martedì 31 luglio 2018

Asimmetrie

Eppure anche loro hanno un bambino poco più piccolo della Lolla, pensi mentre, dal basso verso l'alto, osservi, quasi annusi, la loro terrazza. Che qui in mezzo non si può non notare quella casa di un bianco senza ombre e sfumature. Che non risente del connubio umidità&salmastro, la coppia più letale per le abitazioni che si affacciano sul mare del paesino (ne sanno qualcosa i bambolotti parlanti della Lolla, tutti quelli che son venuti qui in villeggiatura, ne sono ritornati irrimediabilmente afoni).
Mentre le altre son rabberciate da pezze a contrasto e vistose cicatrici si aprono sugli intonaci, quella sfida gli inverni e si ripresenta con volto liscio come il culetto di un bambino. L'intonaco non sfarina e non crolla corroso dall'umidità, l'antenna tv non si piega e non si spezza sotto i colpi dello scirocco, le luci e i ventilatori non si ossidano e non anneriscono rosicchiati dal salmastro.
E' una casa di una settantina d'anni, non antica, ma neanche nuova, sebbene una ventina d'anni fa un intenso restyling le abbia donato un look da rivista patinata. Noi lo possiamo solo intuire, immaginare, da quelle finestre aperte che lasciano intravedere scorci di divani e soppalchi di legno; da quella terrazza che ci sovrasta e che, più che una terrazza, sembra un patio di una villa caraibica, con quella tettoia di legno (bianca, ca va sans dire), quei ventilatori a soffitto che  vengono accessi con l'arrivo dei proprietari e si spengono solo a fine stagione, quei divanetti in muratura con i cuscini profilati di bianco, immacolati, tesi e sprimacciati come fossero usciti or ora dalla tappezzeria (ma perché i nostri, a pochi metri di distanza, sono un patchwork di macchie varie?). E poi bianche persiane scorrevoli, petunie sulle balaustre dei balconi, tripudi di abat jour dai larghi cappelli e lampadari che, sapientemente mixati, donano luci glamour e soffuse, mai volgari, mai accecanti. Come quella piccola, posta in cima al portone principale, ché quando lo aprono tu ti immagini meraviglie là dentro, o quella colorata, che ammicca dal finestrino sopra il portone, quello con la forma strana e la cornice di carparo.
Tu la guardi, questa casa, e ti chiedi che ci fa là, in mezzo alle altre corrose dal salmastro. Come fa, soprattutto, a resistere. La guardi, ma il tuo vero dubbio è un altro. E ti sovviene ogni volta che, alzando lo sguardo dalla tua, di terrazza, osservi il parapetto di quella che è tutto un susseguirsi di decorazioni. Vasi di vetro trasparente abitati da candele, una piccola serra, sempre di vetro, dalla funzione sconosciuta e una pianta grassa, finta, dato il verde acceso e piatto, probabilmente di ceramica o di carta pesta. E pensi al bambino che abita là, e non fai che chiedertelo, soprattutto dopo che tua madre ha rinunciato a comprare una ciotolina per mettere la citronella sul balcone.
Sì, ti chiedi qual è il segreto dei tuoi vicini. E il tarlo del dubbio ti tormenta.
Ma come avranno fatto in tutti questi anni a tenere delle fragili decorazioni sull'orlo del baratro, ché se le avessi messe tu, tempo tre secondi e i tuoi figli le avrebbero sfracellate sulla testa di qualche malcapitato passante?

