giovedì 25 febbraio 2016

Poirot e il mistero di Styles Court

Leggo libri da una vita, la mia, eppure se mi guardo indietro a rimirare il "già fatto" non c'è soddisfazione, ma solo un senso di piccolezza. Le sacche di ignoranza in materia letteraria mi sembrano sempre più profonde, per esempio non avevo mai letto Agatha Christie, forse intravisto qualche film tratto dai suoi romanzi, ma niente di più e questo mi bruciava.
Così ho deciso di rimediare e, assecondando l'anima furiesca che è in me,  ho fatto le cose per bene e sono partita dalle origini, da quel Poirot e il mistero di Styles Court che nel 1920, non solo lanciò una giovanissima signora in giallo, ma vide per la prima volta l'apparizione di quel buffo investigatore belga che è Hercule Poirot, l'ometto dalla testa a uovo, brillante nelle sue deduzioni quanto impeccabile nell'aspetto.
I romanzi gialli, come tutti quelli di genere, sono considerati la serie B della letteratura. In effetti, chi cerca in questo racconto descrizioni sublimi che rapiscano l'immaginazione o pensieri così profondi da incidersi nell'animo, ha decisamente sbagliato libro. Ma se si è alla ricerca di un giallo ben congegnato, capace di appassionare e trascinare il lettore impaziente fino all'ultima pagina, allora non resterà deluso.
Non appena Emily Inglethorp, una facoltosa nobildonna dell'Essex, muore nella sua camera da letto in preda a lancinanti dolori causati dalla stricnina, siamo tutti Poirot a caccia di indizi e analizziamo ogni familiare di Lady Inglethorp con la lente del sospetto. Tanto più che c'è anche un misterioso testamento bruciato, che potrebbe dare molte risposte sul movente e l'identità dell'assassino.
Poirot non tralascia nessun particolare e ce li presenta tutti, così che anche noi potremmo arrivare alla soluzione del mistero. Peccato che per riuscirci dovremmo avere il suo acume, o quanto meno la capacità della Christie nel costruire un meccanismo perfetto, dove le false piste si intrecciano con il reale svolgimento dei fatti. Gli indizi, utili e non, si affastellano infatti a ritmo serrato e non è facile ricordarli tutti e incatenarli nella giusta sequenza. Non resta quindi che seguire Poirot tra un lampo d'intuizione e un'esclamazione di giubilo, per scoprire che, sì, ogni tassello troverà incredibilmente la sua posizione e arrivare con lui alla fine di un gioco divertente e appassionante. Che sono poi le qualità fondamentali di un buon giallo.

Poirot e il mistero di Style Court, Agatha Christie, Newton Compton Editori

martedì 23 febbraio 2016

Pindaro, chi era costui?

Stamane, a pranzo.
"Però, papà, io ho capito tutto del matrimonio".
...
"Allora tu e la mamma vi siete sposati, poi siete andati a casa e vi siete baciati in bocca e siamo nati noi. Ieie per primo.
Poi siamo andati in crociera e quando non dormivate abbiamo detto: - Cristoforo Colombo! -.
Ma è una parolaccia?".

Non so chi abbia coniato il termine voli pindarici, però se avesse conosciuto la Lolla, avrebbe trovato un altro nome. In confronto a lei, Pindaro era un dilettante.

mercoledì 17 febbraio 2016

Bella di papà

"A me non l'aveva mica detto del bacio!".
"Perché io sono il padre, capisci?! Sapeva che a me non lo poteva dire!".
"Questo comporta che in lei c'è già malizia".
"Sa che certe cose non vanno bene".
"E secondo me non è vero che era sulla guancia".
"Non ci posso credere, l'innocenza perduta".

Quest'oggi, uscendo da scuola, la Lolla, che in tre anni di materna ha già collezionato due fidanzatini (col primo si sono lasciati da amici e sono in ottimi rapporti), ha confidato al padre che l'attuale boyfriend le aveva chiesto il permesso di darle un bacino sulla guancia. Alla domanda preoccupata del genitore ha risposto di non aver accettato, ma a me ha confidato un'altra versione e il bacino, pare, c'è stato.
Quando me l'ha raccontato, ho sorriso. Quando l'ha raccontato alla nonna materna, quest'ultima ha commentato "Va be' il bacino sulla guancia si può dare".
Quella di sopra è invece la reazione (compostissima) del padre.

