mercoledì 29 luglio 2015

Scene da un matrimonio

Una ragazza con i capelli color aragosta, in pandant con la cintura del vestito; una donna emersa direttamente dal mare, con lo strascico a coda di sirena e l'abito ricamato da un barriera corallina rosso fuoco; un giovane che si sente male dopo aver spazzolato una cinquantina di ostriche.
Una panchina di ferro battuto con cuscini di tela bianca e lì, piedi contro piedi, ognuno ad una estremità, un bambino e una bambina colti improvvisamente dal sonno dopo aver corso e riso tra l'erba del prato; una signora di mezza età con un lungo vestito blu elettrico e un boa piumato dello stesso colore che, a fine festa, ha arricchito con rose candide, non si sa bene se vere o finte e di quale provenienza; uno zio ultraottantenne che si scatena in pista al ritmo di Collegiala con una parrucca di ricci neri in testa e l'energia di un ragazzo.
Un signore piccolo e tondo, con le braccia piccole e tonde, il viso rotondo accentuato dai pochi capelli, che racconta una storia di dolore che lo riguarda e tu, che per caso ti ritrovi nel gruppo degli ascoltatori, che ti senti un'intrusa, e non sai cosa dire. Perché l'unica cosa che vorresti fare è abbracciarlo e condividere il suo dolore, ma non è conveniente, né razionale, abbracciare qualcuno di cui non conosci nemmeno il nome. E tutto ciò ti fa sentire inutile e cattiva.
E questo ti riporta all'inizio di quella giornata, all'arrivo a casa della parrucchiera scovata dopo vane ricerche, ché il lunedì i saloni son tutti i chiusi al paesino, e grazie a una provvidenziale raccomandazione, per dare un minimo di dignità ai capelli cespugliosi. Nell'ora in sua compagnia la signora ti aveva aperto una finestra sulla sua vita, ma con una tale delicatezza che tu, che pure sei riservata e silenziosa, non ti eri sentita a disagio né avevi provato fastidio. Ti aveva raccontato, tra le altre cose, di suo marito, venuto improvvisamente a mancare pochi anni fa, del quale sente ancora intensamente la mancanza. Non te l'aveva descritto, ma ti aveva riportato alcuni aneddoti utili a comprenderne le virtù. E almeno in quell'occasione, mentre la voce le tremava e gli occhi diventavano lucidi, eri riuscita a trovare le parole giuste.
"Signora, lo so che il vuoto non si riempie - avevi detto - ma almeno deve consolarla il fatto di aver avuto la fortuna di conoscere una persona come suo marito, e di averla avuta al suo fianco".
"E' vero, hai ragione - aveva risposto -. Ho delle amiche vedove, che invece sono contente di essere rimaste sole".
Ecco, ho pensato, questo è VERAMENTE triste.