venerdì 20 luglio 2018

Altri casi per il commissario Montalbano-La luna di carta

"Guarda la luna, è fatta di carta" diceva il padre a un Montalbano bambino, pronto a credere a qualsiasi parola paterna. E davanti a due bellissime donne coinvolte in un misterioso delitto, che gli raccontano ognuna la propria verità, il commissario si sente come quand'era caruso.
Come non credere all'austera Michela, che dietro abiti monacali nasconde un corpo tutt'altro che trascurabile; o all'ammaliante Elena che invece della sua bellezza non fa mistero, vestendo i panni di una cacciatrice in cerca di prede maschili. 
Al centro de La luna di carta l'omicidio di un uomo, fratello di una, amante dell'altra, dalla vita apparentemente normale, quasi monotona per la regolarità con cui s'incontrava e si prendeva cura di madre e sorella, trovato sparato nel terrazzino di casa, in una posizione alquanto ambigua.
Eppure, man mano che indaga su Angelo, la vittima, il commissario scopre particolari che non s'intonano con la vita tranquilla che sembrava conducesse. Segui  i soldi, dice un detto, e qui di soldi ce ne sono fin troppi, incompatibili con la sua professione di informatore scientifico. A ogni passo, Montalbano pare inciampare in un elemento che cambia l'immagine della vittima: strane telefonate minatorie, aborti clandestini, amicizie altolocate e pericolose. Angelo di nome, ma non di fatto quindi.
E mentre Augello è impantanato in un caso di droga tagliata male, che miete vittime illustri delle quali non si può svelare la causa della morte e Catarella perde il sonno e il senno davanti alla "guardia di passo" di un indecifrabile pc, al commissario non resta che ascoltare, con cautela, le sue testimoni. Michela, convinta della colpevolezza dell'odiata amante, ed Elena che ha un alibi di ferro e tutto sommato non prova troppo dolore per la fine di un amato che era pronta a lasciare.
Consapevole che ognuna gli sta raccontando la mezza messa, Montalbano arriverà alla soluzione. Forse. Perché sul più bello quello che sembrava plausibile assume contorni nuovi e noi, come il commissario, resteremo con un dubbio...

Altri casi per il commissario Montalbano-La luna di carta di Andrea Camilleri, Sellerio

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

lunedì 16 luglio 2018

Serbarìu

La storia mi è sempre piaciuta. Anche quella con la s minuscola che non trova spazio sui libri, ma solo nei ricordi delle nonne. La mia, per esempio, mentre seduta sulle sue ginocchia le domandavo della guerra e del paesino, diceva che "andavo in brodo di giuggiole" davanti ai suoi racconti.
Sarà per questo che una delle esperienze più belle della Sardegna, senza nulla togliere al mare e alle bellezze naturali, è stata scoprire il suo passato legato alle attività estrattive.
Personalmente quel poco che sapevo sulle miniere della Sardegna era che erano ormai chiuse. Non immaginavo, però, che questo passato neanche tanto remoto, avesse lasciato un'eredità architettonica suggestiva e inquietante allo stesso tempo.
Attraversando la subregione del Sulcis-Inglesiente può capitare di incontrare alcuni villaggi abbandonati costruiti oltre un secolo fa in prossimità delle miniere, per ospitare i minatori e le loro famiglie.

Andando verso Piscinas, Ingurtosu si presenta così: le croci del Golgota accanto alla chiesa e una cascata che attira l'attenzione dei passanti
Si tratta di paesini sorti nel mezzo del nulla, come Ingurtosu-Naracauli, vicino Arbus, adagiato nella valle che si attraversa per raggiungere Piscinas, e che per questo dovevano essere autosufficienti, con le loro case, la chiesa dedicata a Santa Barbara, l'ospedale, la scuola e l'onnipresente palazzo della direzione, il più bello e fastoso di tutti, poiché ospitava la borghesia a capo di quel micromondo.
Il palazzo della direzione di Ingurtosu
La chiesa di Santa Barbara vista dal palazzo della direzione
Disabitati dalla chiusura degli impianti, sembrano oggi dei villaggi fantasma, con quegli enormi mausolei diroccati che si stagliano sul fianco delle colline, le laverie e gli impianti di estrazione, e le case che si sgretolano come carcasse in disfacimento.
La laveria Brassey a Naracauli

La sensazione che si prova attraversando Ingurtosu è quella di essere catapultati in un villaggio da film western, solo che qui non c'è cartapesta o facciate finte, è tutto vero e il silenzio e la solitudine rendono lo scenario incredibile.
Le case di Ingurtosu. Qualcuna, ristrutturata, sembra ancora abitata
Lì dove un tempo uomini  e donne soffrivano, gioivano, si innamoravano, dove famiglie intrecciavano le loro vite come in un qualsiasi paesino italiano, adesso non c'è più nulla.

