima apparizione negli anni '60, aveva 35 anni, in questo romanzo, ambientato nel 1998, dovrebbe averne a rigor di logica 70, ma è poco verosimile che sia ancora così scattante e preso da storie d'amore, soprattutto considerando che la vittima, più giovane di lui, viene definita un vecchietto), il racconto si snoda con precisione e maestria. Se poi si pensa che la James all'epoca della pubblicazione aveva superato gli 80 anni, non si può che rimanere sbalorditi dalla capacità di aggiornare il personaggio di Dalgliesh (e le tecniche di indagine) rendendolo al passo coi tempi senza fargli perdere la sua anima.
A conti fatti, insomma, l'incontro con questa autrice e con il suo personaggio più famoso si è rivelato più che positivo e questo è solo un arrivederci in attesa di ritrovarci nuovamente. D'altronde ho capito che Dalgliesh e la James sono come il vino, più invecchiano più migliorano.

La seconda trilogia Dalgliesh-Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh di P. D. James, Oscar Mondadori, traduzione di Grazia Maria Griffini

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lunedì 14 dicembre 2020

Dodici

 E' stato un compleanno strano, con le mascherine, gli abbracci mancati, la distanza e il non saper cosa si può fare e cosa no. Strano come il giorno della tua nascita e forse è per questo che, dopo non averci pensato più per anni, il ricordo di quella corsa a sirene spiegate in un freddo sabato di dicembre, della cresima mancata, delle giornate in ospedale, è ritornato prepotente a più riprese, a ondate, come le fitte di dolore che mi attraversavano in quelle giornate.
Quello di ieri è stato un compleanno strano a coronamento di un anno ancor più strano, iniziato con un ragazzino alle prese col passaggio alla scuola media, timoroso e restio a uscire con gli amici, a lasciare il nido, preda, anche, di attacchi di panico e finito con un dodicenne che brama ardentemente di vivere la sua vita. Uscito dal primo lockdown come un bruco dopo la metamorfosi, ansioso di lasciare casa, di unirsi al gruppo, ma anche più lungo, con una voce più spessa e più roca, che a ogni mattino mi pare cambiata, i primi brufoletti sul viso e un accenno di baffi scuri.
Che fine ha fatto il bambino coi boccoli dorati? Che fine ha fatto il mio bambino?
E' da tempo ormai che non faccio più il paragone. Il paragone può sembrare assurdo e ingiusto detto da una madre, ma quando partorisci uno scricciolo di 1 chilo e 300 grammi a sole 30 settimane e 3 giorni di gestazione, confrontare i progressi della crescita con i coetanei a termine è quasi un passaggio obbligato. Sono stati anni duri, fatti di controlli misti a timori, di paure velate di speranza. E poi, a un tratto, li ho dimenticati.
Ritornano adesso, al culmine di un anno strano.
Per tanto tempo mi sono domandata il perché. Passata la tempesta, non più. 
Poi incontri una persona che ti racconta di una bambina persa pochi minuti prima del parto. Una strozzatura del cordone, pare, un evento raro, imprevedibile. E ti ricordi. Ti ricordi di quel ginecologo che aveva studiato il tuo, di cordone, che guardando attentamente quella forma un po' fuori dal comune aveva sentenziato che avrebbe potuto dare problemi alla fine della gravidanza, ma comunque di non preoccuparmi che io, con una placenta previa centrale, avrei partorito prima del termine e alla fine della gravidanza non mi ci sarei avvicinata. E ad anni di stanza, dopo domande e rimuginamenti senza risposta, finalmente capisci. E ti dici che forse quel parto prematuro in fondo, ti ha salvato la vita. E se tuo figlio è nato il 13 dicembre un perché c'è.



venerdì 4 dicembre 2020

Made in Italy? Il lato oscuro della moda

 
Circa un paio di anni fa, la trasmissione Report dedicò una puntata dal titolo Pulp fashion alle dinamiche, e storture, dell'industria della moda italiana. Proprio in coda al servizio un tale Giuseppe Iorio spiegava come il crescente fenomeno della delocalizzazione avesse lasciato senza lavoro tanti nostri bravi artigiani, depauperando il territorio di competenze che per anni erano state il fiore all'occhiello del made in Italy e che si sarebbero presto perse per sempre.
Giuseppe Iorio è un responsabile tecnico di produzione per diversi marchi del lusso, ovvero quello che viene incaricato di scovare nei posti più sperduti del pianeta fabbriche disposte a produrre i capi per i marchi del lusso a prezzi sempre più bassi, affinché le grandi griffe possano guadagnarci cifre scandalose. A furia di girare per luoghi desolati e desolanti, di visitare fabbriche simili a lager dove le parole igiene e sicurezza sono bandite, dopo aver scoperto il 49° stato europeo, la Transnistria, un'enclave della mafia russa dove si può produrre a condizioni veramente vantaggiose, Iorio ha deciso di dire basta e di raccontare cosa si nasconde dietro i miliardi delle grandi aziende della moda italiana, mettendo tutto nero su bianco in Made in Italy? Il lato oscuro della moda.
E' un piccolo libro, 132 pagine appena, che tutti, a mio avviso, dovrebbero leggere, a prescindere dall'interesse per l'abbigliamento e i "marchi", per comprendere come un settore che era la nostra punta di diamante viva ora di luce riflessa, avendo sacrificato qualità di materiali e lavorazione, ricerca e soprattutto dignità dei lavoratori, al dio denaro.
Il comparto della moda lusso fattura in Italia circa 90 miliardi l'anno, di questi 20 vanno ai dieci gruppi più grandi (Tod's, Armani, Max Mara per fare un esempio), che in Italia impiegano solo 15mila addetti quando potrebbero dare lavoro a 200mila persone. Invece si preferisce produrre all'estero, dove le competenze sono inferiori, i capi lavorati in capannoni fatiscenti e i lavoratori trattati come schiavi, non perché non si riescano a coprire i costi, ma perché si vuole aumentare a dismisura la fetta di guadagno. Un capo fatto in Transnistria costa 20 euro invece dei 35 pagati a un fornitore italiano. Se si pensa che in una boutique di via Condotti verrà rivenduto a centinaia, o migliaia, di euro ci si rende conto dell'inghippo.
Un industriale come Remo Ruffini, quello che ha comprato Moncler e per prima cosa ha sostituito alle costose e morbide piume di oche francesi quelle economiche cinesi che sforacchiano il tessuto e fuoriescono dall'imbottitura, ci spiega Iorio, dovrebbe rinunciare solo a 10 dei 250 milioni che guadagna ogni anno per dare lavoro a 6mila addetti in Italia. Invece preferisce produrre all'estero mentre alle convention degli industriali si dà da fare per sostenere che pur di evitare l'aumento dell'Iva è opportuno tagliare sulla sanità (sic!).
Sembra quindi che la moda italiana, invece di investire nella ricerca di materiali e tecniche, si premuri di ricercare i luoghi più poveri del pianeta per sfruttarli ben bene, salvo poi abbandonarli a se stessi quando i lavoratori cominciano ad alzare la testa. Questa rincorsa al taglio dei costi ha fatto terra bruciata nel mercato italiano, dove le aziende chiudono per assenza di commesse e le capacità artigianali affinate per anni, si perdono per mancanza di lavoro.
Quel che resta nella vetrina della boutique è un semplice miraggio. Un prodotto senza qualità, che di made in Italy ha ben poco, forse il disegno del modello e a volte neanche quello, ma che si può definire fatto in Italia grazie a leggi ad hoc votate da parlamentari amici, che vive del fascino che il marchio ha acquisito in passato e cerca di rianimare a suon di costosi spot. Come direbbe Iorio, pensiamo bene a cosa si nasconde veramente dietro i luccichii del faretto alogeno.
E se non avete soldi da buttare...buona passeggiata.

Made in Italy? Il lato oscuro della moda, Giuseppe Iorio, Castelvecchi

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venerdì 20 novembre 2020

Per cause innaturali

Con Per cause innaturali, la Seconda trilogia Dalgliesh si alza di livello, sia di spessore narrativo che di ambientazione.
Il romanzo si apre con una barca alla deriva contenente un cadavere dalle mani mutilate (sì proprio lui, l'incipit da brivido). Ci troviamo nel Suffolk, nel villaggio di Monksmere o meglio tra le case sparse sulla scogliera, lambite dalla salsedine e schiaffeggiate dal vento, che ospitano scrittori di diversa fama e ancor più diversa competenza.
A riunirli, una sera di ottobre, è la scomparsa di Maurice Seton, giallista di cui da un paio di giorni nessuno dei vicini ha più notizie. E' proprio il suo cadavere che la corrente porta alla deriva su una barchetta, uno scenario che ricorda in modo sinistro l'incipit dell'ultimo romanzo che stava scrivendo.
Adam Dalgliesh stavolta potrebbe, e vorrebbe, come dire, lavarsene le mani. In fondo lui si trova a Monksmere in vacanza ospite dalla zia, e poi l'ispettore Reckless ha già assunto la direzione delle indagini, ma il problema è che l'unica persona a non avere un alibi per la sera della scomparsa di Seton è proprio sua zia. Urge quindi darsi da fare e cercare di capire come mai un uomo che, secondo l'autopsia, è morto per cause naturali, sia stato amputato delle mani e deposto in una barca lasciata alla deriva. Per di più lontano dal posto in cui si trovava l'ultima sera in cui è stato visto in vita.
Sembra quasi di sentire ululare il vento sul promontorio di Monksmere, di provare il fastidio per l'umidità che si posa tra i sentieri di ciottoli che conducono alla spiaggia, di riempirsi le narici dell'odore delle alghe sbattute dalla corrente mentre Dalgliesh va di villa in villa a ricostruire le ultime ore di Maurice Seton. La scenografia costruita da P.D. James è affascinante, ammantata dal quieto buio delle notti autunnali tra vecchi cottage in riva al mare. Gli indizi sono disseminati un po' ovunque, ma, come sentieri secondari di un labirinto, non tutti conducono all'uscita, bensì a vicoli ciechi.
Dalgliesh riuscirà a trovare il bandolo della matassa e a seguirlo fino alla fine di una terribile notte di tempesta in riva al mare. Lui già consapevole di chi si nasconda dietro a una morte che si è fatta passare per naturale, noi un po' meno. Spiazzati da una soluzione credibile e ben congegnata, ma inaspettata.

