venerdì 27 settembre 2019

Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli


Iniziamo col dire che Strangolagalli esiste veramente, è un borgo di poco più di duemila anime della ciociaria che deve il suo nome alla conformazione geografica.
Teresa Papavero è una illustre abitante del paese non perché abbia fatto nulla di che, tutt'altro, ma perché il padre Giovan Battista è un famoso psichiatra specializzato in criminologia.
Teresa ci ha provato a seguire le orme paterne, studiando Psicologia e seguendo un master in criminologia, ma, come il padre aveva previsto, non è riuscita a combinare granché, racimolando lavori astrusi tra sexy shop e call center. E' per questo che, ormai quarantenne, decide di abbandonare Roma per la nativa Strangolagalli, lasciata 30 anni prima quando la madre decise misteriosamente di andar via e far perdere le sue tracce. Strangolagalli è il posto migliore dove ricominciare, magari aprendo un B&B nella vecchia casa paterna, e anche dove cercare un po' di tranquillità.
Peccato che a rovinare tutto ci si metta un appuntamento rimediato su Tinder che si conclude con il misterioso suicidio del partner della serata. Questo, e la scomparsa di una cliente del B&B, attirano a Strangolagalli un poliziotto rude e affascinante e un giornalista che Teresa conosce molto bene.
E' a quel punto che la tranquillità della protagonista, e anche quella degli insoliti personaggi che animano il borgo, va a farsi benedire ingoiandola in un bailamme di gaffe e situazioni paradossali.
Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli è un romanzo leggero e piacevole e lo stile frizzante dell'autrice contribuisce a farlo andar giù con la facilità di uno spritz al tramonto sul mare, anche se arrivata alla conclusione, ci sono rimasta un po' male perché non tutti i nodi vengono sciolti. Il motivo, ho scoperto cercando in Rete, è che il libro è il primo di una trilogia ancora tutta da sfornare, una pratica che ultimamente va molto di moda (specie con i romanzi che uniscono humor e giallo) e che però comincia a mettere a dura prova la mia pazienza di lettrice.
Il secondo aspetto che salta in evidenza è che sembra scritto e pensato per una trasposizione televisiva, cosa che però a mio avviso lo limita, innescando passaggi un po' troppo frettolosi o non dando il giusto spazio alla caratterizzazione dei personaggi che a volte sono ridotti al rango di macchiette (per non parlare del poliziotto, del quale sappiamo solo che è un macho).
Il terzo appunto, be' non è proprio un appunto, quanto la constatazione che sempre più spesso i romanzi destinati a un pubblico femminile raccontano di quarantenni sole, deluse dal lavoro e dagli affetti, che grazie a un capovolgimento totale della loro vita riescono a dare una svolta alla loro esistenza, leitmotiv anche di questo titolo.
Il giudizio finale è comunque positivo, il libro si fa leggere e permette di trascorrere qualche ora in relax e divertimento e chissà, magari presto vedremo Teresa anche sul piccolo schermo, per cui, leggendolo, possiamo già provare a dare un volto ai vari personaggi.

Teresa Papavero e la maledizione di Strangolagalli di Chiara Moscardelli, Giunti

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma


martedì 24 settembre 2019

Bilancio della prima settimana di scuola, o giù di lì, secondo una madre (1)