Al giallo delle colline di Ingurtosu si contrappone il rosso di Monteponi, vicino Carbonia, dove si estraeva il ferro. Anche qui, guardando in su dalla statale, il colpo d'occhio è suggestivo.
Il sito di Monteponi
Montevecchio è una delle poche miniere dove è possibile fare visite guidate, ma ahimé, il giorno in cui eravamo in zona era chiusa per una manifestazione. Il desiderio di conoscere di più questo mondo era però troppo forte e con l'aiuto di Google abbiamo trovato un'alternativa che ci è piaciuta moltissimo.
E' così che siamo arrivati a Serbarìu, vicino Carbonia che, a differenza delle miniere sopra citate, in mano ai privati, apparteneva allo Stato e non produceva metalli ma carbone.

Elmetto in testa, siamo scesi nelle viscere della terra a visitare le gallerie, perdendoci in un dedalo di cunicoli mentre la nostra guida ci spiegava come si lavorava a tanti metri di profondità. Si tratta, come è facile immaginare, di un mestiere duro: i cunicoli dove i minatori scavavano erano alti circa 80 cm e quindi bisognava procedere chinati "come topi", mentre il fumo nero del carbone estratto a secco otturava pelle e polmoni.
Al contrario di quel che si può pensare, gli incidenti mortali a Serbarìu non furono molti, tanto che in 26 anni le vittime furono "solo" 128. In questi numeri, però, non si contano tutti coloro che di carbone si ammalarono e morirono, perché all'epoca non si conoscevano i danni che questo lavoro arrecava alla salute.
Eppure Serbarìu ha rappresentato una meta ambita per molti uomini che, dalla Sardegna e dal resto d'Italia, arrivarono qui con la speranza di trovare un lavoro e anche una casa nella vicina Carbonia, costruita proprio nel 1938 per ospitare i minatori.
Gli anni di splendore, se così si può dire, furono quelli intorno alla Seconda guerra mondiale, quando il regime di autarchia e la maggiore richiesta di carbone portarono la miniera a lavorare anche di notte. Poi il lento declino, fino alla chiusura avvenuta nel 1964, quando ormai le importazioni dall'estero rendevano il carbone made in Italy poco conveniente.

A completare la visita il padiglione della lampisteria dove è possibile approfondire le conoscenze sul carbone, sulle attrezzature usate negli anni dai minatori e sulle condizioni di vita e di lavoro di questi ultimi. Oltre alle docce, al pannello con le piastrine di riconoscimento e all'abbigliamento da lavoro, il museo espone lettere, filmati, fotografie e oggetti di uso quotidiano che aiutano a comprendere e ricostruire la vita di questi uomini che erano, prima di tutto, persone.
A chi capita in zona un giro a Serbarìu o in un altro sito è straconsigliato. Su Internet si possono trovare i nomi dei vari villaggi e miniere, anche se mi è parso di capire che la gran parte sono chiusi e non offrono escursioni guidate.
Anche passare in auto attraverso uno di questi paesini abbandonati, comunque, è un'esperienza da fare. Perché la storia, dopo tutto, la fanno gli uomini, e per conoscere la storia della Sardegna è indispensabile conoscere la storia di chi vi abita.
Edifici minerari a Piscinas, oggi trasformati in un resort. Sotto, una lapide vicino al pozzo Gal di Ingurtosu