Per cause innaturali-La seconda trilogia Dalgliesh di P.D. James, Oscar Mondadori, traduzione di Anna Solinas

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lunedì 16 novembre 2020

Sono come i politici

 Quando torna a casa dalla scuola, la Lolla è un fiume in piena con i suoi racconti su tutto, tutto, quello che è accaduto nelle ore passate in classe. Ci sono stati momenti in cui trovavo questa valanga di informazioni difficilmente digeribile, non ora, che ogni singolo giorno di scuola è un regalo, e sentire le chiacchiere allegre di mia figlia mi dà la consapevolezza che lei sta bene.
Qualche giorno fa, a pranzo.
"Mamma oggi sono venuti due delle scuole medie che si candidano come rappresentanti degli studenti. Quest'anno siamo in quinta e possiamo votare anche noi e sono venuti a presentarci il programma".
"Ah sì, e che cosa hanno detto?".
"Lui ha detto che vuole fare delle cose tipo che ognuno porta piatti del suo Paese e si assaggiano e si mangiano tutti insieme. Poi anche delle cose per fare compagnia alle persone anziane e ascoltare i loro racconti. Lei invece ha detto che vuole aumentare la durata della ricreazione e poi vuole che a scuola si festeggino le feste. Tipo quando è Halloween bisogna addobbare la scuola e festeggiare".
"Sono tutte cose molto belle amore, ma in questo momento del Covid mi sembrano difficili da realizzare".
"Sì, lo sanno, ma hanno detto che troveranno un modo".
Interviene Ieie che fino a quel momento si è limitato a spazzolare con la consueta, meticolosa foga, tutto ciò che ha nel piatto.
"Sì Lolla, è successo anche quando andavo io in quinta. Io ho votato A. che aveva promesso di fare in modo che la scuola desse un tablet a ogni alunno. Però poi quando è stata eletta non abbiamo avuto nessun tablet".
"Va be', io comunque voterò per la femmina".
"Sì, sì, decidi tu chi votare. Ma tanto non cambierà nulla. I rappresentanti degli studenti sono come i politici, promettono, promettono, poi quando vengono eletti mangiano, ingrassano e non fanno un bel niente".

Io ci ho messo un certo numero di anni prima di arrivare a una completa sfiducia nei confronti della classe politica. Ci sono voluti il miraggio di Tangentopoli e la consapevolezza gattopardiana che tutto cambia affinché nulla cambi. Da questo punto di vista, devo dire che i politici di oggi sono stati molto più performanti dei loro predecessori: sono già riusciti a disilludere chi ancora non ha neppure l'età per votare.

venerdì 13 novembre 2020

Copritele il volto

 
Qualche anno fa, la maestra di Ieie, per affrontare il tema del racconto giallo, diede alla classe l'incipit di una romanzo chiedendo ai ragazzi di scrivere un'ipotetica continuazione: in una barca portata a riva dalla corrente si scopre un cadavere dalle mani mozzate, uno scrittore di cui da qualche giorno si erano perse le tracce.
Al di là delle performance come giallista di Ieie, quel che mi premette sin da subito fu sapere come continuasse il racconto. Scoprii che l'incipit apparteneva a un certo P.D. James, che P.D. non era un uomo, bensì una prolifica giallista inglese il cui personaggio di punta, l'ispettore Adam Dalgliesh, era per altro protagonista del romanzo e da lì a procurarmi il libro il gioco era fatto.
La seconda trilogia Dalgliesh, a dispetto del titolo comincia con il romanzo con cui il brillante ispettore di Scotland Yard fa il suo debutto, Copritele il volto, che non è quello del famigerato incipit, ma ci vede proiettati nella ridente campagna inglese, precisamente nella tenuta di Martingale, antica dimora in stile elisabettiano con tanto di maneggio e parco.
Qui vive la signora Maxie con i suoi due figli, Deborah e Stephen, sempre circondati da una fedele schiera di amici e poi la servitù, tra cui spicca la bella Sally, giovane ragazza madre accolta dalla famiglia come cameriera e che parrebbe proprio una gran brava persona se non fosse che, nel bel mezzo della festa parrocchiale di Martingale, annuncia urbi et orbi di aver accettato di sposare Stephen. Povera Sally, non sa che quella sarà la sua ultima festa. Nella notte qualcuno la metterà a tacere per sempre e i sospetti ricadranno, ovviamente, sui Maxie e i loro ospiti.
E' a questo punto che fa l'ingresso il nostro investigatore. Di lui non ci viene detto quasi nulla e il lettore si confronta sin da subito con il suo modo d'indagare fatto soprattutto di interrogatori ed elucubrazioni. Si intuisce che Dalgliesh ha una pista, ma da dove arrivi e come la segua non è dato sapere. Al lettore non resta che affidarsi ai pochi elementi che l'autrice mette a disposizione, mentre i personaggi del racconto continuano le loro vite lasciando nel dubbio delle loro reali intenzioni.
Dalgliesh acquisisce elementi e particolari (ma rimane il mistero di come arrivi a certe intuizioni), il lettore capisce che l'assassino ha le ore contate e il finale vede, come nel più classico degli epiloghi, l'investigatore riunire tutti i sospetti in una stanza per smascherare il colpevole.
Più della rivelazione dell'assassino a sorprendere sarà la scoperta che verità e realtà non sempre coincidono.
Ho pensato molto prima di elaborare un giudizio su questo libro. Copritele il volto è molto diverso dai gialli a cui sono abituata. La tensione è sempre minima, quasi controllata, e l'idea che Dalgliesh abbia capito tutto sin dall'inizio certo non aiuta. Sembra che sappia già cosa e dove cercare, sebbene il lettore si senta sempre un po' all'oscuro dei suoi ragionamenti. Il finale è inaspettato, ma manca di quella forza dei coupe de théâtre alla Agatha Christie. Mancano, forse, personaggi ai quali affezionarsi, a cominciare dalla vittima che non suscita per nulla empatia.
Io comunque non demordo. La seconda indagine di Dalgliesh potrebbe essere quella buona. Ci sono una barca e un cadavere, le premesse sono allettanti.

La seconda trilogia Dalgliesh-Copritele il volto, di P.D. James, Oscar Mondadori, traduzione di Marco Buzzi

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giovedì 12 novembre 2020

La torre di Babele

 Sono passati almeno venti giorni da quando la Campania ha decretato la chiusura di tutte le scuole e la diffusione dei contagi di Covid nella Regione, a quanto mi pare di capire, non ne ha minimamente beneficiato. Eppure la misura è ancora in vigore, anzi nel tempo è stata anche inasprita estendendosi alle materne. I bambini continuano ad essere tra le categorie più penalizzate. Loro, gli anziani e le persone immunodepresse o con altre malattie, ai quali si consiglia vivamente di rimanere in casa mentre i giovani e gli adulti, i veri untori, continuano ad ammassarsi nello struscio del week end, in feste clandestine o aperitivi da "strada", insofferenti, e indifferenti, alle regole. A loro, tutto sommato, tutto è consentito.
Sembra proprio che il coronavirus abbia mostrato tutta la fragilità delle nostre società, pronte a mettere da parte i più deboli, i bambini e gli anziani, per lasciare campo libero alle categorie che producono e spendono, quelle che fanno girare l'economia, in buona sostanza, e che quindi, nelle nostre società malate di profitto, hanno un superiore diritto di cittadinanza.
Guardate cosa siamo diventati, noi che abbiamo dimenticato il nostro passato e  il nostro futuro, proprio come quelle civiltà che nei secoli si sono condannate all'estinzione. Tutto sommato la pandemia ci ha mostrato il nostro riflesso, è stata la nostra nemesi, la torre di Babele di una società che credeva di essere invincibile e invece è crollata come un castello di carte.
L'individualismo occidentale è stato, tra le altre, una delle cause della nostra incapacità a contenere la pandemia. Nei Paesi asiatici, dove si è più propensi al sacrificio per il bene comune, c'è stato un maggiore rispetto delle regole che ha consentito di limitare la diffusione del virus, ma da noi, che ci crediamo superuomini, l'idea di indossare la mascherina per tutelare prima di tutto gli altri appare quasi ridicola (qui e qui due letture interessanti). E così anche le mamme che invocano la chiusura delle scuole, perché "è come quando c'era la guerra", concedono ai figli di organizzare festicciole di Halloween clandestine perché "poveri bambini, neanche Halloween possono festeggiare". Chiedetelo ai vostri nonni se, ai tempi della guerra, avrebbero trovato normale violare il coprifuoco per un veglione di Carnevale.
E qui torniamo alla scuola. Perché è evidente e lampante che, per educare i cittadini del domani al rispetto delle regole, la scuola ha un ruolo fondamentale. Facciamo tornare i bambini a scuola per insegnare loro a diventare cittadini rispettosi e consapevoli dei loro diritti e doveri. Per spiegare che uno Stato non è solo il Pil e i Dpcm, ma un insieme di principi comuni, di valori condivisi e che si avanti tutti insieme e non da soli. Facciamo tornare i bambini a scuola, perché imparino dagli errori del passato. Facciamo tornare i bambini a scuola, perché sono proprio quelli delle fasce socio culturali più basse a rischiare di rimanere ai margini del sistema, economico, culturale e sanitario.
Facciamo tornare i nostri ragazzi a scuola perché l'istruzione è un'arma potente contro ogni piaga, anche contro la malattia.

martedì 10 novembre 2020

Déjà vu

Ogni anno, con l'arrivo dell'influenza, la scarsità di posti letto della Asl Lecce si traduce in ambulanze del 118 in attesa fuori dagli ospedali per poter liberare le barelle. Se poi a questo aggiungiamo le Tac che si rompono a catena costringendo il personale a dirottare i pazienti nelle poche strutture dove ce n'è una funzionante, si può capire come basti davvero poco a mandare un sistema già fragile in tilt.
Adesso immaginate cosa può succedere se, invece dell'influenza, arriva un virus molto più contagioso. Uniteci che oltre ai propri pazienti bisogna accogliere anche quelli delle province vicine, ormai sature, una macchina per i tamponi rapidi (l'unica della provincia) rotta e la necessità di sottoporre a tampone ogni paziente prima dell'accesso ospedaliero, per giunta con un macchinario che richiede tempi più lunghi, e avrete servito il caos di questi giorni. Ambulanze che stazionano anche quattro ore fuori dagli ospedali prima di ripartire, personale che smonta alle due di notte anziché alle venti (alcuni per altro sono volontari con un misero rimborso spese), pazienti la cui positività viene accertata con molti giorni di ritardo, rendendo ormai vano il tracciamento di contatti che sono andati in giro ignari di avere il virus.
Il mio non è un sentito dire, ma il racconto di persone che lavorano da anni nella nostra sanità e che, per anni, hanno lamentato un peggioramento continuo del sistema. Quello che si sta consumando sotto i nostri occhi è il tracollo definitivo (e annunciato) sotto i colpi del coronavirus.
La prima ondata ci aveva solo sfiorato e adesso fa effetto sentire nomi di persone conosciute tra quelle ricoverate. Fa effetto sapere che ci sono amici in quarantena. Non è più solo il racconto delle immagini televisive, è la paura che si insinua in ogni incontro, in ogni gesto residuo e vitale che ci concediamo per non annullarci del tutto.
Ormai non è più questione di capire se si farà o meno un lockdown, che tanto ormai la risposta la conosciamo già, la domanda vera da porsi è: e poi, dopo, come abbiamo intenzione di gestire i risultati?
Chiudere adesso per, diciamo, due mesi, vorrebbe dire riaprire in pieno inverno, con l'influenza a spalleggiare il coronavirus. Il rischio, viste le nostre capacità organizzative, è di dover richiudere nel tempo di un ba. E certo non si può pensare di mandare avanti quel che resta del Paese in un balletto di aperture e chiusure.
Cancellare gli errori non si può, ma forse un po' di onestà non guasterebbe, chiedere scusa e ammettere che si è sbagliato potrebbe essere un punto di partenza. Non risolve il problema, ma forse attenua la rabbia.
Perché ci avevano detto che eravamo pronti alla seconda ondata. E non era vero.
Ci avevano detto che la seconda ondata non sarebbe stata come la prima. Senza aggiungere che sarebbe stata peggiore.
Ma tranquilli, l'Italia è un modello da seguire. Sì per precipitarsi nel burrone.
E poi non ci sarà un nuovo lockdown, non ce lo possiamo permettere. Noi non ce lo possiamo permettere, a voi tanto non cambia nulla.
E comunque a dicembre ci inonderanno di vaccini. Il che, dato l'esito delle precedenti promesse, è altamente sconfortante.
Abbiamo pagato fior di esperti, messo su decine di comitati che hanno sproloquiato senza freni. Per trovarci con gli stessi, cadenti, sistemi sanitari regionali buoni a malapena a reggere una normale influenza.
Vien da pensare che di questa pandemia non si è capito un bel niente. Oppure che la verità è che non esiste soluzione al problema.
In entrambi i casi non c'è da stare tranquilli.

martedì 3 novembre 2020

Detenuti in attesa di giudizio

Cinque mesi e siamo di nuovo così. Punto e a capo e si ricomincia con l'altalena, col cuore che salta in gola a ogni sigla di Tg e la perenne spada di Damocle sulla testa: ti chiudo, non ti chiudo, per quanto ti chiudo.
Mi chiedo quanto si possa vivere in queste condizioni, con regole che cambiano più velocemente del colore delle foglie in autunno.
Mi sento come un imputato in attesa di giudizio: so che mi condanneranno, ma non so quando e per quanto tempo. Di più. Il condannato, emesso il verdetto, ha la certezza sulla data di scarcerazione. Nemmeno questa consolazione ci lasciano, perché ormai ho imparato a non credere più a niente e una volta che ci chiuderanno in casa rimarremo con l'angoscioso dubbio di quanto durerà la reclusione.
E alle saracinesche chiuse ormai da mesi se ne aggiungeranno altre, in una desolazione post bellica.
Già alcuni commercianti annunciano che in caso di nuova chiusura non  riapriranno, chi può pensa di mettersi in nero, lavorando a casa. "E non sanno cosa succederà quando toglieranno il blocco ai licenziamenti" minacciava l'altro giorno la mia parrucchiera che, per altro, è da quando ha riaperto che non ha più la lavorante nel suo negozio. Si prospetta un bagno di sangue sulla pelle dei meno tutelati, mentre gli intoccabili chiedono la chiusura a gran voce dalla postazione di lavoro sul loro divano. Paradossalmente chi non ha nulla da perdere è anche chi non teme o vuole la chiusura e magari si lamenta pure di quelle poche ore che deve trascorrere in ufficio, senza pensare a chi un lavoro farebbe di tutto pur di averlo.
C'è tanta rabbia. Rabbia per quello che si doveva fare e non è stato fatto, perché era più importante spingere l'acceleratore sul turismo o occuparsi della nuova legge elettorale.
Rabbia perché son mesi che ci trattano come bambini a cui si fanno (false) promesse per tenerli buoni. 
Rabbia perché persone che hanno rispettato le regole, sono costrette a pagare l'incompetenza di chi ci amministra e l'egoismo di chi proprio non riesce a fare a meno di un veglione a tema Halloween, seppur clandestino.
Ogni volta che infrangiamo le regole una persona perde il lavoro. Dovremmo tenerlo a mente.
Così come, a pandemia finita, tutti saremo chiamati a pagare i debiti. Anche gli intoccabili.

venerdì 30 ottobre 2020

Non vedo, non sento, non parlo

Non vedo non sento non parlo. E' così da stamattina con le mamme che, nuovamente, invece di lavorare, impazziscono sulla chat di whatsapp della classe della Lolla per capire come mai il figlio non veda il documento in condivisione o la connessione salti ogni tre per due.
Devo dire un grazie sentito alla strana coppia della politica pugliese, i nostri Stanlio e Ollio preferiti, Lopalco&Emiliano che hanno intrappolato nuovamente noi mamme in questo inferno. Non so quando sarà il concorso per cui sto studiando ormai da una vita, ma so che per la seconda volta quest'anno ho dovuto abbandonare lo studio per seguire i miei figli. So che di nuovo ci ritroveremo a tavola col piatto vuoto perché invece di fare la spesa e cucinare, sono qui ad accertarmi che il collegamento non salti di nuovo. So che le donne sono sempre e comunque le grandi sconfitte.
Ieri Lopalco a una giornalista scafata che gli faceva notare che chiudere le scuole vorrà dire lasciare i ragazzi liberi di andarsene in giro, con tutta la supponenza tipica di chi si crede superiore perché SA, ha sorriso e risposto che no, i ragazzi non andranno in giro perché faranno la Dad.
Mio figlio è tutt'oggi che mi chiede cosa fare. La sua scuola ancora non ci ha comunicato nulla su come si svolgeranno le lezioni. Sappiamo solo che saranno 15 ore, a fronte delle 30 curriculari perché "vanno a sommarsi con le ore di didattica e correzione degli elaborati dei ragazzi". Questa spiegazione è un mistero della fede. Mi pare che i compiti venissero corretti anche prima, eppure facevano 30 ore anziché 15. Che poi....vogliamo parlare di come vengono corretti i compiti fatti con la Dad?
Ecco un esempio che mi sono premurata si screenshottare lo scorso anno scolastico.
Lo stato della correzione dei compiti di Ieie, una settimana dopo la consegna

No caro Stanlio della politica pugliese. Lei dei ragazzi, della scuola e di noi mamme non sa nulla. E bene ha fato quella giornalista che l'ha fatta cadere in un tranello facendola ammettere che, in buona sostanza, la chiusura delle scuole in Puglia è dovuta alla vostra incapacità. Poi, vedendola in difficoltà, l'ha salutata caramente e ha chiuso il collegamento, come vorrebbe fare ogni donna/mamma in questo momento.
Ho una sola consolazione. Tra pochi anni questi ragazzi andranno a votare. Non sapete nemmeno, voi che i ragazzi NON li conoscete, quanta rabbia abbiano in corpo.