Se per Ieie la prima settimana di scuola media non ha evidenziato granché di rilevante, vista dagli occhi di un genitore, o meglio di una madre, pare invece una fucina di scoperte e illuminazioni.
Sarà che alla fine abbiamo dovuto cedere sul cellulare e questo ha proiettato il figlio nel mistico universo delle chat di classe, sarà che comunque è un capitolo nuovo per lui come per me, fatto sta che non passa giorno che non provi stupore o una certa indignazione che mi fa tanto sentire un po' retrò, un po' superata.
Cominciamo con il telefono. A parte l'illuminante scoperta dell'applicazione di Google che consente di controllare e all'occorrenza bloccare lo smartphone del pargolo under 13, ricordandogli che dopo una certa ora l'uso del suddetto gli è vietato, la prima settimana col telefonino è andata meglio del previsto. Ieie ha sì il vizio di andare a controllare i messaggi, ma a un certo punto se ne stufa, al punto che spesso toglie la suoneria e ciao.
Ma veniamo a quello che ho scoperto osservando Ieie e la chat della sua nuova classe.
1) I ragazzini hanno l'irritante abitudine di intasare la chat di messaggi vocali. Una normale conversazione per decidere la qualunque, si sussegue a ritmo di decine di messaggini nei quali, come in un dialogo vis à vis, ognuno si inserisce dicendo la prima cosa che gli passa per la testa, intercalari ed esclamazioni comprese. Il tutto con i sottofondi più vari, dalla Tv al ruminare cibo fino agli sproloqui materni in secondo piano. Semmai qualcuno dica qualcosa di importante da ricordare, sarà impossibile rintracciare il messaggio in quel mare magnum, sempre che lo si sia ascoltato: Ieie per primo, se il vocale è lungo va avanti senza sentirlo perché, dice, ci vuole troppo tempo.
2) Una chat di undicenni è quanto di più vicino alla torre di Babele. Ognuno si inserisce con un argomento diverso mentre il precedente non è stato ancora esaurito, creando un guazzabuglio dal quale è arduo ricavare un senso. Ci sono poi i molestatori, ovvero quelli che intasano volontariamente la chat con la stessa immagine anche per 200 volte di seguito (visto con i miei occhi), rendendo la conversazione, già frammentaria, praticamente impossibile. La sensazione che se ne ricava è quella di una classe alla mercé di se stessa, che necessita di un insegnante a riportare ordine e un minimo di filo logico. Ma certo, mi si dirà, son ragazzini. Ma era proprio quello che dicevo io quando sostenevo che il telefono a questa età fosse superfluo.
3) I ragazzi usano la chat per riempire il tempo. Non sanno che fare? Messaggiano. La sera la mamma torna tardi dal lavoro (anche questo visto con i miei occhi)? Si sta a chattare finché non arriva. Ovviamente spesso e volentieri non hanno nulla da dire, il che rende l'ascolto dei 580 messaggi che uno si ritrova sconcertato, al mattino, mortalmente noioso.
La verità è che non hanno la più pallida idea di quello a cui serve un telefono. Per questo, quando lo scorso anno uno scolaro chiamò le forze dell'ordine nel corso del dirottamento del suo scuolabus, fu oggetto di così tanti elogi. A colpire non fu il fatto di aver avuto la freddezza di fare la chiamata, quanto che avesse capito a cosa servisse veramente un cellulare.
4) Le ragazzine sono peggio dei maschi. Perché questi sono ancora ingenui bamboccioni, mentre loro già si fanno le foto in pigiama, sul letto, con la bocca a papera, chiedendo quanto sono belle (visto anche questo). Fa un po' tristezza vedere come siamo scese in basso, che poi per carità, le foto in pigiama, o mentre ballavamo, ce le facevamo anche io e le mie amiche, per ridere, ma erano foto fatte col rullino e quindi ce n'era una copia sola e non doveva assolutamente essere mostrata ad altri, che altrimenti ci saremmo sotterrate per la vergogna.
C'è da dire che i maschi, al momento più attratti dalle notizie di calcio che da immagini femminili, non paiono dare il minimo riscontro a queste foto. Resta il fatto che chi le manda costruisce un'immagine di sé, vera o falsa che sia, che le rimarrà appiccicata anche in futuro.
5) I ragazzi non sanno cosa si può o non può fotografare. L'altro giorno ho dovuto bloccare Ieie che stava per immortalare la sorella mentre, in farmacia, le facevano i buchi alle orecchie. Nulla di sconveniente, per carità, ma non c'era necessità di registrare un momento comunque personale e che, tra l'altro, non meritava di essere divulgato. 
6) Cari genitori, attenti a quello che scrivono i nostri figli, perché come niente ci fanno fare una bella figuraccia. Come la mamma che ha sbagliato a cliccare la sezione al momento di ordinare i libri si testo su Internet, notizia che la figlia ha reso di pubblico dominio sulla chat, senza malizia, ma solo per chiedere le foto dei titoli corretti. Ora però tutti sanno del pasticcio combinato dalla signora che, magari, avrebbe fatto a meno di balzare agli onori della cronaca scolastica.
7) Nelle chat della classe i ragazzi si dividono in due categorie. Quelli che scrivono in continuazione e a tutte le ore e quelli che scrivono solo se hanno qualcosa da dire o da chiedere.
E da questa dicotomia, a mio avviso, ognuno può trarre le sue conclusioni.

Bilancio della prima settimana di scuola, o giù di lì, secondo un figlio

La prima settimana di quelle che noi adulti ci ostiniamo a chiamare scuole medie (ma anche per i figli pare questa la denominazione più comoda), è scivolata via con scioltezza, a scartamento ridotto, tra orario tagliato e libri assenti, e con un'aria decisamente festaiola.
Questi i commenti che sono riuscita a carpire a Ieie:
- il prof di inglese, che a suo parere ha intorno ai 60 anni, è troppo anziano per insegnare lingue perché sicuramente si sarà scordato come si parla inglese;
- la prof di matematica, alla quale credo abbiano dato l'ingrato compito di leggere il regolamento d'istituto, mette un po' di "ansietta" con tutto quell'elenco di casi e vicissitudini che rendono passibili di perdere l'anno;
- il prof di religione è davvero simpatico;
- la prof di italiano fa mettere un'insegna col nome sul banco,, stile conduttore del Tg, perché non si ricorda i nomi di tutti;
- la prof di spagnolo, alla sua prima apparizione, ha rampognato la classe perché non avevano ancora i libri, come se dipendesse dalla loro indolenza e non dal fatto che l'elenco delle sezioni sia uscito solo una settimana prima dell'inizio delle lezioni.
A parte questo non si registrano insoddisfazioni, turbamenti o altri picchi umorali degni di nota da parte del figlio.
Da parte sua, la Lolla pare tranquillamente avviata al quarto anno di elementari senza che ci siano state novità da segnalare. Solo il primo giorno abbiamo registrato qualche malumore causato dal secolare problema dei posti a sedere, fortunatamente rientrato senza bisogno di fare alcunché.
Per ora è tutto, anche se siamo solo all'inizio...

