giovedì 25 giugno 2015

Il buio oltre la siepe


Ci sono romanzi che parlano direttamente al cuore, toccano le corde dell'anima facendo vibrare sentimenti senza tempo, che tutti conosciamo. Penso, ad esempio, a Guerra e pace, alle pagine dove il principe Bolkonski saluta il padre prima di partire per la guerra (gli occhi  penetranti del vecchio erano fissi negli occhi del figlio. Qualcosa tremò nella parte inferiore del viso del vecchio principe) o a quando la contessa Rostov e Anna Michailovna, amiche, sono imbarazzate per una questione di denaro (Piangevano perché erano amiche, erano buone e perché, compagne di gioventù, si dovevano occupare di una cosa così vile, di denari; e anche perché la loro giovinezza era passata...Ma le lacrime di entrambe erano dolci). Il buio oltre la siepe, di Harper Lee (una donna, per chi, come me, non  lo sapesse), rientra di diritto in questa categoria e risulta ancora più attuale se si considerano recenti episodi avvenuti negli Stati Uniti.
Scritto nel 1960, narra le vicende di un piccolo villaggio del Sud dell'Alabama nei primi anni '30, viste, estate dopo estate, dagli occhi di Scout, una bambina. Chi conosce la vita di paese, sorriderà e annuirà davanti ai personaggi tipo: la vicina che sa tutto di tutti, il compaesano che se ne infischia delle convenzioni e per questo è considerato mezzo matto, la vecchina astiosa, il misterioso Boo che vive rinchiuso in casa e che alimenta le fantasie e i giochi dei bambini. Tutto scorre tranquillo fino al giorno in cui un giovane nero, Tom Robinson, viene accusato dello stupro di una ragazza bianca. Il processo, in un'America ancora segnata dalla segregazione razziale, risveglierà la vita pigra e monotona del villaggio, alimenterà le chiacchiere e i pettegolezzi del paese, ma soprattutto toglierà le maschere e mostrerà chi, al di là delle convenzioni e dei pregiudizi, sia dotato veramente di umanità e dignità.
La protagonista racconta la vicenda a distanza di anni, si presume da adulta, ma lo fa da una prospettiva "bassa", con lo sguardo, i ricordi e i ragionamenti di una bambina. E questo, ahimè, aiuta il lettore adulto a riconoscere come spesso tradiamo la parte migliore di noi stessi, e come a volte i piccoli vedano le cose con una maggiore lucidità rispetto ai grandi.
"Gli uomini riducono la vita dei propri simili a un inferno, specie quella dei negri, senza nemmeno riflettere un istante sul fatto che sono uomini come noi!".
In mezzo a tutti si erge la figura di Atticus Finch, il padre di Scout, che, inimicandosi mezzo paese, assume la difesa d'ufficio dell'imputato. Ho avuto difficoltà a raffigurarmelo un po' vecchio e stanco, come lo descrive Scout, perché dotato di tutte le caratteristiche morali che dovrebbe avere un Uomo per definirsi tale.
"Ma prima di vivere con gli altri, bisogna che viva con me stesso: la coscienza è l'unica cosa che non debba conformarsi al volere della maggioranza".
Non posso negare di aver pianto leggendo molti passaggi di questo libro e, se generalmente non amo i libri strappalacrime, bè questo è un'eccezione, ma soprattutto è un libro che ognuno di noi dovrebbe leggere, un must read, ecco, più per gli adulti che per i giovani, perché penso ne abbiamo maggiormente bisogno.
Concludo con quella che è stata per me la frase più significativa, un vero e proprio, bellissimo, aforisma:
"Fino al giorno in cui mi minacciarono di non lasciarmi più leggere, non seppi di amare la lettura: si ama, forse, il proprio respiro?".

Il buio oltre la siepe, Harper Lee, Universale Economica Feltrinelli, trad. di Amelia D'Agostino Schanzer

P.S.
Ho avuto difficoltà nel comprendere la traduzione del titolo e ammetto di non aver capito le spiegazioni scovate qua e là. Trovo molto più significativa la versione originale (Uccidere un tordo), poiché spiegata nel libro dallo stesso Atticus Finch: i tordi non fanno niente di speciale, ma non fanno nemmeno dei danni ed è piacevole sentirli cinguettare, per cui è un peccato ucciderli. Così come è un peccato uccidere Tom Robinson o far del male a Boo.

mercoledì 24 giugno 2015

In Sicilia con prole

Viaggiare con i figli a distanza di un anno è un modo per scoprire quanto sono cresciuti.
Terrorizzati dall'idea di un lungo tragitto in auto (l'ora scarsa che impieghiamo per andare dai nonni a volte è una mitragliata di "quando arriviamo?"), memori dei capricci che farcirono il nostro week end a Eurodisney di un anno fa, delle lotte improbe tra fratelli per l'unico passeggino noleggiato, delle sveglie all'alba imposteci da Ieie, siamo partiti per la Sicilia deglutendo e sperando.
Premetto che, come sempre, da quando abbiamo iniziato a spostarci con i bambini, scegliamo mete, o comunque tipologie di viaggi fatti anche, e soprattutto, a loro misura. Non troppe camminate tra i monumenti, niente musei, per adesso, e la scelta di posti che abbiano attrattive adatte ai loro gusti di bambini. So che ci sono famiglie con bimbi coetanei dei nostri che riescono a visitare mostre, musei e città d'arte, con estrema naturalezza e con il godimento di tutta la famiglia. Io ho ancora troppo vivido nella memoria il ricordo della visita al Palau Guell di Barcellona di due anni fa, per ritentare l'impresa.
Fatto sta che quest'anno abbiamo optato per una meta che unisse mare (per loro) e posti nuovi da visitare (per noi). Sarà stata la scelta azzeccata, sarà stata la fortuna, sarà stato (lo spero) il fatto che sono cresciuti, ma il risultato è andato oltre le più rosee aspettative.


Le undici (UNDICI) ore in auto sparateci al ritorno non hanno visto consumarsi drammi particolari. Niente soste, tranne quella in traghetto, svariate scazzottate consumatesi tra i sedili posteriori, senza vittime per fortuna, ma anche giochi, chiacchiere e risate complici tra i due fratellini, che ho immensamente invidiato ricordando i miei viaggi da figlia unica.
Abbiamo dormito e al mattino ci siamo risvegliati stupiti di questo aspetto.
Le mattine al mare son trascorse tranquille al punto che, per i primi due giorni, sono riusciti a giocare per ben tre ore con la sabbia senza litigare e in completa autonomia.
Ieie si è sottoposto alle passeggiate pomeridiane senza troppe lamentele e, soprattutto, ha camminato e non ha conteso il passeggino alla sorella.
Non ci sono stati capricci degni di nota, lotte furibonde o crisi di nervi.
Siamo tornati stupefatti e soddisfatti in uno stato di grazia. Poi, va bè, la routine ha riattivato i soliti meccanismi di gelosia-capricci-litigi con annesso svalvolamento dei genitori.
Però, chissà, magari l'anno prossimo si potrebbe tentare una visita agli Uffizzi...

mercoledì 10 giugno 2015

-90 all'alba

Appena tornato da scuola ha messo su il Dvd con la recita scolastica dello scorso anno, quella della materna, per intenderci. La canzone "Ragazzi di oggi", cantata da 24 nani tra i cinque e i sei anni, ha riempito il soggiorno.
Ha mangiato, giocato, è andato al penultimo allenamento di basket.
Al ritorno è andato dal barbiere, che è poi il papà di un suo compagno di scuola. Nell'attesa del suo turno è passato anche il compagno di cui sopra. Si sono salutati.
E' tornato a casa, ha cenato. Ha rimesso il Dvd della recita, dopo che, in sua assenza, la Lolla l'aveva mandato in loop circa quattro volte e io cominciavo a detestare Luis Moreno.
"Mamma ma quando ricomincia la scuola?", mi ha chiesto.
"A settembre".
"Sì ma settembre quando, il sette, l'otto?".
"Mah, non so. Non so nemmeno se è già stata fissata una data".
"...".
"Perché?" chiedo timorosa della risposta.
"Perché mi mancano i miei compagni".
Il primo giorno è andato. Adesso ne mancano circa 90. Speriamo di sopravvivere a Luis Moreno.