venerdì 13 luglio 2018

Leggiamolo insieme-Harry Potter e la pietra filosofale

Cosa si può dire di un libro che in moltissimi hanno letto e sul quale si è scritto, commentato, rappresentato di tutto e di più?
Cosa si può raccontare di nuovo dell'orfano cresciuto in una famiglia di Babbani, che allo scoccare degli undici anni scopre di essere il ragazzo che è sopravvissuto a Colui che non deve essere nominato (che, no, non è l'Innominato di manzoniana memoria), e che, in quanto mago, è destinato a frequentare la prestigiosa scuola di magia e stregoneria di Hogwarts dove stringerà amicizie inossidabili e vivrà la prima di una serie di meravigliose, e pericolose, avventure?
E' veramente difficile aggiungere qualcosa di nuovo ai fiumi di parole riversati su Harry Potter e la pietra filosofale che proprio nel 2018 festeggia i venti anni dalla prima edizione italiana, ma il motivo per cui l'ho ripreso tra le mani è che stavolta l'ho letto assieme a Ieie e alla Lolla e non è stato un percorso semplice.
Abbiamo iniziato a gennaio e, dopo luuuunghe interruzioni dovute anche ai molteplici impegni e alla fatica della routine scolastica, giugno ci ha dato il tempo e la carica per la volata finale, incentivata dalla promessa della visione dell'agognato primo film.
Se, quindi, il percorso non è stato facile, soprattutto per la Lolla che non sono certa abbia assimilato tutti i passaggi del romanzo (infatti dopo aver visto il film mi ha chiesto come mai l'episodio del Troll non ci fosse nel libro), il successo finale è stato strepitoso.
In due giorni il film è stato replicato per tre volte; ho visto i miei figli divertirsi col cugino a chi interpretava Silente, chi Harry, chi Hermione; ogni gioco ormai contiene qualche personaggio o qualche elemento del mondo magico di Harry, per non parlare del fatto che Harry Potter è anche un ottimo argomento di conversazione con i coetanei i quali, se anche non hanno letto il libro, quanto meno conoscono la versione cinematografica.
Tutto merito del film, quindi? No, la lettura ha preparato il terreno e credo che senza di essa anche il film ne avrebbe risentito. Mio figlio che vede sullo schermo un ragazzetto con un rospo e sussurra incantato "Neville" non ha prezzo. Perché con il film il libro ha preso vita davanti ai loro occhi, perché erano ansiosi di sapere come sarebbero stati un drago o un centauro "dal vivo", perché il libro ha sempre un qualcosa di più e "Uffa, mamma, ma io speravo che nel film mostrassero anche l'altra partita di Quidditch!".
Se, quindi, sette anni è forse un po' presto per affrontare questa lettura (anche se fatta con un genitore, come nel nostro caso), a nove non ci sono controindicazioni, tant'è che Ieie ha già acciuffato il filo conduttore del libro, facendomi domande che troveranno risposta solo nei prossimi volumi (e alle quali, come Silente, non ho voluto rispondere).
Acclarato l'entusiasmo dei pargoli, per quel che mi riguarda posso dire che riprendere Harry Potter e la pietra filosofale mi ha fatto riscoprire particolari che avevo dimenticato (questo, infatti, è l'unico romanzo della serie che non avevo mai riletto per intero, ma solo a spizzichi e bocconi) e mi ha rigettato in quel mondo magico, in quell'atmosfera da college che un po' mi ricorda gli anni più intensi e più amati del mio percorso scolastico, che sono poi il motivo principale per cui, un certo numero di anni or sono, decisi, superata l'iniziale diffidenza, di gettarmi in questa fantastica lettura.
Venuta meno la suspence per la soluzione dei misteri, le avventure di Harry non smettono di suscitare entusiasmo e di commuovere, segno che, venti anni o no, il maghetto tocca corde senza tempo.
Per cui, che dire? Fatelo leggere ai vostri figli o leggetelo assieme se non l'avete già fatto. E se pure non avete bambini, concedetevi il piacere di entrare nel mondo magico della Rowling.
Sono sicura che non resterete delusi.

Harry Potter e la pietra filosofale di J.K. Rowling, Salani, traduzione di Marina Astrologo