giovedì 29 ottobre 2020

Ci risiamo

E così ci risiamo. Quando ieri ho detto ai miei figli che la scuola avrebbe chiuso di nuovo, la felicità si è spenta nei loro occhi.
Sì lo so, sono una brutta persona perché penso solo ai miei figli mentre la gente muore. Sono una brutta persona perché mi dispiace che, dopo averli costretti a rinunciare allo sport e agli amici, gli sia stata tolta l'unica occasione di socialità e di vita che era loro rimasta. Sono una brutta persona perché quando la gente mi dice che dopotutto perdere quattro o cinque mesi di scuola non è il più grande dei mali, che i ragazzi che hanno vissuto durante la guerra sono sopravvissuti all'ignoranza, trovo queste spiegazioni stupide e assurde (ancor di più se chi sputa sentenze al riguardo non ha figli in età scolare).
Quel che fa male è la malafede. Le bugie che ci propinano e il modo irrispettoso con cui lo fanno. Ieri alle sette il governatore Emiliano, con la consueta sindrome da prima donna che ormai attanaglia politici ed esperti e li fa straparlare dicendo tutto e il contrario di tutto, ha lanciato un annuncio urbi et orbi alle Tv dicendo che avrebbe chiuso le scuole per due settimane, lasciando nella più completa incertezza i docenti, all'oscuro di tutto, e le famiglie. Poi a stretto giro un'ordinanza con cui le due settimane diventano un mese, un'ordinanza datata 27 ottobre. Pur avendo già firmato una chiusura di un mese, quindi, prendeva in giro tutti quanti parlando di sole due settimane.
A questo punto come fidarsi di queste persone? Ma soprattutto cosa dire ai miei figli che stamattina si sono recati a scuola con la morte in volto? 
Intanto Francia e Germania chiudono tutto tranne le scuole. Segno che l'istruzione, per altri, ha un significato. Vorrà dire che i nostri figli tra qualche anno andranno a fare i pizzaioli in Francia e Germania. Dopotutto siamo italiani pronti a un nuovo lockdown, la pizza è la cosa che ci riesce meglio.

venerdì 2 ottobre 2020

Caterina de' Medici un'italiana sul trono di Francia


Quando la scorsa estate visitammo il castello di Chenonceau, nella Loira, tra i tanti dettagli del palazzo mi colpì quel susseguirsi di H (iniziale del re Enrico II) intrecciate a C (la regina Caterina sua moglie) a formare maliziosamente una D (come Diana, l'amante del re).
Scoprire che Enrico II aveva donato il castello alla sua favorita e che Caterina, rimasta vedova, se l'era ripreso, mi fece venire voglia di conoscere la storia di questa regina.
Caterina altro non era che Caterina de' Medici, pronipote di Lorenzo il Magnifico, arrivata in Francia ragazzina dopo averne già viste di cotte e di crude, come sposa del figlio cadetto di Francesco I e divenuta, per l'improvvisa morte dell'erede al trono, moglie del futuro re di Francia. Passata alla storia come madre di tre re, Francesco II, Carlo IX ed Enrico III tutti morti giovani e senza eredi, e come regina nera (portò il lutto per la prematura scomparsa del marito per tutta la vita), la sua fu una storia intensa, non solo perché esercitò la reggenza per i figli divenendo la vera sovrana francese, ma soprattutto perché si trovò a traghettare il trono in uno dei suoi periodi più bui, quello delle guerre tra cattolici e ugonotti, che per molti anni avvelenò e divise la Francia con ben otto guerre civili.
Poco amata dai francesi per le sue origini italiane tutt'altro che nobili, la giovane Caterina trovò un alleato nel suocero Francesco I dal quale apprese l'arte del regnare. Sarà per lui, o per l'amore incondizionato per il marito che le preferiva però la bella Diana al punto da attribuirle onori e poteri, ma dal quale ebbe comunque una decina di figliuoli, che Caterina si adoperò in tutti i modi per mantenere il trono nelle mani dei Valois.
Jean Orieux nella corposa biografia che le ha dedicato dipinge un ritratto inedito della regina, smentendo le accuse di avvelenatrice e orditrice di assassinii che il popolo e la storia le hanno cucito addosso. Amava circondarsi di veggenti ed era superstiziosa, questo sì, ma odiava gli spargimenti di sangue e cercò sempre, per quel che le fu possibile, la mediazione, preferendo la logica dell'accordo a quella delle armi. Regina del traccheggiamento e delle trattative, non esitò a trascinare il giovane e cagionevole Francesco II in giro per tutto il regno allo scopo di fargli conoscere le sue terre e farlo amare dai sudditi.
Il castello di Chenonceau
La sua fu una vita colma di eventi, terribilmente sfiancante e tutta dedita a proteggere il trono dei Valois dalle mire dei Borbone ugonotti e degli ultra cattolici Guisa, sempre in bilico fra guerra e pace, ma segnata dal profondo amore per i figli, l'unico legame rimastole col defunto, amatissimo marito.
Caterina de' Medici un'italiana sul trono di Francia è certo un libro che ci dà un ritratto completo della regina, anche troppo, perché 800 e più pagine di scontri tra ugonotti e cattolici, conditi da congiure, tradimenti e continui cambi di fronte dei protagonisti di quegli anni, mettono a dura prova il più assiduo dei lettori. Se quindi un difetto si può imputare a quest'opera è l'eccessiva lunghezza che non tralascia nemmeno una virgola della vita della regina. Questo, e anche un certo sciovinismo dell'autore che lo porta a liquidare certe situazioni e personaggi con espressioni per niente politically correct del tipo "con Caterina abbiamo creduto spesso di trovarci a Firenze; col nano (uno dei suoi figli, affetto appunto da nanismo) siamo in una fogna napoletana".
Roba che se a scriverla fosse stato un professore di Milano, minimo minimo si apriva un'interrogazione parlamentare.

Caterina de' Medici, un'italiana sul trono di Francia di Jean Orieux, Mondadori, traduzione di Francesco Sircana

Questo post partecipa al Venderdì del libro di HomeMadeMamma

lunedì 28 settembre 2020

E' tornata la mia bambina

E' tornata la mia bambina. Quella che deve raccontarti ogni cosa detta o fatta in classe. Quella che vuole condividere e ripercorrere le cinque ore di scuola, i momenti spiritosi, gli scherzi alle maestre e le monellerie di qualche compagno. Quella che dopo pranzo si chiude in camera e comincia a fare i compiti.
E' successo un giorno all'improvviso, al suo ritorno a casa. Le ho visto gli occhi scintillare come non ricordavo e l'ho riconosciuta. Sparita la bambina che di punto in bianco diventava isterica, che bisognava inseguire perché non voleva fare i compiti in quanto "troppo stressata".
E' ritornata la mia bambina felice.
Quella che si appunta sul petto i complimenti della maestra e non deve confrontarsi con una mamma brava solo a notare gli errori.
E' tornata la mia bambina e non so quanto durerà, ma io vorrei che fosse per sempre.
Sono stati sette mesi lunghi e difficili. Nessuno ci ridarà il tempo perso e so che non ho il diritto di lamentarmi. Però, se ci penso, non posso non dirmi che ci è stato tolto molto più di quanto pensiamo. Soprattutto è stato tolto ai nostri bambini. Quello che gli abbiamo fatto non lo abbiamo nemmeno veramente capito. Gli abbiamo tolto la loro vita e solo perché stavano al sicuro a casa e non sotto un cielo di bombe, non possiamo alzare le spalle e mimare un vabbe'.
Il primo giorno di scuola della Lolla
Oggi un compagno di mia figlia è andato via prima a causa di un attacco di panico. Non conosco le circostanze che lo hanno provocato, né la storia personale del bambino. Pure, come adulta, non posso fare a meno di sentirmi in colpa.

mercoledì 23 settembre 2020

Varie ed eventuali sulla fine dell'estate e la ripresa della scuola

E' stata un'estate strana, stretta tra una primavera che non abbiamo vissuto e un autunno sul quale non abbiamo controllo.
Ci avevano detto che ne saremmo usciti migliori. Non ne siamo usciti e di certo non siamo migliori. Cretini ci siamo coricati e cretini ci siamo alzati.
Scene di quotidiano divertimento al paesino in barba alle norme sul distanziamento

Come ogni estate il paesino ci ha accolti con il suo mare e i nostri amici, pronti a darci calore e conforto dopo tanti mesi di vita "sterilizzata". A dire il vero non abbiamo fatto granché, quest'anno il numero di turisti in Salento, anche nel piccolo paesino, è stato ogni oltre previsione. Una fiumana impazzita che ci ha invaso costringendoci a un agosto particolarmente sacrificato. Siamo andati a mare solo perché abbiamo un gommone con cui potevamo evitare la spiaggia, ma per il resto abbiamo passato gran parte del tempo nel cortile dei nostri amici e vicini di casa che ogni pomeriggio hanno accolto i giochi dei bambini e le nostre chiacchiere. Niente ristoranti o pizzerie e per alcune settimane neanche passeggiate sul lungomare, tante erano le persone in giro da trasformare una semplice passeggiata in una gimcana al cardiopalma.

Non è stato facile nemmeno ritornare a casa. Quella casa che, per quanto amata, è stata la nostra prigione per due mesi. Rinunciare alla prossimità degli amici, ai compagni di gioco, ai genitori che adesso che riprenderà la scuola abbiamo timore di andare a trovare è stata una sensazione al limite della depressione. Tanto più che non è possibile fare un pronostico su cosa ci aspetta. Programmare il tempo da ora a venire è un rebus senza uscita.