martedì 9 giugno 2015

La Triennale

Domenica. Il tepore e l'ottundimento dei sensi della stanchezza post prandiale a casa dei nonni, gli occhi che si soffermano con noncuranza su un programma televisivo dove mostrano mercatini di modernariato e antiquariato. Ogni tanto parte una classifica dei prodotti più ricercati, e quotati, sul mercato dei collezionisti. Prima le stilografiche. Poi le lampade. E qui già mi risveglio un po'. Quando poi, in cima alla classifica si pone una piantana dal valore di 7.000 euro, la curiosità mi ridesta del tutto.
Cerco su Internet una foto della suddetta, dal nome Triennale, non perché desideri comprarne una, ma perché sono ormai quattro anni, da quando siamo venuti a vivere al paesello, che ci proponiamo di completare la nostra casa (siamo in diretta competizione con la Sagrada Familia), e per l'appunto negli ultimi quattro anni ho sfogliato cataloghi, girato negozi e caricato siti di arredo luce come se non ci fosse un domani. Inutile dire che nonostante tanto da fare, le lampadine ondeggiano ancora nude dai muri di casa.
Ma torniamo a Triennale. Hai visto mai, penso, che non l'abbia già incontrata nei miei giri? Quando la foto si carica sul telefonino io e mia madre abbiamo un sussulto. Ci si accende la lampadina, per dire.
"Ma questa somiglia a quella che c'era a casa della nonna" dice mia madre. Ecco cos'era quell'aria familiare. "La teneva dietro al divano, poi a un certo punto le lampade non si reggevano più e non so dove l'ha messa" (la suddetta consta di uno stelo verticale dal quale partono tre bracci orizzontali, ognuno con una plafoniera di colore diverso). No, niente, io dietro al divano non ricordo alcunché, evidentemente non l'ho mai vista.
Suggerisco allora di chiamare la zia, che a casa della nonna ci vive, per avere "lumi" al riguardo.
"Ti ricordi la piantana della mamma, quella a tre bracci che stava dietro al divano?", esordisce mia madre al telefono con la sorella.
"Sì, la mamma l'aveva spostata nell'ingresso di servizio perché continuavano a cadere".
Ecco che mi si riaccende la lampadina e a poco a poco l'immagine di questa gru a tre teste riaffiora con maggiore chiarezza. Mi pare di rivederla, con i bracci incapaci di mantenere la posizione orizzontale, i cappelli colorati all'insù come creste di galletti a cui avessero tirato il collo e il filo elettrico arrotolato intorno allo stelo, giacere nell'angolo dietro la porta, davanti alla panca foderata di (simil?)pelle rossiccia dove nessuno si sedeva mai. Era in una stanzetta di passaggio, buia e senza finestre, ironia della sorte, un ingresso mai utilizzato posto prima della stanza-ripostiglio.
La stanza-ripostiglio conteneva armadi di vecchi vestiti e ceste dei nostri vecchi giocattoli. Anche se sapevamo che ci era vietato frugare e mettere disordine là dentro, io e mia cugina lo facevamo lo stesso. Era un posto magico e pauroso dove andare a giocare. Relegato in fondo alla casa, là dove non andava mai nessuno, pieno di roba vecchia e abbandonata, estremamente silenzioso perché non vi giungevano nemmeno i rumori: né la tv a volume alto della nonna (che era un po' sorda), né il trillo del telefono o quello del citofono.
Tra cavalli a dondolo azzoppati, case di Barbie con l'ascensore pencolante e bambole denudate e prive ormai di dignità, nel silenzio sospeso di una dimensione alternativa, l'elemento più misterioso: un lavello da cucina che sbucava da una parete.
Chissà quante volte, nelle nostre fughe nell'iperrealtà della stanza-ripostiglio, siamo passate davanti a Triennale senza degnarla di uno sguardo. A quanto pare è rimasta in quell'angolo fino a dieci anni fa quando mia zia, tirando a lucido la casa per il matrimonio della figlia più grande e trasformando la stanza-ripostiglio in stanza degli ospiti, l'ha regalata a qualcuno. Se n'è sbarazzata, insomma, e nemmeno si ricorda a chi l'ha data.
"No perché nel programma hanno detto che vale circa sett.." azzarda mia madre.
"No, non me lo dire!".
"Se vai su Internet puoi vederla, così ti accerti che sia la stes..".
"No, non lo voglio sapere!".
Deve essere stato un colpo sapere di avere 7.000 euro buttati in un angolo e di averli regalati. Triennale, dopo aver passato anni negletta e abbandonata, s'è presa la sua rivincita. L'abbiamo ignorata a lungo, adesso che (ci siamo accorti che) non c'è più, la rimpiangiamo amaramente. Speriamo almeno che il nuovo proprietario, chiunque sia, l'abbia saputa apprezzare.