giovedì 23 luglio 2015

Prima o poi te tocca

Ci son cose, nella vita, che prima o poi a tutti capitano. Una delusione d'amore, una multa, una litigata al telefono con un call center, un'acquazzone che ti sorprende all'improvviso senza ombrello. E poi lui, il matrimonio d'estate. Quest'ultimo, a dire il vero, per lungo tempo me l'ero risparmiato, finché non me ne sono capitati due in due anni. E se l'anno scorso un agosto fresco ci ha graziato, quest'anno, visto come si è messo il meteo, non scamperemo alla calura. Trattandosi, poi, di matrimoni di cognati, l'opzione "adesso decido se andarci o se darmi malato" non è minimamente praticabile.
Ma a questo si aggiunge il carico da dieci. Ad entrambe le cerimonie mi tocca presentarmi da sola, come madre single con figli a carico, situazione che a dire il vero conosco bene, perché il marito è stato incaricato di fare l'autista, prima della sorella, quest'anno della cognata e poi anche del fratello. Con buona pace mia e dei miei figli che, volenti o nolenti, ci siamo dovuti adattare.
Lo scorso anno, grazie ad un paio di scarpe basse di ricambio con cui guidare, sono andata al matrimonio automunita, portando i bambini e mia suocera che all'ultimo momento è stata costretta dai figli a venire con me. Morale della favola: per una serie di disguidi a me non imputabili, siamo arrivati dopo la sposa e a cerimonia già iniziata, con mia suocera che un altro po' entrava urlando come Benjamin Braddock del Laureato.
Quest'anno, mesi e mesi prima ho messo le mani avanti, spiegando che col cavolo che stavolta sarei andata con la mia macchina. Niente paura, mi è stato detto, io e i bambini usufruiremo di un passaggio. E anche se a quattro giorni dalle nozze non ho ancora ben capito quale parente, affine o conoscente si prenderà questo incarico, la tabella di marcia è già stata stilata.
Lunedì usciremo di casa tutti e quattro alle 3 p.m., anche dette 15.00 oppure mazza che caldo visti i 40° all'ombra che ultimamente caratterizzano la fascia oraria, e dopo una serie di incontri con persone variamente imparentate con mio marito, io e i bambini verremo scaricati in chiesa (mio marito proseguirà dal fioraio e poi verso casa della sposa) dove la cerimonia è prevista non prima delle 18.00.
A quanto  pare, onde evitare il ritardo dello scorso anno, l'orario di uscita da casa non è contrattabile.
Non si sa bene cosa succederà tra il nostro arrivo in chiesa e la fine della messa (tempo totale previsto, due ore) visto che, in condizioni normali, i miei figli a malapena reggono una normale messa domenicale. Per dire, quando mio marito mi ha comunicato il programma al telefono, nei miei pochi minuti di distrazione, Ieie e la Lolla hanno:
-iniziato a rincorrersi e menarsi;
-pestato volutamente un formicaio;
-rischiato di scivolare sul formicaio mentre lo pestavano, si rincorrevano e menavano.
E' anche possibile che, tramortiti dal caldo (Ieie, in qualità di paggetto dovrà indossare camicia, giacca, pantaloni e scarpe chiuse), svengano quasi subito senza arrecare fastidio. Io, comunque, mi siederò in ultima fila, fingendo di non conoscerli.
Non è dato sapere, poi, chi, se saremo sopravvissuti, dopo la cerimonia ci porterà al ristorante, visto che mio marito sarà impegnato in un tour fotografico con gli sposi.
A questo punto, ecco, io speriamo che me la cavo.

martedì 21 luglio 2015

Una cosa divertente che non farò mai più

Ci sono libri che suscitano reazioni contrastanti e Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace, rientra a pieno titolo in questa categoria. Non parlo delle reazioni del pubblico e della critica, che peraltro non conosco, ma di quelle prodotte sulla sottoscritta. Iniziato con entusiasmo per il tono puntiglioso e canzonatorio, nonché per un uso del lessico chiaro, immediato, ma mai banale, continuato con un po' di perplessità e a tratti di noia, finito col botto, perché il capitolo conclusivo, quello più lungo, è a mio giudizio la vera chicca del libro, la parte più divertente.
Nel 1995 la rivista Harper's commissiona a Wallace, sull'onda del successo di un suo analogo lavoro in tema di fiere locali, un reportage sulle crociere di lusso nei Caraibi. Una cosa divertente che non farò mai più nasce proprio da questa richiesta e racconta una settimana a bordo della Zenith, di prorietà della Celebrity  Crociere, analizzando gli sprechi, le contraddizioni, le esagerazioni di quel "micro" (si fa per dire, visti i numeri da capogiro di questi natanti) mondo che sono le navi da crociera, analizzate con l'occhio serio e disincantanto del giornalista Wallace, che, da bravo reporter, basa ogni commento su cifre, documenti e resoconti dettagliati, rendendo il racconto denso di humor, grottesco e a tratti assurdo.
Trattandosi appunto di un reportage, non c'è una trama vera e propria, la narrazione si dipana prendendo in considerazione le varie esperienze a bordo della nave. Si va dalla descrizione degli ambienti in perpetuo lifting, al cibo che, come sa chiunque conosca un minimo le navi da crociera, scandisce con opulenza le ore a bordo; dall'eccesso di zelo nel servire gli ospiti, alla rigida divisione in caste dell'equipaggio; dalla descrizione del crocierista tipo, al ritmo incalzante delle attività a bordo che non devono mai farti sentire inoccupato.
Wallace ammalia innanzitutto per il suo modo di scrivere, che trasuda intelligenza e acume senza mai sconfinare nella presunzione. E' un vero cesellatore delle parole, ha trovate brillanti (il té formale in finto smoking ha dell'incredibile), riflessioni pungenti, eppure in alcuni punti del libro devo ammettere che ho provato un senso di stanchezza. Ho trovato alcune riflessioni un po' scontate (penso alla parte in cui Wallace si chiede come fanno gli inservienti a sapere quando la cabina è libera e a riordinarla ogni volta prima che l'ospite ritorni, ecco dopo tanto parlarne mi sarei aspettata una risposta, visto che a suo tempo il dubbio me l'ero posto anch'io senza risolverlo) altre eccessive. Mi riferisco in particolare all'insistenza con cui l'autore parla della promessa di divertimento, felicità e relax fatta dalle compagnie di crociera: le attività a bordo ti devono far sentire vivo, liberando la tua esistenza dalle contingenze; i depliant costruiscono il sogno della vacanza così che il viaggiatore non deve fare nemmeno questo sforzo; tutto è volto a viziare il crocierista che non avrà altra scelta se non divertirsi al punto che "l'opzione della fatica del divertimento non promette tanto il superamento del terrore della morte quanto piuttosto di allontanarlo per un po' di tempo" fino all'assunto che in crociera "veniamo coinvolti con abilità proprio nella costruzione di svariate fantasie di trionfo sulla morte e sulla decadenza".
Ecco, posso dirlo?, a questo punto mi è sembrato un po' eccessivo. Perché io in crociera ci sono stata, e mi sono immedesimata nelle disavventure di Wallace e ho riso a molte delle sue trovate, ma questo approccio metafisico proprio non sono riuscita a condividerlo.
Preferisco il Wallace che prende in giro gli ufficiali impomatati con l'espressione di chi è sempre pronto a farsi immortalare, quello che irride la smania di fotografare del turista moderno o che non può sgranchirsi le gambe perché gli addetti alla piscina mettono a lavare il telo mare ogni volta che si alza dalla sdraio.
Quello per cui, in definitiva, vale la pena leggere questo libro.