giovedì 19 settembre 2019

Nell'angolo

Non era riuscita ad andare durante le celebrazioni per il santo patrono, qualche settimana prima, e così approfittando del fatto che lo studio del suo medico di base fosse proprio là vicino, aveva deciso di fare una capatina in duomo, un caldo pomeriggio di settembre, per recitare una preghiera.
Sul sagrato della chiesa la prima sorpresa, un uomo elegante, con indosso una specie di livrea, che le spiega che per entrare in duomo sono 3€.
"Ma io volevo solo dire una preghiera" precisa e l'uomo, sebbene a mezza bocca, la autorizza a entrare.
Dentro ha appena il tempo di farsi il segno della croce, che di nuovo un altro addetto la blocca chiedendole il pedaggio dei 3€. E di nuovo, lei spiega che è lì per recitare una preghiera.
"Allora per favore vada lì, nell'angolo", si sente rispondere.
Un po' troppo per chi aveva bisogno di spiritualità. Si rifà il segno della croce. E va via.
Piazza Duomo durante un raduno Ferrari di alcuni anni fa
Da qualche tempo per entrare nelle chiese del centro storico di Lecce, si paga. Noi ce ne siamo accorti sabato scorso, quando per vedere Santa Croce ci siamo sentiti chiedere 8€ a testa. Eravamo in cinque e tutti quanti l'avevamo già visitata più volte. Abbiamo lasciato perdere.
Per carità, mantenere e preservare il patrimonio storico-artistico costa, e contribuire è un gesto di civiltà.
Già. Però non dovremmo dimenticarci che una chiesa non è un museo né un sito archeologico. Inutile lamentarsi che gli scranni sono vuoti se quelli che dovrebbero colmarli sono trattati in questo modo.
Parafrasando Dirty dancing, nessuno può mettere un credente nell'angolo, in chiesa, perché così non si fanno scappare solo i fedeli, ma si scaccia Dio stesso dalla sua casa. E la persona alla quale è successa questa storia non meritava certo un'accoglienza di questo tipo.

venerdì 13 settembre 2019

Km 123

Al Km 123 dell'Aurelia, una notte di gennaio, l'imprenditore romano Giulio Davoli finisce fuori strada speronato da un'auto pirata.
La sua amante Ester, ignara dell'accaduto, non ricevendo risposta agli Sms che gli ha inviato decide di chiamarlo a casa con una scusa, perché vuole avvertirlo che il marito potrebbe essere a conoscenza della loro tresca.
Al Km 123 un testimone rivela alla polizia che quello di Davoli non è stato un incidente, ma un atto premeditato.
Al Km 123 c'è un cantiere di proprietà di Giulio.
Al Km 123, qualche giorno dopo, si verifica un altro incidente stradale. Stavolta mortale.
Quando pochi mesi fa Mondadori decise di riprendere la collana dei gialli affidando il primo volume ad Andrea Camilleri, lo scrittore sottolineò quanto fosse contento di poter scrivere un giallo senza Montalbano. Nessuno immaginava che Km 123 sarebbe stato la sua ultima opera.
Si tratta di un racconto più che di un romanzo vero e proprio, che attraverso articoli di giornale, Sms, telefonate, verbali di polizia e dialoghi, ricostruisce la vicenda per condurre il lettore a una finale dove emerge il colpevole, ma non i dettagli degli eventi che vengono lasciati alla fantasia o alla capacità deduttiva del lettore.
Niente a che vedere con il tessuto narrativo di Montalbano che è di certo superiore, ma la penna di Camilleri si sente e resta comunque un esperimento narrativo piacevole e interessante.
Molto più bello, a mio avviso, il saggio riportato a fine libro, ovvero un intervento di Camilleri sul genere giallo tenuto nel 2003 all'Università Roma Tre. Oltre a essere un compendio denso di informazioni sulla letteratura gialla in Italia, è un'ulteriore dimostrazione della cultura e dell'intelligenza di Camilleri, ma soprattutto della sua bravura nel saperle diffondere con uno stile in grado di tenere alta l'attenzione dell'ascoltatore. Una delle doti che più mi mancherà di questo scrittore.

Km 123 di Andrea Camilleri, Mondadori

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma