venerdì 29 settembre 2017

Philip K. Dick Tutti i racconti 1955 1963

Quando ho scoperto che dai racconti di Philip K. Dick sono stati tratti alcuni film di fantascienza come Blade Runner (che mannaggia non sono ancora riuscita a vedere, ma ne ho sentito parlare così tanto che prima o poi dovrò rimediare) o Minority Report, ho deciso che valeva la pena buttarsi in questa lettura.
Non sono un'amante della fantascienza in generale, mi piacciono opere come 1984 di Orwell o Il mondo nuovo di Huxley che, più che astronavi e alieni, cercano di immaginare dove approderanno le nostre società malate, con lo scopo, magari, di darci anche una sveglia, e ho pensato che Dick facesse al caso mio.
Ho scelto il terzo volume della raccolta dei suoi racconti, quello che va dal 1955 al 1963, per il semplice fatto che è anche quello che contiene Rapporto di minoranza (per scoprire che il film da lì ha preso l'idea di fondo, per poi deviare in molti punti) e devo dire che sono stata accontentata, ma non in tutto.
Dick ha un'incredibile capacità immaginifica e una scrittura che definirei visiva, te ne accorgi dalla prima storia, Veterano di guerra, una delle più belle, che è come se ti catapultasse davanti a uno schermo cinematografico, però i suoi racconti risentono molto del clima della guerra fredda che si respirava in quegli anni.
La minaccia nucleare, i mutanti, la guerra, gli uomini costretti a vivere in colonie nel sottosuolo, lo spazio divenuto meta di conquiste, sono temi ricorrentissimi. Al punto che al quinto racconto in cui la terra è ridotta a un cumulo di cenere a causa della bomba H (il futuro immaginato è spesso il nostro passato degli anni '80) un po' ti viene da ridere, un po' pensi "Aridaje".
Ho trovato più belli e interessanti, invece, i racconti misteriosi e inquietanti come Umano è, Modello Due, Tornando a casa che ricordano lo stile de La bottega del mistero di Buzzati. O, ancora, quelli a metà tra il noir e il thriller, che sembrano una sceneggiatura pronta per Hollywood, vedi il già citato Veterano di guerra o La macchina.
Il meglio di sé, però, Dick lo dà quando riesce a cogliere e ad anticipare, con la sua vena visionaria e grottesca, i mali (questi sì) del nostro tempo.
Ecco allora che quando si interroga sulle conseguenze di un eccessivo affidamento alle macchine (Nanny, Autofac, Al servizio del padrone), della pubblicità e dei consumi indotti, Foster, sei morto, della comunicazione di massa, (lo stupendo Yancy) Dick ci costringe a fermarci a riflettere.
Se sulla guerra nucleare (almeno per ora), non ci ha visto giusto, si è dimostrato molto più lungimirante sugli aspetti psicologici e comportamentali della nostra generazione, delineando, soprattutto nelle ultime storie della raccolta, un mondo dove gli uomini hanno rinunciato a impegnarsi per la società, preferendo il comfort e la tranquillità delle mura domestiche e delegando il potere a élite dagli scopi ambigui.
Si nota soprattutto negli ultimi racconti, quelli più recenti in ordine temporale, dimostrando che nel tempo c'è stata una evoluzione del Dick-pensiero e che, quindi, col passare degli anni l'autore ha individuato nuovi spunti di riflessione.
Personalmente sono curiosa di sapere di cosa trattano, allora, i racconti redatti tra il 1964 e il 1981, raccolti nel volume successivo. Chissà che il futuro descritto da Dick non si sia già avverato.



Tutti i racconti 1955-1963, Philip K. Dick, Fanucci editore, traduzioni di Vittorio Curtoni, Maurizio Nati, Sandro Pergameno, Paolo Prezzavento, Delio Zinoni.