Una cosa divertente che non farò mai più, David Foster Wallace, Minimum fax, trad. di Gabriella D'Angelo e Francesco Piccolo

giovedì 16 luglio 2015

Dal paesello al paesino

Ancora qualche giorno e saremo nel paesino, l'unico paese nel quale avessi mai vissuto prima di trasferirmi al paesello, ché prima di allora la mia vita si era svolta solo in città.
Molto noto per la sua posizione geografica, il paesino è una piccola località di mare che d'inverno conta circa 800 abitanti, allungati, d'estate, da una miscela di villeggianti abituali e turisti occasionali. Come ogni piccolo centro che si rispetti, annovera una serie di personaggi tipici, un po' come i caratteristi dei film italiani anni '50, che ne fanno un mix tra la Stars Hollow di Gilmore Girls e la Wisteria Lane di Desperate Housewives (e lo so che magari ci sono riferimenti più recenti, ma purtroppo i figli hanno interrotto la mia dieta a base di serie tv).
C'è il giornalaio misantropo che esulta quando la stagione balneare è al termine, perché odia la confusione portata dai turisti, e poco importa se con quel che gli fanno guadagnare campa per tutto l'anno; c'è la sua commessa musona, a lungo da noi scambiata per la moglie e quella che credevamo la suocera, o la madre, e che invece si è scoperto essere la moglie. C'è, o meglio c'era perché è venuto da poco a mancare, il proprietario dell'alimentari più vecchio e fornito del paesino, nonché titolare di svariate altre attività commerciali, una sorta di Paperon De' Paperoni locale, in tutti i sensi, che, nonostante lavorasse tanto, girava ancora con una vecchia utilitaria e con abiti che avevano visto tempi migliori. Ci sono ex pescatori ed ex marinai, ormai famosi tra noi villeggianti. Alcuni socievoli e ciarlieri, altri dalla conversazione monosillabica, ché passare l'inverno in riva al mare, con la sola compagnia dello scirocco che sferza la pelle e increspa i capelli, ha conseguenze perenni sull'umore. Ci sono le vecchiette sedute sulla panchina del lungomare, sempre le stesse, sempre la stessa, e tu a stento sai chi sono, ma loro saprebbero ricostruirti il tuo albero genealogico fino alla sesta generazione.
Perché al paesino, ci veniva già la famiglia di mio nonno materno. E forse sarà stato per quelle barche a remi che tornavano a riva cariche di pesce guizzante che, dopo aver vissuto la fame e i bombardamenti di Roma, a mia nonna, originaria di Milano, sembrò il paradiso terrestre.
Ma anche mia madre ricorda passeggiate su scogli ricchi di una fauna e una flora da esplorare. E io, nel mio piccolo, racconterò ai miei bambini di quando con le cugine si raccoglievano ciottoli colorati, conchiglie, telline, gusci di patelle e scheletri di riccio dalla spiaggetta vicino casa.
Gli scogli dove un tempo si faceva il bagno...
Oggi niente di tutto questo ha più senso. Da oltre dieci anni il megaporto turistico pieno di barche per due mesi l'anno, e con la crisi anche di meno, ha fagocitato gran parte della baia, rendendo l'accesso al mare impervio e complicato e soprattutto poco a misura di bambino.
...oggi ospitano solo barche dismesse.
In compenso adesso imperversano i tour guidati alle grotte, che hanno riempito il paesino di un turismo mordi e fuggi che tutto consuma e nulla costruisce.
La baia ai tempi di mia nonna
miei
 e com'è oggi
Io al paesino ci torno perché c'è una casa che ci aspetta e perché c'è un bagaglio di affetti. C'è l'amica T., conosciuta per caso un giorno di 29 anni fa mentre portavo a passeggio il mio cane. Allora non sapevo che mi avrebbe presentato quello che sarebbe diventato mio marito. C'è l'amico M., vicino di casa, al quale un giorno presentai un'amica e ora è sua moglie. Ci sono persone entrate per casualità nella mia vita per non uscirne mai più, con le quali, senza accorgermene, filo dopo filo abbiamo intrecciato le nostre esistenze fino a costruire una trama di ricordi. E' soprattutto per questo che torno al paesino, anche se fa male vederlo ogni anno più trascurato, involgarito e sporco. Anche se è assurdo andare al mare e non sapere come fare per scendere a mare.
Cose che vedevo dalla mia finestra
Cose che vedo oggi
Ma ai miei bimbi ancora piace. E allora spero che anche loro trovino la loro dimensione, fatta di amici conosciuti per caso, di muretti, personaggi tipici e amici di amici. Dopotutto le cose più belle arrivano quando meno te le aspetti.