Inutile rimpiangere il passato o chiedersi cosa ci porterà il futuro, bisogna vivere e apprezzare il presente è una delle tante perle con cui ci infiocchettano la realtà. Ditelo a uno che non sa come pagherà le tasse di domani, di godersi il presente. Sono curiosa di sentire cosa vi risponderà. Io comunque, per dare credito a queste perle, e anche per cercare di orientarmi tra le nuove regole sulla scuola per cui il ragazzo resta a casa anche senza febbre, ma con un semplice "sintomo riconducibile al Covid" (raffreddore? naso chiuso? mal di gola? anosmia?), ho deciso di non iscrivere i bambini ad alcun corso. Niente sport, niente inglese, niente di niente. Mi dispiace tanto, ma finché non sarà chiaro cosa succederà in presenza di casi sospetti devo limitare i contatti con altri bambini al minimo indispensabile.

Sia chiaro, sono contenta che la scuola inizi, è necessario. E non perché sia una mamma esaurita che non vede l'ora di appioppare i propri figli alle insegnanti (altra perla sentita), ma perché credo che, oltre al profondo baratro di ignoranza in cui i ragazzi sono stati precipitati, i ragazzi abbiano bisogno di vivere la loro vita. Rinchiuderli in casa a rimbecillirsi con la pseudo Dad non è la risposta. State voi a sentire un tizio che vi parla dal francobollo dello smartphone mentre il citofono suona, il cane abbaia e vostra sorella litiga con la mamma perché non vuole fare i compiti.

Ma ovviamente c'è la pandemia, signora mia. E' come una guerra: che forse vostra nonna pensava alla scuola durante la guerra (ennesima perla)? Ora, a parte che mia nonna negli anni Quaranta aveva 30 anni e un figlio neonato, dei suoi racconti ricordo la fame nera, i bombardamenti, la fame, la fuga dalla Roma occupata dai nazisti e, non so se l'ho detto, la fame, un concetto che mi ripeteva con insistenza. Mio padre, che invece all'epoca faceva le elementari, non mi risulta abbia perso un sol giorno di scuola a causa della guerra. Quindi lasciamo stare la guerra, please. Ed evitiamo di affibbiare a una madre che vorrebbe che suo figlio riprendesse a studiare anziché languire davanti alla Playstation, l'epiteto di dolente media riflessiva che fa tanto snob radical chic. Signora mia.

Che poi lo so che se i ragazzi si annoiano e passano il tempo davanti a uno schermo è colpa di noi mamme che non dedichiamo loro attenzione. Come la giri e come la volti è sempre colpa nostra. Noi mamme che in sette mesi ancora non abbiamo predisposto una tabella di attività varia e composita per intrattenere i nostri figliuoli tutto il giorno tutti i giorni.

Poi guardo mia figlia, che negli ultimi sette mesi è cresciuta tanto, lasciandosi sempre più spesso andare a improvvise quanto inspiegabili scenate isteriche (sarà stata la quarantena, sarà la crescita? Boh), la guardo mentre scrive ed evita accuratamente di usare "e o a ai anno" perché ha difficoltà a capire quando mettere l'accento e l'h. Lei, promossa con tutti 10, non sui risultati raggiunti, spiegava la pagella, che quelli nessuno li conosce, ma per l'impegno nella consegna dei compiti, nelle lezioni on line (cioè tipo 4 ore di lezione in tre mesi) per la "partecipazione" insomma. La guardo e penso preoccupata che tra un anno, con questo (scarso) bagaglio di istruzione approderà alle medie. Come farà? Ma ovviamente anche in questo caso, scava e cerca e vedrai che è colpa della mamma, signora mia.

Comunque io domani sarò felice come fosse il primo giorno del primo anno. Sarò felice e sarò preoccupata, perché non sono una pazza sconsiderata che non vede l'ora di togliersi i figli di torno. Sarò felice e commossa e questo mi fa ancora più arrabbiare. Perché non ci si dovrebbe emozionare e commuovere per la normalità. 




giovedì 9 luglio 2020

E se la scuola non riaprisse?

La settimana scorsa, sul blog nonsolomamma una lettrice italiana che vive in Francia parlando della riapertura delle scuole Oltralpe scriveva: "in questo Paese il diritto allo studio è essenziale, culturale".
Tempo qualche giorno e al Tg mi imbatto in un parlamentare che, elencando i meriti del nostro Governo, annovera tra questi il fatto di aver riaperto le scuole.
Ora. Sarò anche puntigliosa e rompiscatole, ma a me sembra che finora non sia stato riaperto un bel niente (se pensiamo poi che nella mia Regione, la Puglia, la fantomatica data del 14 settembre è già slittata al 24, io la riapertura la vedo col lanternino), ma che addirittura il Governo si glori di aver riaperto le scuole, mi sembra la dica lunga su come invece da noi l'istruzione non sia considerata neppure un diritto.
Devo essere sincera: avrei voluto vedere gli insegnanti invadere le piazze chiedendo offesi di poter fare degnamente il proprio lavoro, invece ho letto solo messaggini smielati, tutti intrisi di "ci mancate, speriamo di rivederci presto". Poi però siamo state noi mamme, sia nella scuola media di città di Ieie, che nella primaria della Lolla qui al paesello, a pretendere le lezioni on line che le presidi erano restie a concedere (già una concessione, proprio come la riapertura delle scuole, sarà un caso?). 
Viviamo in un paese di 2.400 abitanti, bene o male ci si conosce tutti, le maestre vivono per la maggioranza qui e i loro figli giocano con i miei nei guardini della scuola sin da quando sono stati riaperti. Mi sarei aspettata che, almeno per le pagelle, o terminate le "lezioni", le maestre proponessero ai bambini di incontrarsi in quei giardini (cosa che per altro in città hanno fatto tante altre insegnanti, per lo più di scuole private). Invece no, ligi alle regole fino alla fine. Una squallida scheda on line che la Lolla ha disdegnato al punto che il giorno dopo neanche ricordava più che voti avesse preso.
C'è un disegno dietro questa sciatteria delle politiche dell'istruzione?
Io so una cosa. Da quando, a settembre, Ieie ha avuto il suo cellulare, gli abbiamo imposto orari (un tempo massimo per ogni giorno, che generalmente non esauriva mai) e regole (no al telefono mentre si studia). Tutto è andato bene fino al lockdown, ma da lì in poi non s'è capito più nulla. Intanto come si fa a vietare l'uso del telefono durante lo studio, se i compiti stanno sul telefono? E come limitare le ore di utilizzo, se per seguire le lezioni serve lo smartphone (purtroppo il nostro Pc e tablet si sono rivelati troppo vecchi per le applicazioni necessarie)? Certo, è anche vero che a volte Ieie diceva di aver bisogno del telefono per seguire la lezione e poi lo trovavo a seguire YouTube, ma, si sa, l'occasione fa l'uomo ladro, né si può pretendere che un genitore piantoni i propri figli come una guardia carceraria.
Quello che posso dire è che da marzo in poi, senza scuola, amici, attività sportive, corsi di musica e di lingua, il tempo libero di Ieie si è moltiplicato e non ha trovato di meglio che riempirlo con gli schermi, che fossero della Tv o del cellulare poco importa, imbesuendosi davanti a partite di Fortnite o video di TikTok. Se la scuola non dovesse riaprire ho il terrore di quello che potrebbe succedere a lui, come alla maggior parte dei ragazzi.
Istruirli dovrebbe essere una priorità per tutti...e se invece una pletora di ignoranti persi dietro a uno schermo fosse, per chi ci governa, molto più comoda e gestibile?
Mi viene in mente proprio un capitolo di storia che ho spiegato qualche mese fa a Ieie, quello sulla nascita dei comuni e della borghesia quel ceto che, sebbene non ricco come i signori, aveva un minimo di istruzione, sapeva leggere, scrivere, far di conto, e svolgeva lavori che necessitavano di competenze e specializzazione. Questo li rendeva meno ricattabili dei poveri contadini e, soprattutto, più propensi a far valere i loro diritti contro i soprusi dei signori feudali.
Di pari passo, in quello stesso periodo, nacquero le università, la prima a casa di un certo Irnerio, a Bologna, dove egli insegnava diritto a un gruppo di giovani. Neanche a dirlo, i signori e la Chiesa cercarono di ostacolare questa diffusione del sapere che vedevano come un limite all'esercizio del loro smisurato potere.
Ecco, ricordiamocelo sempre, a cosa serve l'istruzione, e a quanta strada hanno fatto i nostri antenati affinché questo diritto fosse per tutti.
Perché è vero che la storia è fatta di corsi e ricorsi, ma ci sono battaglie che non possiamo rischiare di dover ripetere. Ne va dei nostri ragazzi, ma anche del futuro del Paese.

lunedì 6 luglio 2020

A chi giova lo smart working?

In epoca di Covid tutto ciò che può essere fatto in modalità smart, ovvero a distanza, è fortemente consigliato. E' così che stamattina, invece di prendere appuntamento e andare in loco, ho trascorso qualche ora al telefono di casa con la banca per svolgere alcune operazioni. Ovviamente in quel lasso di tempo tutt'altro che breve, hanno suonato due volte al citofono e ho ricevuto tre chiamate sul cellulare. Per fortuna non siamo più in tempi di Dad homeschooling, altrimenti avrei dovuto anche aiutare i bambini a districarsi con i compiti assegnati-e-mai-spiegati, e loro si sono autointrattenuti per un bel po' (finché non li ho sentiti prendersi a botte as usual), ma più di una volta  sono stata sul punto di scoppiare pensando che non è proprio possibile fare certe cosa da casa.
Ora. Negli ultimi tempi, parlando con amiche che lavorano chi nel pubblico, chi nel privato, ho ricevuto spesso sempre pareri positivi sullo smart working al punto che nessuna vuole ritornare dietro la scrivania. A parte una che lavora a Milano, però, nessuna ha addotto come motivo la paura del contagio, bensì la comodità di lavorare da casa, magari in pigiama, la possibilità di evitare i colleghi e/o un ambiente lavorativo tutt'altro che piacevole. Va detto che hanno tutte bimbi molto più piccoli dei miei e mi parlavano sempre e comunque con un sottofondo che andava dal pianto del neonato, a una vocina che chiedeva di fare un disegno.
Delle due, quindi, l'una: o le persone che fanno smart working svolgono lavori poco impegnativi oppure non lavorano affatto.
Perché se io che non dovevo lavorare, ma solo fare delle semplici operazioni tramite Pc sotto la guida di una consulente della banca ho sentito tutto il peso del fatto di non avere un luogo tranquillo dal quale operare, tanto più questo dovrebbe valere per chi invece ha da lavorà e si ritrova (oltre a postini, vicini di casa, corrieri e telefoni vari a rompere la concentrazione) anche pargoli sotto i sei anni da tenere sott'occhio. Ditemi un po', ma come si fa?
La prova del nove alla mia tesi me l'ha data recentemente l'Inps. Anche quest'anno mio padre non ha ricevuto le credenziali per scaricare il Cud via Internet. L'anno scorso si risolse andando direttamente alla sede Inps provinciale, ma quest'anno è chiusa al pubblico, causa Covid. Il commercialista se n'è lavato le mani dandoci un numero di telefono al quale rispondeva una voce elettronica di nessun aiuto. Per una botta di fortuna sono riuscita a risolvere all'italica maniera, ovvero chiedendo un favore al genitore di un amichetto di mia figlia che, per puro caso, ho scoperto lavorasse proprio all'Inps. Così, tramite conoscenze, e la gentilezza di questa persona va aggiunto, sono riuscita a ottenere un qualcosa che lo Stato era obbligato a fornirci, ma che non saremmo mai riusciti a ottenere proprio per via del fantomatico smart working.
Da qui la domanda. Ma quando il Governo prevede di lasciare il 50% dei dipendenti pubblici in smart working, è consapevole di quel che sta facendo? O forse è un modo elegante e veloce per dimostrare che in fondo si può fare a meno di gran parte del personale della pubblica amministrazione?
Non molti giorni fa, il sindaco di Milano Sala ha lanciato un monito ai lavoratori in smart working, invitandoli a tornare al lavoro e presidiare le scrivanie, perché a suo parere a breve le aziende daranno via a piani di efficientamento (leggi: tagli del personale). Che ci abbia visto giusto?

A proposito, ho preso appuntamento in banca. Dopo due ore al telefono e il sistema che andava continuamente in blocco ho chiesto disperata alla consulente di fissarmi un appuntamento. O così o prendevo a capocciate il Pc. 

lunedì 8 giugno 2020

Buone vacanze

Diciamo la verità: la fine dell'anno ce l'eravamo immaginata in un modo molto diverso. Un momento che di solito fa rima con malinconia, bilanci, bisogno di ricaricare le pile per poi ritrovarsi dopo le vacanze.
Ma come salutare qualcuno che non vedi da mesi? Come si può chiudere un anno che a dire il vero si è interrotto molti mesi or sono? A cosa stiamo veramente dicendo addio, all'odiata Dad, a un anno da dimenticare o alla nostra  normalità che salutiamo in maniera formale senza sapere se mai ce ne riapproprieremo?
Per i miei figli la scuola è un ricordo sbiadito da ormai troppo tempo. Me ne sono resa conto ogni volta che raccontavano aneddoti della vita di classe come se parlassero di un'epoca lontana, con quel tono di nostalgia che posso avere io, ma che non dovrebbe appartenere a un bambino della loro età.
Le insegnati e le presidi ci hanno fatto sentire sin dall'inizio la loro vicinanza con messaggi di incoraggiamento che, devo ammetterlo, in principio mi hanno commossa. Dopo svariate settimane di messaggi melensi e niente di più, però, la commozione ha lasciato il posto all'indignazione. La mancata prosecuzione delle lezioni non è dipesa dalla nostra volontà, hanno continuato a ripetere, la solita excusatio non petita della burocrazia italiana, il classico scaricabarile in cui le colpe non son mai di nessuno e i cocci di chi se li ritrova tra le mani. E' vero, non sono stati i docenti a volere la chiusura, ma certo avrebbero potuto impegnarsi per darci un poco di più della miseria che abbiamo ricevuto. Miseria che ha lasciato tanti indietro, che ha punito chi non ha avuto una famiglia a puntellare, spiegare, spronare.
Miseria che ora si avvia all'epilogo tragicomico, la votazione finale, con il registro elettronico di Ieie che si è riempito all'improvviso di voti. Voti basati sulla consegna puntuale dei compiti, voti di scritti, voti addirittura di interrogazioni orali. "Figlio sei mai stato interrogato?" "No, mai". Amen.
Calerà il sipario anche su questa farsa, su questo anno zoppo. Finirà così la quarta della Lolla e la prima media di Ieie.
Un anno che doveva essere di grandi cambiamenti (be' in effetti su questo non possiamo lamentarci), di nuove amicizie, di crescita. Un anno che era cominciato in salita, non solo e non tanto per la mole di lavoro che sin da subito ha richiesto, ma soprattutto perché del ritrovarsi in una scuola di città, lontano dal paesello, con tante facce nuove e senza il suo migliore amico, Ieie ha accusato il colpo. Non è stato facile, abbiamo avuto addirittura qualche attacco di panico e relativa chiamata da parte della scuola, ma proprio quando la strada giusta sembrava essere stata imboccata, un troncamento netto ha lasciato tutto in sospeso. In attesa di vedere cosa succederà con il nuovo anno scolastico.
Già. Ci vediamo a settembre, trillano gioiose le prime circolari di fine d'anno. Ma ormai i toni melensi non mi incantano più. Solo una domanda rimane. Cioè, son tre mesi che ci ripetete che ci riabbracceremo presto e il presto si sposta sempre più in là, per cui, è sicuro che a settembre ci rivediamo?
L'anno trascorso secondo la Lolla


venerdì 5 giugno 2020

Leggiamolo insieme - Harry Potter e l'Ordine della Fenice

Colui che non deve essere nominato è tornato, la seconda battaglia è cominciata.
Anzi, no, perché il ministero della Magia sostiene che il racconto di Harry Potter sul ritorno di Voldemort sia solo la bugia di un ragazzo desideroso di attenzioni. Quando poi Harry usa la magia fuori dalla scuola per allontanare un improbabile attacco di Dissennatori, la sua credibilità finisce sotto le scarpe e rischia persino di essere espulso se non fosse per Silente pronto a prenderne le difese, salvo poi lasciarlo solo e senza consigli in un anno scolastico tra i più difficili della sua carriera da studente. Eh sì che Harry di imprevisti ne ha incontrati nei cinque anni di Hogwarts, ma il ministero farà di tutto per metterlo in cattiva luce e creargli difficoltà, potendo contare su una nuova professoressa, Dolores Umbridge, piacevole come un gesso che stride sulla lavagna.
Con Harry Potter e l'Ordine della Fenice siamo a un vero e proprio salto narrativo. Se il capitolo precedente, con i suoi toni più cupi aveva segnato il passaggio dalla spensieratezza dell'infanzia ai problemi della maturità, adesso è la volta delle rivelazioni che rispondono a vecchi interrogativi accennati e poi sopiti, dei sentimenti e dei legami forti, dell'ennesima perdita che sarà, di libro in libro, sempre più drammatica e pesante per Harry.
E' il capitolo in cui la Rowling svela come la storia di Harry sia stata costruita, sin dall'inizio, come un unico racconto articolato e complesso e che i sassolini gettati nei capitoli precedenti non erano trascurabili dettagli, ma indizi preziosi.
Una complessità che l'omonimo film non riesce a riprodurre, tagliando diverse scene, accorpandone altre, spiegando un fatto in maniera più sbrigativa del libro, ma soprattutto riducendo a brevi parentesi alcuni dei passaggi più intensi del racconto, come la visita al San Mungo e la scoperta della fine toccata ai genitori di Neville. Un momento che regala profondità e completezza al personaggio di Neville, ma che nel film merita solo un accenno en passant.
Di buono c'è che i bambini, resisi conto della quantità di tagli e di cambiamenti apportati al racconto, hanno convenuto che non solo il libro è più bello del film, ma soprattutto che la lettura è indispensabile per apprezzare appieno la storia.
E ora non vedono l'ora di sapere sempre di più sui segreti di Harry. Non so quanto tempo ci prenderà la lettura del prossimo volume, per questo abbiamo impiegato quasi un anno e se non fosse stato per la reclusione forzata penso che non l'avremmo ancora terminato, comunque non abbiamo fretta. Se la condizione per leggerlo velocemente è essere di nuovo confinati dentro casa, ammetto che preferisco una lettura a lunghissimo termine.

Harry Potter e l'Ordine della Fenice di J.K.Rowling, Salani, trad. di Beatrice Masini in collaborazione con Valentina Daniele e Angela Ragusa

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

lunedì 1 giugno 2020

Roba da mamme

E così anche il campionato di calcio riaprirà i battenti. Evidentemente disponeva di una task force autorevole. Tre mesi e il più che si è saputo partorire sulla scuola, invece, è stato il tutto chiuso, che non è che ci voleva un comitato scientifico per pensarci, glielo potevo suggerire pure io. Meglio tacere, poi, sul balletto delle modalità di svolgimento della maturità o sulle improbabili soluzioni messe in campo per la "riapertura" di settembre (implementare le attività di laboratorio, usare teatri, palestre e spazi aperti) che dimostrano che gli esimi membri della task force le scuole pubbliche italiane le hanno viste solo nelle serie tv statunitensi.
Una settimana o poco più e la farsa chiamata scuola chiuderà i battenti per prolungare la vacanza inaugurata tre mesi or sono. Perché al di là delle percentuali superiori al 90% con cui la ministra ci rassicurava sul numero di alunni raggiunti dalla Dad, adesso finalmente più di qualche voce comincia ad ammettere che la didattica a distanza è stata una gran presa per i fondelli, che ha scaricato sulle famiglie, madri in primis, l'onere dell'insegnamento e abbandonato a se stessi un gran numero di bambini.
Lo comprendo ormai da tre settimane a questa parte, da quando la Lolla fa i due incontri pomeridiani settimanali da "ben" 30 minuti con la sua quarta elementare. Gilberto non può leggere il tema perché non è a casa sua, Evaristo si prende una strigliata per non aver consegnato alcun compito e a nulla vale spiegare che è la mamma è sempre al lavoro perché, gli ricorda la maestra, "è una tua responsabilità ricordarle di caricare i compiti". Da quei visini incorniciati nei pochi centimetri quadrati dello smartphone emerge tutta l'assurdità di una situazione che, dopo tre mesi, definire emergenziale è ipocrita. Che dire poi della maestra che si arrabbia perché i suo alunni non ricordano i verbi? "Vi avevo detto di ripassarli - afferma irata - evidentemente non l'avete fatto". Anche la Lolla si prende la sua ramanzina e non è turbata. Non lo sono neppure io perché so che la bambina ha fatto ciò che la maestra ha chiesto e anche di più. Da settembre fino a oggi ha ripetuto i verbi ogni settimana, come a nove anni faceva suo fratello che infatti i verbi li ha sempre saputi. Certo ognuno ha capacità diverse, ma qui non si tratta di bravura. Ieie ha avuto qualcosa che sua sorella non avuto: ha frequentato la quarta elementare, e scusate se è poco.
Nella prima media di mio figlio non va meglio. Da quando i genitori son tornati a lavorare molti alunni saltano le poche ore di lezione on line.
Ludmilla sta dai nonni e non c'è collegamento, mi spiega Ieie, Tamara ha un pc vecchio che, come il nostro, si disconnette in continuazione, Eufrasia è stata sgridata dalla prof per aver spento la telecamera e il microfono, ma era in auto con la mamma e non sapeva come fare. Alcuni sono soli a casa e non si svegliano in tempo. 
La miseria di questo sistema si fa strada con l'impeto di una valanga. Il fatto poi che l'orario delle lezioni che ci hanno dato sia buono per foderarci la gabbia del canarino, visto che non viene mai rispettato, è un altro paio di maniche.
A quando?
Per favore, professori, non ci dite che siete stanchi e che lavorate più di prima. Queste frasi toccano a noi genitori che spieghiamo quel che assegnate senza spiegare (proprio adesso Ieie mi ha chiesto cosa sia la paratassi), che correggiamo i compiti che non vi fate inviare e che altrimenti rimarrebbero lì come i quiz della settimana enigmistica rimasti senza soluzione. Quelli stanchi siamo noi, che facciamo un mestiere per il quale non siamo preparati (o così, oppure dovremmo dire che chiunque può insegnare).
Non ci dite, come ho sentito da alcuni, che meritereste un aumento di stipendio, perché potremmo saltarvi al collo, specialmente dopo che qualche madre lavoratrice, chiedendo ai professori come mai i voti del figlio fossero crollati negli ultimi mesi, si è sentita rispondere che in questa fase tocca a noi genitori seguire i ragazzi nelle attività scolastiche.
"Mio figlio è stato abbandonato" mi ha detto questa mamma "io lavoro e comunque tante cose non me le ricordo, non sono in grado di aiutarlo".
Che vergogna per uno Stato che nella sua Costituzione proclama che l'istruzione è aperta a tutti. Che è gratuita e, teoricamente, obbligatoria.
Ecco, io ve lo dico senza peli sulla lingua cari professori. Ho tirato la carretta per tre mesi, ma d'ora in poi mi impongo di incrociare le braccia a costo di abbandonare i miei figli all'ignoranza alla quale li avete condannati. Siete vittime anche voi, lo so, ma non faccio che chiedermi se qualcosa in più non potevate farla (e per inciso, la risposta non mi serve che già ce l'ho).
E se per settembre non si muove nulla, mi riprometto di disconnettermi da qualsiasi rete Internet perché, come voi non avete l'obbligo di fare lezioni on line (cosa che molto gentilmente non avete smesso di ricordarci), noi non abbiamo quello di essere connessi, né tantomeno di far parte di un gruppo whatsapp. E allora che farete, ci manderete i carabinieri a casa per inosservanza degli obblighi scolastici? O farete come la scuola di Ieie, che, al 20 di maggio, ha pubblicato un avviso on line per dire che c'erano alunni che, dalla chiusura della scuola, non avevano partecipato ad alcuna lezione, consegnato neppure un compito, né fatto un accesso alla piattaforma, e che i genitori di detti alunni erano pregati di attivarsi per far avere ai figli almeno una valutazione?
Basta col tutti promossi, ci sono genitori a cui del pezzo di carta non gliene importa niente. Vogliono Istruzione. Se la scuola è in grado di farlo, che a settembre riapra. Altrimenti che rimanga chiusa fino a data da destinarsi, che è più dignitoso della farsa degli ultimi mesi.
E comunque a giugno il campionato riparte. Certo il calcio è un'industria che muove miliardi, la scuola...be' lasciamo perdere. Ma non sarà anche che il calcio è roba da uomini e la scuola è roba da bambini e donne? Pardon, non da donne, da mamme...

venerdì 22 maggio 2020

Perfect

In fuga per sfuggire al capo della Gilda Bosco Crevan, Celestine  North comprende che l'unico modo per salvare se stessa e porre fine al sistema iniquo dei flawed, i fallati, costretti a pagare per tutta la vita con l'apartheid e l'ignominia un unico errore morale commesso, è recuperare il filmato che incastra Crevan e dimostra che anche lui è fallato, avendo sottoposto Celestine a una pena non autorizzata dalla Gilda.
Mr Berry, il suo avvocato, le ha fatto sapere di averle già consegnato il filmato, ma Celestine non ha la minima idea di dove sia, tanto più che Mr Berry sembra sparito nel nulla e con lui i pochi testimoni del gesto criminale di Crevan.
L'unico scampato è Carrick, un ragazzo che Celestine ha conosciuto durante i suoi giorni di prigionia sotto la Gilda, che come lei è stato giudicato fallato e ha assistito al gesto di Crevan. Aveva giurato che l'avrebbe trovata ed è proprio lui ad accompagnarla in questa fuga rocambolesca che li vede passare da un sito di ricerca allo studio di un originale avvocato, da una sorta di prigione-ospedale alla casa di un whistleblower, le guardie dei fallati, fino al lussuoso appartamento di uno dei membri della Gilda. Scenari dall'aspetto spesso misterioso e surreale, sfondi perfetti per il continuo capovolgimento di fronti con cui Celestine è costretta a confrontarsi. Fino alla conclusione che metterà sotto gli occhi di tutti, perfetti compresi, la bugia del sistema politico sostenuto fino ad allora che, come spesso accade, ha come fine il mero potere.
Degna continuazione del libro precedente, Perfect riprende la narrazione proprio dove si era interrotto Flawed, ma a differenza di quest'ultimo lo fa con un ritmo incalzante che, come promette la copertina, trascina il lettore dall'inizio alla fine. Si fugge insieme a Celestine e Carrick, alla ricerca della prova che potrà liberare non solo la protagonista, ma tutti coloro che, come lei, sono vittime del sistema.
Rispetto al primo capitolo, troviamo una Celestine più matura, la ragazzina indottrinata di Flawed lascia il posto a una giovane donna in grado di guardare al mondo con disincanto, ma senza perdere l'umanità e il coraggio che la contraddistinguono. In più Perfect ha il pregio di catturare il lettore sin da subito, perché lo stesso sistema della Gilda, che come avevo sottolineato nella prima recensione mi appariva un po' roba da sognatori, nello sviluppo della storia acquista spessore e credibilità, se non altro perché dimostra che cercare di moralizzare la società può rivelarsi pericoloso e dar vita inoltre a enormi ingiustizie.