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

venerdì 6 luglio 2018

Altri casi per il commissario Montalbano - Il giro di boa, La pazienza del ragno

L'età avanza. Per tutti. Anche per Salvo Montalbano che, complice una profonda delusione dovuta agli ultimi avvenimenti politici, pensa di rassegnare le dimissioni. Un cadavere che galleggia nel mare di Marinella e un bambino che il commissario crede di aver salvato e del quale, invece, diventa incolpevole esecutore, lo riportano con alacrità alle sue indagini, rinviando a data da destinarsi il problema delle dimissioni.
Ma gli anni che si fanno sentire sono il fil rouge che unisce Il giro di boa e La pazienza del ragno, due dei romanzi di Altri casi per il commissario Montalbano raccolta che, come la precedente, ha il vantaggio di unire tre romanzi in un'edizione più economica, ma sempre ben curata, e che sono intimamente collegati tra loro non solo perché il secondo inizia là dove finiva il primo (fatto finora senza precedenti nella saga del commissario di Vigata), ma anche perché il tema della vecchiaia si ripropone a più riprese.
Il nostro Salvo comincia a manifestare i primi acciacchi, ma l'onestà e il desiderio di giustizia che da sempre dimorano nel suo cuore, sono ancora i suoi tratti caratterizzanti e lo porteranno a seguire le due piste con la solita tenacia, a dispetto dei suoi problemi di salute.
E se ne Il giro di boa il commissario agisce nell'ombra, per vendicare un picciliddro per il quale non riesce a darsi pace, ne La pazienza del ragno Montalbano, alle prese con la scomparsa di una ragazza, dovrà fare i conti tra ciò che è giusto per la legge e ciò che lo è, invece, per la sua coscienza.
Si tratta, a suo modo, di un romanzo diverso dagli altri. Non c'è un fatto di sangue a scatenare le indagini e, per la prima volta, la soluzione è facilmente intuibile (almeno, io stavolta sono riuscita a venirne a capo prima del commissario). Ciò, tuttavia, non toglie mordente al libro, che il lettore divorerà per trovare prove a sostegno della sua tesi e questo è un'ulteriore dimostrazione della bravura di Camilleri che, pur riproponendo bene o male gli stessi personaggi (che si muovono tra l'altro in un paese della Sicilia, non nel melting pot di una metropoli), riesce a trovare ogni volta nuovi spunti per accendere l'interesse del lettore.
Le avventure del commissario sono sempre diverse, come diversi sono gli aspetti dei personaggi di Vigata, delle relazioni che intercorrono tra loro, che l'autore ci svela poco alla volta in ogni libro. Conosceremo ciò che Montalbano pensa dell'inaffidabile Catarella, avremo elementi in più per comprendere il rapporto con Livia, scopriremo un nuovo personaggio del commissariato il cui ufficio pare essere una cornucopia.
Chapeau, quindi, alla maestria di Camilleri. Siamo pronti per la prossima avventura, certi che il commissario, per ora, non andrà in pensione.