lunedì 8 giugno 2015

L'ultimo giorno

Mi sembra impossibile che già nove mesi siano passati da quella mattina di metà settembre quando, tremante come una foglia, spaurito come un pulcino bagnato, aspettavi l'inizio di quella nuova avventura chiedendomi se davvero ci sarebbero stati i tuoi vecchi compagni.
A vederli un po' il cuore ti si è aperto, ma mica tanto. Lo dimostrano le foto scattate tutti insieme vicino al cancello dirimpetto alla scuola. Il visino sottile, tirato, le spalle sovrastate da quello zaino enorme che quando papà l'ha portato a casa mi sono detta "ma che se ne farà mai di un affare così grande?". Non sapevo quanto mi sbagliavo.
Ecco, 200 giorni dopo, questa prima avventura sta per terminare e io ho già il magone, come quando ero io ad andare a scuola. Solo che adesso l'alunno sei tu, e poco importa che tra qualche mese varcherai di nuovo quella porta per iniziare la seconda elementare, pardon, primaria. A me sembra già che tu abbia preso il volo, che il percorso sia tracciato e la strada sia in discesa. La verità è che, mi piaccia o no, ti sei incamminato sulla china che ti porterà alla maturità, in tutti i sensi, il bambino pian piano lascerà il posto al giovane, e non riesco a non sentirmi persa. E un po' inutile.
A ripensarlo, quest'anno volato, è un mosaico di tanti momenti. I primi pomeriggi di studio in cucina, quando ancora non avevi la tua cameretta. Il mio sgolarmi (che, con la finestra aperta per via del tepore autunnale, mi avrà sentita tutto il paesello) e il tuo nervoso rinunciare davanti alle difficoltà di quel foglio a quadretti dove, sebbene tu sapessi già scrivere in stampatello, le lettere si perdevano senza ordine, come se non ci fossero né margini, né righe. Le mie apprensioni davanti alle tue difficoltà, per me incomprensibili, quelle manine che si passavano indecise la matita: la destra, la sinistra, qual era quella giusta?
Il lento avvio, poi la strada, mancina, trovata, il trotto, e, mentre passavamo alla scrivania nuova della tua cameretta, il galoppo. In qualche modo ce l'avevi fatta a superare i tuoi ostacoli, la macchina è partita, non ti sei più fermato. D'un tratto la mia presenza è stata solo un supporto alla mancanza di fiducia in te stesso.
In questo tuo primo anno di scuola, tanti ricordi del mio primo anno che sembravano annegati per sempre son tornati a galla. Non sempre è piacevole rivangare il passato, non in questo specifico momento della mia vita, ma così è: essere genitori ti fa tornare bambino in mille impensabili modi.
Ecco, oggi, per l'ultima volta almeno per un po', ti accompagnerò a fare i compiti. Mi siederò accanto a te, ti ascolterò, ti correggerò se sarà necessario. Da domani, poi, liberi tutti.
Andiamo a mettere la parola fine sui tuoi quadernoni, con quella tua grafia che, nonostante gli sforzi, è rimasta sghemba e disordinata. E' normale, dicono, i maschi non hanno una bella calligrafia. Se farà il medico, mi hanno detto le tue maestre, non sarà un problema, si sa che i medici scrivono con le zampe di gallina. In realtà, per adesso tu vuoi aprire un autolavaggio. Non so, quanto è importante la calligrafia per chi gestisce un autolavaggio?

giovedì 4 giugno 2015

La preside

La prima volta che l'ho vista è stato un anno fa, al termine della recita per la fine della materna di Ieie. Recita per altro voluta strenuamente dai genitori dopo che, sempre lei, aveva contrastato e affossato quella natalizia. Ha tenuto un breve discorso in seguito al quale mi sono rivolta a mia madre, insegnante in pensione,  per avere lumi. Ma neanche lei ci aveva capito granché.

Ne avevo già sentito parlare tempo prima, quando la terza classe della materna, quella di Ieie, arrancava in perenne assenza di maestre causa malattia. I bambini venivano divisi e smistati nelle aule dei bimbi più piccoli, a fare non-si-sa-bene-cosa, con loro grande sofferenza. Ieie, per dire, non voleva più andare a scuola.
Ai genitori che l'avevano contattata in cerca di soluzioni, aveva risposto "E' inutile che me lo chiediate, io la supplente NON LA NOMINO".

L'ultima volta avrei dovuto incontrarla un mese fa, in occasione di una mostra interscolastica tenutasi nella scuola di Ieie. Dico avrei perché la mostra, da volantino prevista per le 9, alle dieci ancora aspettava il taglio del nastro. Le maestre erano tutte lì da un'ora, benché fosse un giorno festivo, i ragazzi in piedi sulla soglia a reggere, per l'appunto, il nastro. E lei, deputata a tagliarlo, in ritardo perché SI-ERA-PERSA.
Noi abbiamo girato i tacchi e ce ne siamo andati.

Ora leggo che, con la riforma della scuola, diventerà un leader educativo (ma chi lei???). Dovrà:
- promuovere l'offerta formativa;
- mettere in campo una squadra individuando i docenti più adatti;
- agire con trasparenza (e qui mi faccio una risata);
- ricevere un bonus sulla base delle valutazioni ottenute (sì, ma da chi? Fosse per me le decurterei pure lo stipendio).
Ora, merito, autonomia, sono tutti concetti che mi vedono d'accordo. Ma se ai presidi dovranno andare tutti questi "poteri", io sono molto preoccupata. La nostra, di preside, ce la sorbiremo dalla materna fino alle medie (moltiplicata per due figli) e francamente, o i dirigenti scolastici verranno azzerati e ri-nominati prima che la riforma diventi legge, o altrimenti per noi si mette male.