Cose che vedeva mia nonna

sabato 11 luglio 2015

Vorrei cantare come Biagio

A cavallo tra giugno e luglio, Ieie è stato impegnato in un campo scuola naturalistico, tra boschi, animali selvatici, cattura di insetti, attività sportive e bagni nella piscinetta all'aperto. E' stata (credo e spero), un'esperienza piacevole, svolta assieme ad alcuni compagni di scuola che, oltre a dargli la possibilità di svagarsi all'aria aperta, gli ha permesso di rimanere in contatto con i suoi amici e di contrastare la sua indole timida sempre in agguato.
Ulteriore elemento di interazione sono stati i viaggi fatti a turno da uno di noi genitori per prendere o portare i bambini. Sebbene la mia macchina adesso somigli a una discarica di terra, aghi di pino e foglie varie (e non vedrà un autolavaggio fino a settembre, perché negli ultimi giorni stiamo aggiungendo la sabbia a questo miscuglio), quella di fare da autista a una combriccola di quattro sei-settenni sudati e scalmanati è stata un'esperienza antropologicamente interessante, soprattutto per una come me che, da bambina, viveva in un mondo fatto prevalentemente da amichette e cuginette.
Ho potuto infatti constatare che nell'universo maschile esistono degli evergreen, ovvero, il gioco del calcio ("Forza Milan!" "No, forza Juve!", "Inter schifo"), menarsi e prendersi in giro, fare a gara per chi è più bravo/intelligente/forte, ecc.
Ho inoltre potuto effettuare un'analisi musicologica dei sei-settenni di oggi. Quando Ieie ha messo tutto fiero le canzoncine che lui e la Lolla amano ascoltare in auto (ovvero musiche Disney e dello Zecchino d'oro), i suoi compagni gli hanno fatto notare che sono da bambini piccoli (ma và, e voi che siete? avrei voluto chiedere).
Invece, mentre Ieie ribatteva fiero che lui non è un bimbo piccolo, ho chiesto agli altri che musica ascoltassero.
"A me piace il rock", ha risposto il primo.
"C'è qualche cantante che preferisci?" ho domandato curiosa.
"..."
"A me piacciono Moreno e Biagio Antonacci" è intervenuto il secondo, il più grande di tutti, sette anni nuovi di pacca.
"Anche a me Moreno e Biagio Antonacci" ha ripreso il primo.
"Pure io Moreno e Biagio Antonacci" ha concluso il terzo.
Da questa breve conversazione sono emerse alcune riflessioni:
1) Oggi come ieri, in ogni gruppo c'è sempre un leader, più o meno consapevole del suo ruolo. Nessuno lo ha designato in maniera esplicita, ma tutti lo seguono quando propone, detta mode e tendenze, definisce le regole di un gioco.
2) Ogni generazione cresce più in fretta della precedente. Io e le mie amiche siamo andate avanti a compilation di Fivelandia fino ai dieci anni, oggi è già tanto se le ascoltano all'asilo.
3) Non so se mio figlio sia molto ingenuo o molto sicuro di sé. In ogni caso si candida a seguire le mie orme come bambino che sceglie quello che gli piace, anziché quello che piace al gruppo. Speriamo non ne soffra.
4) A quanto pare Biagio Antonacci sta alle nuove generazioni come Lucio Battisti stava alla mia. E questa non me la aspettavo.