Altri casi per il commissario Montalbano, Andrea Camilleri, Sellerio

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

Anima sarda

Ogni volta che dicevamo che saremmo andati in Sardegna ci sentivamo rispondere "Ah, bellissima", al punto che ci eravamo convinti fossimo gli unici a non esserci mai stati.
E così, dopo mesi di preparativi, letture e raccolta informazioni, siamo partiti per l'isola sconosciuta, desiderosi di vedere, e conoscere, il più possibile, partendo dalla Costa Smeralda e scendendo da Alghero fino a Cagliari.
Abbiamo scelto il mese di giugno perché più economico e meno affollato, il mare, ci avevano avvisato, era gelido, ma questo non ci ha comunque impedito di immergerci negli azzurri cristallini delle spettacolari acque sarde che ci hanno ritemprato dal cocente sole mattutino (essendo le serate decisamente più fresche).
Siamo partiti per la Sardegna a mente sgombra e tornati con un fardello di esperienze, colori, profumi e una conoscenza più approfondita di questo territorio, prima fatta solo di luoghi comuni.
Alcuni di questi hanno trovato conferma, altri sono stati smentiti.
Cominciamo dai sardi che, per il volgo, hanno un carattere particolare. "Sai, è sardo" mi disse un collega il primo giorno di lavoro presentandomi, inter nos, il nostro capo. Voleva spiegarmi, prima che me ne rendessi conto da sola, che era di facile arrabbiatura.
In Sardegna, però, ho trovato tante persone gentili, disponibili a darti informazioni (e non solo perché faceva parte del loro lavoro) e a chiacchierare amabilmente della loro terra. Contrariamente alle aspettative, ho trovato un territorio aperto e ben disposto al turismo, un turismo diverso da quello al quale sono abituata e che mi ha colpito in maniera positiva.
Sapevamo che ci saremmo trovati in bassa stagione, e del resto anche da noi in Salento giugno equivale a bassa stagione, ma spiagge così belle e quasi deserte a nostra disposizione da noi non se ne trovano neanche a maggio. E' vero, la conformazione della Sardegna, piena di piccole penisole che si allungano formando, da una parte e dall'altra, deliziose insenature, moltiplica le spiaggette, ma questo non basta a spiegare il fenomeno.
La Sardegna è, per certi versi, più cara. Mangiare fuori costa decisamente di più rispetto alle nostre parti e gli alloggi sul litorale, anche prenotando con largo anticipo, sono intoccabili. Abbiamo ripiegato, almeno per quel che riguarda la Costa Smeralda, sull'interno, per poi approfittare della macchina per gli spostamenti, per capire che, sì, il turismo qui è forse più selettivo rispetto alle nostre parti (meno gente, ma disposta a spendere di più), ma per certi versi più accogliente.
Ancora non mi sono ripresa dallo shock di aver parcheggiato vicino al centro di Porto Cervo in un'area di sosta gratuita. E' vero, il traghetto che ci aveva catapultato a Olbia alle 6 del mattino ci ha permesso di giocare d'anticipo, ma io ero straconvinta che ci fosse un errore e che, come minimo, avremmo trovato una multa da Billionaire. Dopo qualche giorno ho poi  capito che in tutti i comuni sardi, accanto ai parcheggi centrali a pagamento (ma proprio accanto, mica a sei chilometri e mezzo come da noi), esistono sempre quelli gratuiti. E anche le spiagge libere sono infinite, pulite, belle, molto diverse dalle nostre che sono minuscole e relegate negli angoli più brutti e meschini, lerce e puzzone che non ci porteresti neanche il cane a fare i bisogni.
"Sì - ci ha spiegato un amico che vive lì da un po' di anni - loro ne fanno un punto di orgoglio del fatto di offrire certi servizi gratis". Però, ha aggiunto, sono restii a calare sui prezzi, anche quando ciò permetterebbe di aumentare i clienti. E alcuni sardi che sono venuti in vacanza da noi, ci hanno raccontato di essere rimasti colpiti dalla macchina turistica pugliese.
Sarà che l'erba del vicino è sempre più verde...però io del turismo della Sardegna ho proprio apprezzato il fatto di non aver svenduto la propria anima.
Quelle bandiere con i quattro mori che ondeggiano dalle case, quell'accento forte, pronunciato con orgoglio, quelle battigie immacolate dove il mare rovescia ciottoli levigati, meravigliose conchiglie e le alghe che da piccola chiamavo "cocchi", quella macchia mediterranea che cresce rigogliosa nelle valli e sulle dune di sabbia (spettacolari quelle di Piscinas), mi hanno fatto riflettere su come noi, invece, pur di fare cassa ci siamo venduti tutto, anche la sedia a dondolo usata dalla nonna nelle sere d'estate.
Alghero
Potrei dire di non aver mai visto un mare azzurro come quello della Sardegna, ma non è vero, io l'ho visto e un déjà-vu avuto mentre nuotavo me l'ha riportato alla mente. Mi sono ricordata delle conchiglie raccolte nella spiaggia sotto casa del paesino, della ninna nanna che le onde cantavano ogni sera nella mia camera da letto, della spiaggia brulla e solitaria dove il mare riversava tesori da raccogliere e custodire, di acque che ancora oggi mi sembrano limpide, ma che in passato lo erano di più.
Abbiamo avuto anche noi la nostra Piscinas, la nostra Costa Smeralda.
Le dune di Piscinas, alte come colline. Una bellezza che toglie il fiato
Non le abbiamo più.
Le abbiamo svendute fino all'ultimo granello di sabbia, in cambio di un turismo sfrenato, di un cemento che ha fagocitato la costa, di barconi che percorrono il litorale ininterrottamente, dalla mattina fino alla notte.
Quell'anima sarda diventata slogan di una birra locale, esiste davvero, l'ho vista.
Loro l'hanno preservata e ne vanno, giustamente, orgogliosi
Ancora Piscinas
Nel sud della Sardegna i fenicotteri sono di casa: li abbiamo visti praticamente in ogni dove. Questi sono a Quartu Sant'Elena
Alghero, spiaggia Maria Pia. I cubetti di ghiaccio che devono aver sciolto nell'acqua, le conferiscono questi splendidi riflessi
L'alba a Porto Rotondo, tra viali ordinatissimi e solitari su cui si scorgono ville esclusive che si affacciano con discrezione sulla costa
Dentro il porto di Porto Cervo. Incredibilmente anche qui l'acqua è limpida
Una delle tante insenature di Caprera. Poi capisci perché Garibaldi se l'era comprata