Perfect di Cecelia Ahern, Harper Collins

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

venerdì 15 maggio 2020

Dalla parte dei bambini

Non possono protestare.
Non pagano le tasse.
Non votano. 
Sarà per questo che in oltre due mesi sono stati gli ultimi tra gli ultimi. 
Si sono previste misure per tutti (financo i detenuti in 41 bis hanno avuto un occhio di riguardo!), tranne che per loro, convinti che siano quelli meno danneggiati, perché a loro basta l'amore di mamma e papà e poco altro.
Sono loro che hanno perso tutto. Come quegli imprenditori che non sanno se riapriranno. Privati della scuola, delle attività sportive e ricreative, degli amici, dei nonni, di tutto ciò che componeva la loro quotidianità. Privati di una quotidianità.
In questi due mesi nessuno (a parte qualche mamma) si è interrogato su come le misure stringenti della quarantena abbiano impattato sulla vita dei bambini. Noi adulti siamo usciti per lavorare, per fare la spesa, per fare jogging pure, mentre loro languivano tra quattro mura, confortati da uno schermo e da programmi ad hoc sulle reti nazionali, in barba a tutti gli studi che consigliano di ridurre l'esposizione dei bambini agli schermi di Tv e tablet.
Anche il tema della scuola è stato trattato sinora in un'ottica adultocentrica. Riaprire le scuole perché i genitori devono lavorare (problema sacrosanto, per carità, e nessuno più di me, incatenata a casa da due mesi, lo può capire), riaprire le scuole garantendo la sicurezza della classe insegnante che è per lo più agée. Vero, certo, ma ricordiamoci anche che la scuola non è solo un diritto costituzionalmente garantito, se il costituzionalmente, in questi mesi, ha ancora un significato, è soprattutto la palestra dei nostri figli, quel luogo dove dovrebbero imparare ad affrontare la vita, a costruire relazioni, a formare la propria personalità. E uno schermo e dei compiti non sono per nulla la stessa cosa.
I bambini hanno uno spasmodico bisogno di confrontarsi con i loro coetanei in un posto che non sia il confortante nido di casa. Ci sono migliaia di figli unici costretti a frequentare ormai solo adulti, ci sono bambini che si intristiscono guardando i compagni di asilo da uno schermo, che possono incontrare i nonni restando a distanza e senza abbracciarli.
Cosa è rimasto a questi bambini della loro quotidianità a parte l'abbraccio di mamma e papà? Li abbiamo privati di tutto e ancora non sappiamo quando potranno recuperare un briciolo di normalità. Trattati come piccoli untori, quando invece sono solo vittime degli errori dei grandi.
Vorrei che uno dei tanti esperti avesse visto oggi mia figlia dopo mezz'ora di incontro virtuale con la classe. Come le brillavano gli occhi per quei pochi minuti trascorsi assieme, sebbene non avesse potuto chiacchierare con i compagni, né scambiarsi uno sguardo d'intesa con l'amica del cuore. Tutto il suo mondo ridotto nel francobollo dello schermo di un cellulare.
Ma ecco che ormai la scuola si avvia al termine e si appresta un'estate piena di incognite, in cui non sappiamo se potremo portare i bambini in spiaggia e a quali condizioni. Se potranno tuffarsi in acqua o se dovranno limitarsi a salutare da lontano l'amico che non vedono da un anno.
Per poi tornare a un nuovo anno scolastico ancor più carico di punti interrogativi.
Fate qualcosa per i nostri ragazzi, per carità. Qualcosa che vada al di là dei battibecchi ministero-sindacati che ho ascoltato sinora. Ricordatevi che i bambini e i ragazzi sono PERSONE, che la scuola non è solo un importantissimo diritto (che la Dad per altro non ha garantito), ma è anche una maestra di vita. E imparare a vivere chiusi tra le quattro mura di casa, spiando il mondo da uno schermo, è un po' difficile.

giovedì 7 maggio 2020

Nella didattica a distanza la grande assente è la didattica

Giorni fa è arrivata la valutazione della Lolla che dovrebbe sostituire il colloquio scuola-famiglia di metà quadrimestre. Da quanto inviato leggo che l'alunna partecipa assiduamente alle attività, collabora con le insegnanti, consegna  puntualmente i compiti assegnati, mostra capacità di problem solving e curiosità per le attività svolte.
Sarebbe interessante capire come hanno dedotto tutto questo giacché, (fatta eccezione per un breve incontro on line allo scopo di augurarsi buone "vacanze" di Pasqua), le maestre non vedono e non sentono la bambina da due mesi e immaginare che abbiano tratto tante belle considerazioni dai pochi compiti che, a partire solo da una ventina di giorni, le è stato chiesto di consegnare (e che IO allego con puntualità sulla piattaforma, per cui, sì, lo so che consegna con puntualità) ha quasi del miracoloso.
So bene che ci sono tante insegnanti e tante scuole impegnate nelle lezioni on line, ma ogni volta che sento la ministra dai variopinti rossetti snocciolare le sue percentuali da plebiscito sui ragazzi raggiunti dalla didattica a distanza, mi viene l'ulcera a pensare che su due figli, in due scuole di ordine, grado e comune diversi (uno in prima media, l'altra in quarta elementare), manco uno rientra nelle sue percentuali fantasmagoriche.
Da due mesi a questa parte la scuola si è trasformata in un compitificio: svanita la vita di e in classe, le insegnanti e gli amici, quello che è rimasto ai miei figli è la parte più noiosa e pesante della scuola. Compiti appiccicati a un registro virtuale sul quale le insegnanti appuntano pedissequamente gli argomenti trattati dei quali, però, nessuno ha mai veramente parlato al ragazzo, postando video di You tube per spiegare la nascita della borghesia o cosa sono gli organismi unicellulari. E ci va ancora di lusso, perché in altri casi vengono postati solo i numeri delle pagine da studiare, lasciando alla volontà degli alunni l'onere della comprensione (e alla buona volontà dei genitori disponibili quello della spiegazione). Ho trovato Ieie in video chiamata con l'insegnante del corso di musica che frequentava prima della fine della "vita reale" (come dice lui), per chiederle di insegnarli a suonare alcune note del flauto che l'insegnante di scuola gli aveva assegnato lasciandogli come guida il solo libro di testo. E di esempi simili ne ho tanti, roba da far pensare che a insegnare così siamo capaci tutti.
Questo per quanto riguarda Ieie che comunque, seppur con estrema lentezza, sta andando avanti col programma e che, dopo l'insistenza di alcuni genitori (me compresa) presso una riottosa preside, usufruisce di una barra due ore al giorno di lezioni on line su Skype, purché, ha stabilito la preside nei numerosi paletti che ha posto concedendoci questo privilegio, queste ore non si usassero per fare lezione (ma sì, che si raccontassero barzellette piuttosto) e i genitori non assistessero alle lezioni garantendo però il corretto comportamento dei figli durante lo svolgimento (ma come, con la forza del pensiero?). Per la Lolla le cose sono addirittura peggiori.
Arresesi all'impossibilità di spiegare qualcosa di nuovo in mancanza di interazione (le lezioni on line non si possono fare per non meglio definiti problemi organizzativi di insegnanti e alunni), le maestre hanno quasi del tutto abbandonato il povero programma ministeriale, fatta eccezione per radi, improvvisi guizzi in cui pare si tenti di far fare qualcosa di nuovo ai bambini, salvo pentirsi e ritornare sulle rodate strade del già fatto.
"Mamma basta con le divisioni, che la maestra ci dia qualcosa di nuovo!", ha sbottato l'altro giorno mia figlia e stava quasi per propormi una diserzione, quando le ho detto che stavolta le divisioni andavano consegnate. Sì perché, solo una parte dei compiti assegnati va restituita alle maestre (e anche qui ci va di lusso, perché per il primo mese la politica adottata era stata quella di non chiedere i compiti indietro, ma di inviarci le "soluzioni" lasciando l'onere della correzione a noi genitori), l'altra ce la possiamo tenere nel cassetto, come mero esercizio di stile. Il risultato di queste scelte è che mia figlia, quella stessa bambina che si sedeva da sola dopo pranzo a fare i compiti con rapidità ed efficienza (asserendo puntigliosa, davanti a qualche mio dubbio, che la maestra aveva spiegato di fare così), adesso langue svogliata su pagine di cui le sfugge l'utilità perché, come mi ha detto sfiduciata "tanto la maestra neanche li corregge".
Purtroppo per noi la didattica a distanza si è rivelata un fallimento su tutta la linea. Ai ragazzi si chiede un senso di responsabilità al di là delle loro capacità. Da questo momento tutto sarebbe dipeso da loro, ha detto il prof di inglese di Ieie alla chiusura della scuola trattando i suoi alunni come studenti universitari. Peccato che se all'università ci si va a 19 anni ci sarà un motivo. Perché sforzarsi a studiare storia se al posto dell'interrogazione verrà fornito un questionario da fare a casa (magari col libro aperto davanti) da restituire con comodo in una settimana? Qualunque ragazzo, anche lo studente universitario, sarà tentato dal non studiare.
Come madre, ciò che mi ha deluso di più è stato constatare come la maggior parte dei genitori non sia minimamente turbata dalla situazione. Ci ha visto giusto la summenzionata ministra quando ha per prima cosa rassicurato gli insegnanti sulla tutela dei loro stipendi e i genitori sul superamento assicurato dell'anno scolastico, ha dato al suo pubblico ciò che stava più a cuore, "panem et circensem". Perché a molti genitori non importa il diritto all'istruzione dei figli, ma il pezzo di carta, e vuoi mettere quanti sbattimenti in meno nel sapere che a prescindere da impegno e rendimento, l'anno sarà comunque assicurato? Bisognerebbe essere pazzi a richiedere verifiche serie e proseguimento del programma.
E così l'anno scolastico scivola verso la fine con questa irrecuperabile zoppia, tutti felici per lo scampato pericolo e senza certezze per il prossimo. Anzi, con un sinistro presagio, di arrivare a settembre ancora in attesa di capire dove  e come studieranno i nostri figli, quando finalmente, alla vigilia del nuovo anno scolastico, una conferenza stampa dell'ultimo minuto ci svelerà l'arcano. O ci assesterà l'ennesima mazzata.