venerdì 10 luglio 2015

Un giorno di singletudine

"Pronto?".
"Pronto mamma?".
"Ehi Ieie, come va?".
"Bene, siamo appena arrivati con i nonni. Mi passi la Lolla?".

"Pronto Ieie?".
"Ciao Lolla!".
"Ciao".
(...)
"Mmh mmh".
(...)
"Mmh mmh".
(...)
"Va bene ciao".

"Ehi Ieie che mi dici?".
"Niente, volevo solo salutare la Lolla. Va bè ciao".

Di queste 24 ore che Ieie ha trascorso a mare con i nonni, mi rimarranno molti ricordi e altrettante sensazioni. Per la Lolla ha significato poter assaporare quella vita da figlia unica che non ha mai conosciuto, beandosi di attenzioni esclusive, ma scoprendo anche com'è triste vivere in solitudine una routine normalmente binaria. Nessuno in auto con cui bisticciare, o giocare, o ridere. Cartoni selezionati senza compromessi, ma goduti in un noioso silenzio. Pasti volati via veloci e tranquilli: del resto a che serve fare i capricci perché non si vuol mangiare, se non c'è un fratello a cui sottrarre attenzioni?
Per la mamma è stato come ringiovanire di due anni in un sol giorno. Perché, diciamocelo, con un figlio è tutto più semplice. E la "messa a letto", senza l'elemento problematico della coppia, è stata solo un buonanotte-preghierina-bacino. E adesso le ho capite, quelle coppie che "no, vogliamo un figlio solo", a loro piace vincere facile.
Tuttavia quel che mi rimarrà più impresso, è stata la telefonata che Ieie ci ha fatto appena arrivato a mare. L'unica con cui ha voluto parlare è stata sua sorella. E allora me li sono immaginati tra qualche anno, quando lo studio o il lavoro li terranno lontani l'uno dall'altra. Me li son visti, con l'entusiasmo e lo splendore della giovinezza, mentre chiacchierano o si scambiano messaggi con chissà quale diavoleria del futuro. E ho pensato che per quanto il mondo vada a scatafascio e la vita sia sempre più precaria, questa cosa bella che c'è tra di loro, non gliela potrà togliere nessuno.

giovedì 2 luglio 2015

Cose che avrei voluto sapere prima di andare in Sicilia

Quando, in primavera, raccontavamo a parenti e amici che a giugno avremmo passato una settimana in provincia di Trapani, precisamente a San Vito lo Capo, la reazione è stata unanime. Un coro di "Che meraviglia!" "Posti bellissimi, ci sono stato" "Andate anche a Erice, eh!" che, insomma, ci son rimasta un po' così. A quanto pare, tutti, ma proprio tutti ci erano stati e io mi son chiesta dov'eravamo rimasti noi in questi anni in cui parenti e amici avevano visitato a frotte la punta estrema della Sicilia che, per altro, non è che sia vicinissima da noi.
Comunque, come per ogni viaggio ci siamo documentati, abbiamo raccolto consigli e comprato la guida, la solita marca alla quale ci affidiamo soddisfatti in ogni occasione turistica.
Pronti via. Partiti. Tutto a posto?
Sì bè, il viaggio è andato bene, ci siamo riposati, divertiti, abbiamo visitato posti molto belli, però, ecco, ci sono stati degli intoppi che si sarebbero potuti evitare con un po' più di preparazione. La nostra guida, stavolta, è stata un po' lacunosa, e anche parenti&amici non ci hanno fornito informazioni che forse nemmeno loro avevano (magari son stati più fortunati di noi). Per cui ci sono tre o quattro cose che, se avessi potuto, avrei fatto diversamente.