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venerdì 22 settembre 2017

Cipì

Cipì è un passerotto uscito da poco dall'uovo, il più vivace della nidiata di Mamì, ma anche quello che con le sue intemperanze e la sua voglia di scoprire il mondo si ricava un posto speciale nel cuore della mamma e di tutti quelli che lo conoscono.
Cipì è curioso e impavido. Affronta l'animale baffuto che forse non è così cattivo come gli hanno raccontato, cade nel buco nero della torre fumante, si specchia nel nastro d'argento che taglia la valle, assiste alla guerra dei nuvoloni e al volo delle farfalle bianche. Passano le stagioni, il piccolo mondo di Cipì muta e da paradisiaco e accogliente diventa ostile con l'arrivo dell'inverno. Cipì è cresciuto e, dopo aver capito che l'uomo può essere molto, molto cattivo, ha formato una nuova famiglia con Passerì e si dimostra ancora coraggioso, affrontando il cattivo signore della notte.
E' una favola per bambini che commuove anche gli adulti, questo libro scritto dal maestro Mario Lodi raccogliendo le impressioni e le sensazioni dei suoi alunni davanti al mutare della natura coll'alternarsi delle stagioni. Quando la Lolla, andata in libreria con la scuola, è tornata con questo libricino di cui le era stato letto il primo capitolo, ho pensato che 100 pagine erano un po' troppe per lei, e che, per quanto ne fosse stata affascinata, avrebbero dovuto consigliarle qualcosa più alla sua portata. Poi, complice il tempo disteso delle vacanze, ho pensato di leggerglielo io e sono tornata bambina con lei.
Perché Cipì è un libro scritto per i bambini, guardando al mondo con i loro occhi. Cipì è proprio come i nostri figli, ingenuo, curioso, ma col cuore pieno di buoni sentimenti e il suo approcciarsi alla vita ricorda quello di ogni bambino. Ieie e la Lolla lo hanno apprezzato molto. Ogni volta che proponevo loro di leggere un capitolo, si sedevano accanto a me con gli occhi sgranati, pronti a stupirsi insieme a Cipì. Per questo mi sento di consigliarlo a tutte le mamme e i papà che hanno voglia di passare del tempo leggendo ai propri figli, non solo si sentiranno vicini a loro, ma si ricorderanno di quando il mondo era un posto pieno di meravigliose scoperte.

Mario Lodi e i suoi ragazzi, Cipì, Einaudi Scuola

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giovedì 21 settembre 2017

Uno su mille ce la fa

Io li ammiro quei genitori pronti a sacrificare i loro fine settimana nell'erba di un campetto o sul cigolante linoleum di una palestra. Disponibili a condividere con i figli i sacrifici che l'agonismo comporta, a giustificare le ore di allenamento a scapito di altre attività. Veramente, li ammiro.
Quando invece, io, ogni volta che l'allenatore di mio figlio mi prospettava l'ennesima domenica in un palazzetto dall'aroma di sudore, alzavo gli occhi al cielo sentendomi dire "Perché, che dovete fare?".
Be', ecco. E' un giorno festivo, mio marito è, incredibilmente, libero, sono previsti 30° gradi, abbiamo il mare a due passi, insomma una combinazione di eventi più rara di un'eclissi solare, vedi un po' tu.
Ecco, questo è il mio rapporto con lo sport. Soprattutto con lo sport dei miei figli. Per carità, anch'io in giovinezza ho avuto le mie passioni, ho vissuto un anno incredibile all'insegna del campionato di pallavolo. Incredibile e stancante al punto da dover ricorrere, alla fine, a una cura di ferro che mi fece capire che l'agonismo ed io eravamo due mondi destinati a non incontrarsi.
Ma tant'è, è giusto che i bambini facciano sport, che si muovano, soprattutto che si divertano. Purtroppo quest'ultimo concetto non è tanto condiviso. Se per me l'attività sportiva dei miei figli deve essere un momento di apprendimento sì, ma specialmente di svago, la maggior parte delle scuole la pensa diversamente. Lasciamo stare che quello dello sport dei bambini è diventato un business da migliaia di euro dove la pratica in sé per sé è la parte più "economica", alla quale devi aggiungere visite mediche iperspecialistiche, divise, attrezzi, spese per saggi e dimostrazioni. Ma la verità è che ogni scuola non può chiamarsi tale se non partecipa a gare, manifestazioni sportive, tornei e chi più ne ha, più ne metta. Spesso il fine settimana. A volte la domenica mattina mooolto presto. Sempre sulle spalle di noi genitori che, tanto, cosa abbiamo di meglio da fare?
Così quando quest'anno la Lolla ha detto che non voleva più fare la ginnastica per bambini degli anni scorsi (economica, pratica, divertente), ma voleva darsi alla danza, ho avuto un momento di sconforto pensando ai soldi volatilizzati per lezioni, tutù, saggi, affitto teatri, trucco, parrucco e fioraio (non scherzo, sono discorsi che ho realmente sentito da mamme di piccole ballerine).
Dopo un giro tra scuole dove siamo state accolte da algide maestre con le pareti adorne di attestati che manco i chirurghi di Grey's anatomy, dritte come fusi e con l'approccio di una Rottermaier, dove ho appurato che "la danza è disciplina" (aspetta che forse preferisco arruolarla), che "raccogliere i capelli in uno chignon non è difficile, faremo un corso per le mamme" (risata inarcando la schiena come facesse un grand jeté), che una "coda di cavallo andrà bene finché i capelli della bambina cresceranno" (perché, ho forse detto che sarebbero cresciuti?), ho dirottato la Lolla verso una prova di ritmica, pensando che, per quanto sia anch'essa un'attività rigorosa, la maestra paziente e gentile di quel corso facesse più al caso nostro.
La bambina ne è uscita stravolta, con i capelli scarmigliati ("le mollette mi davano fastidio e me le sono tolte") e propensa a fare quello che faceva l'anno scorso, perché si cambiava spesso gioco, era divertente e aggiungo io, poteva parlare con le compagne, che per una come la Lolla, che già soffre a dover stare in silenzio per cinque ore e mezza sui banchi di scuola, è un grandissimo vantaggio.
E niente, si vede che non è ancora pronta per lo sport vero e proprio, o forse non ha ancora trovato quello che la appassiona, chissà, è ancora presto per saperlo. Quello che è certo è che per quanto ogni sport abbia le sue regole e necessiti di disciplina (per carità sono d'accordo), bisogna ricordarsi che i bambini sono bambini, che hanno bisogno soprattutto di giocare e stare in compagnia e che questo, insieme a fare del movimento, dovrebbe essere il fine della gran parte delle attività sportive a loro dirette. Perché, dopo tutto, di campioni in erba pronti al sacrificio ne vien fuori uno su mille.