-Andate a Erice! Ce l'hanno detto praticamente tutti. Nessuno però ci aveva avvisato che il comune di Erice è diviso in due entità. La prima, quella famosa, è sul cucuzzolo di una montagna, l'altra, quella più popolosa, confina con la periferia di Trapani in un continuum senza distinzioni. Ora, quando abbiamo impostato sul navigatore Erice, la macchinetta dove poteva portarci?
Già, nel paesone di periferia, che, insomma, contrastava con le descrizioni che ci avevano fornito e per di più non era in montagna, come ben sapevamo.
Rimediato all'errore con un po' di tempo perso, abbiamo finalmente imboccato il percorso giusto in una scena quasi dantesca. Per me che non amo le strade che si affacciano sul vuoto, inerpicarmi su quei tornanti non è stato il massimo, aggiungete una strana nube bianca (fumo? nebbia?, ci siamo chiesti) che a un certo punto si è addensata davanti a noi, ed ecco che immaginavo Virgilio sbucarne per venirmi a prendere nel mezzo del cammin della mia vita.

-Andate a Erice (2)! L'altra cosa di cui nessuno ci aveva avvisato è che a Erice fa un freddo cane. Nonostante fossimo meglio coperti dei turisti in maglietta e pantaloncini che si aggiravano per il borgo cercando riparo tra foulard e teli da bagno, i dieci gradi di quel pomeriggio mi hanno fatto sognare con cupidigia l'armadio di casa dove i cappotti riposano nella naftalina. Purtroppo il vento gelido ha limitato la nostra visita, costringendoci a rifugiarci prematuramente in un ristorante.
Abbiamo poi saputo che in effetti lì le temperature sono piuttosto basse, come la nube bianca che quotidianamente vedevamo avvolgere il monte Erice ci ha confermato. Trattasi, infine, non di fumo né di nebbia, ma di nuvole vere e proprie. Perché a Erice succede anche questo. Un attimo prima stai ammirando uno splendido panorama

un attimo dopo non vedi più niente perché il vento ti ha avvolto in una nuvola. Di pioggia.

-Last call Favignana. Siamo arrivati in una delle Egadi all'ora di pranzo, probabilmente impreparati, e dopo aver fatto un giro in paese, cosa che ha richiesto circa mezz'ora, abbiamo capito che impiegare il tempo fino all'aliscafo del pomeriggio sarebbe stata dura. Non che non ci sia niente di bello a Favignana, la costa offre molto (immagino), ma quel giorno il mare non era proprio da escursione in motoscafo e il trenino che fa il giro dell'isola partiva a ridosso dell'aliscafo. Alla fine abbiamo optato per il noleggio di una jeep (anche se ho notato che le mountain bike andavano per la maggiore), ma anche così non abbiamo avuto maggior fortuna. Il problema è stato orientarsi in un dedalo di strade che da asfaltate diventavano sterrate, per finire a volte nella sabbia. I cartelli c'erano, ma dopotutto siamo pur sempre in Italia e la segnaletica ti accompagna fino a un certo punto per poi abbandonarti...

-I Faraglioni di Scopello. Sappiatelo, se volete vederli vi tocca sborsare 3.50 a cranio. Poi mi raccomando, niente foto, niente video, no sdraio, pic nic o animali al seguito. Perché questo tratto di costa appartiene a privati (oh yes, gli euro li intascano loro) che, in barba a tutte le norme sul demanio, hanno ottenuto dal Tar di chiudere l'accesso al pubblico (non pagante) a questa caletta.
Se come noi non volete sottostare al prelievo, i Faraglioni si possono tranquillamente ammirare via mare con un motoscafo. Da lì si può vedere anche la vecchia tonnara, una delle più famose della Sicilia.


-Trapani. Ecco una meta che ci ha lasciati indecisi fino alla fine. Le descrizioni di parenti&amici erano state tiepidine, ma poi non ce la siamo sentita di tralasciare il capoluogo. E abbiamo fatto bene. Il giro in centro che ci siamo concessi, per quanto rallentato da sosta giostrine e sosta gelato, ci è piaciuto molto. I palazzi barocchi baciati dai riflessi del sole, lo struscio fra strade lastricate che si aprivano ai pedoni come un salotto a cielo aperto, le gelaterie strabordanti dei colori e dei profumi locali e il mare che occhieggiava dalle strade laterali del corso, sono stati una sorpresa piacevole e, anzi, ci sarebbe piaciuto trascorrere più tempo in questa città.

Ecco, questo è quello che avrei voluto sentire prima della partenza: i bello, bellissimo, stupendo mi hanno lì per lì fatto piacere, ma non sono stati sufficienti. A questo punto potrei pensare a una collana di guide turistiche "tip&tricks", della serie "quello che avresti voluto sapere ma che nessuno ti dirà mai". Se trovo un finanziatore magari le faccio in prima persona...