venerdì 8 settembre 2017

Dieci piccoli indiani

Benvenuti a Nigger Island, ospiti del misterioso quanto munifico U.N.Owen. Dieci ospiti selezionati potranno godere del comfort della sua moderna e funzionale dimora, di panorami mozzafiato, di pace e tranquillità grazie al fatto di avere un'intera isola a loro disposizione.
Nigger Island, infatti, è disabitata, senza un porto o barche che permettano spostamenti frequenti.
Dieci piccoli indiani è uno dei più celebri romanzi di Agatha Christie, nonché un classico dei gialli definiti "della camera chiusa" anche se in realtà i dieci protagonisti non sono propriamente chiusi in una stanza, ma si ritrovano in una villa su di un isolotto deserto. Rispetto ai gialli tradizionali, e a quelli della Christie in particolare, non abbiamo una "mente" (poliziotto, investigatore, ecc.) al di fuori del caso che cerchi di riportare l'ordine e individui il colpevole. Qui tutti sono vittime e tutti sono colpevoli.
Differenti tra loro per età e professioni, nonché sconosciuti gli uni agli altri, i dieci sono infatti stati attirati in modi diversi a Nigger Island, chi per lavoro, chi per vacanza, ma scopriranno presto che si tratta di una trappola.
Qualcuno li accusa di aver provocato o di essere responsabili della morte di svariate persone e cercherà di ucciderli a uno a uno, seguendo la trama di una filastrocca per bambini Ten little niggers.
Appurato che sull'isola non c'è nessun altro, gli ospiti di Nigger Island comprendono che l'assassino, il misterioso U.N.Owen, non può che essere uno di loro e questo non fa che aumentare i sospetti e la tensione, in un crescendo che porta i superstiti, oltre che il lettore, a dubitare di tutto e di tutti.
E' un gioco (al massacro) molto ben riuscito quello messo in scena dalla Christie e chi ancora non ha avuto la fortuna di leggerlo, potrà cimentarsi in questa sciarada cercando risposte e soluzioni plausibili.
Posso dirlo: io un'intuizione l'avevo avuta, ma non è bastata a risolvere l'enigma.
Enigma che tra l'altro Agatha trascina fino alla fine lasciandoti credere, per un momento, che una risposta non c'è. Ma la risposta, anche questa volta, c'è.

Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, Oscar Monandori, trad. di Beata Della Frattina

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mercoledì 6 settembre 2017

Così parlò la Lolla

"Allora bambini vi ricordate cosa significa poodle?".
"Io sì, io sì".
"Su dillo Lolla".
Ci pensa un attimo, il dito sulle labbra "Batuffolo, anzi no il cane batuffolato!".

Per la cronaca, poodle significa barboncino. Ma il mondo, visto con gli occhi di una Lolla, ha tutto un altro colore.

lunedì 4 settembre 2017

Malinconia

Sopraffatti per due lunghi mesi da una calura densa e appiccicosa, ci chiediamo adesso che la pelle d'oca ci ha sorpresi impreparati, che fine abbia fatto tutto quel caldo.
Piombati da un giorno all'altro in questa cappa di silenzio, ci domandiamo dove siano finiti tutti quanti.
Ogni angolo del paese ci investe con ricordi estivi apparentemente lontani, ma risalenti all'altro ieri, che esplodono come coriandoli multicolore.
I saluti con i lucciconi agli occhi, mentre ci contiamo, noi superstiti.
Eppure.
Quando l'estate era in fiore, quando era ancora una promessa, guardavo il mare con sufficienza, certa che ce ne sarebbe stato ancora e ancora.
Adesso che l'estate è giusto un ricordo, ogni volta che guardo il mare un pezzo di cuore si sbriciola e devo fermarmi ad ammirarlo. Ho bisogno di fare scorta per un lungo periodo.
E' incredibile che il mare possa mancarti come una persona.