lunedì 15 febbraio 2016

Speriamo bene

"Lo sai che anche Giorgia conosce PomFu Panda?".
PomFu Panda, l'orso che combatte contro la pelle comedonica e seborroica.
"Mi viene da gomitare".
Quando si dice che un malessere prende tutto il corpo.
Al parco giochi: "Mamma, voglio andare sulla balena".
No, nessun animale è stato torturato per il divertimento dei bambini, anche da noi ci sono banali giostre oscillanti.
Cantando: "Con il tuo amore, si può sperare, di avere un po' di Parariso, quaggiù".
E va be' che è un posto di gioia...
"Lo sai che i ladri sono entrati a casa della maestra di prigione?".
I rischi del mestiere.
"Poi la strega di Biancaneve è caduta nel burro".
Si sa, è scivoloso.
"Quarantaquaccro gatti in fila per sei col resto di due, marciarono contatti"
"No tesoro, compatti"
"Combatti, in fila per sei".
"No COM-PAT-TI con la P"
"Confatti, in fila per sei col resto di due!".

Lolla, quattro anni, dieci mesi, tre settimane e una manciata di giorni, è stata iscritta come anticipataria alla scuola primaria per l'anno scolastico 2016/17.
Speriamo bene.

mercoledì 10 febbraio 2016

Come cuccioli

Hanno giocato con i videogiochi, il tablet, l'ipad, il nintendo e non so quale altra diavoleria, perché oggi ogni bambino col moccio al naso ha più strumenti elettronici che denti in bocca.
Poi è stata la volta dei cerchi e del bersaglio, riesumati da un vecchio armadio. Quindi hanno fatto a botte, per gioco, hanno sospeso per la merenda e hanno ripreso a combattere. Hanno scoperto "Luna Park", gioco da tavola anni '80 della sottoscritta.
Si sono rincorsi, si sono menati, hanno lanciato oggetti in aria senza danni permanenti a cose o persone, in un festoso concerto per risate e urla. Perché i maschi son così, hanno bisogno di giochi fisici. E di sfrenarsi.
Infine si sono accasciati sul divano a vedere i cartoni, arrampicandosi sulle sorelle che impedivano loro di stare seduti vicini. E mentre sullo schermo si alternavano cani e pompieri, sono scivolati lentamente sul tappeto, accasciati l'uno sull'altro, come due cuccioli stanchi.
Sarà che il sangue non è acqua, o che similis cum similibus facillime congregantur, ma questo cuginetto coetaneo, distante per sei anni e arrivato da pochi mesi sotto lo stesso cielo di Ieie, è stato per lui come scoprire di avere un fratello gemello con tanti lati in comune ma senza le gelosie della fratellanza. E vederli giocare fa tornare cucciola anche me.

P.S.
"Ma tu e la mia mamma andavate a scuola assieme?". Ho provato un tuffo al cuore a questa domanda della sorella grande del cuginetto, alias la cugina. Perché, nonostante la risposta se la sia data da sola ("Ah già, siete cugine"), fa male sapere che i bimbi di una persona con cui hai passato i tuoi sabato sul corso, con cui hai viaggiato, condiviso confidenze, amici, pasti e tante cazzate, di te sanno poco e niente. Mentre io della loro mamma conosco tutto l'ante, quello che c'è stato prima di diventare madre.
E' incredibile come la lontananza possa, se non uccidere quello che c'è stato, quantomeno nuocere gravemente alla giusta prosecuzione.
Bè, adesso speriamo di recuperare.

sabato 6 febbraio 2016

Una tenera Masha

Le avevo spiegato che non conosceva nessuno. Che era una festa per bambini delle elementari e suo fratello probabilmente avrebbe giocato col cugino e non l'avrebbe considerata. Le avevo suggerito di andare a danza, come ogni giovedì, dove avrebbe incontrato la sua amichetta.
"Mi voglio mettere il costume da Masha" era stata la risposta, anche quando, come ultimo tentativo, le avevo annunciato che una volta lì, biglietto in mano, non sarebbe stato possibile tornare indietro e non avrei accontentato i suoi, già sperimentati, "Mamma andiamocene". Anzi, forse non avrei potuto nemmeno fermarmi lì con loro.
Poi però non ce l'ho fatta a lasciarla. A vederla così piccola, il suo profilo delicato che sbucava sotto il foulard fucsia, gli occhioni grandi da Masha che si guardavano intorno con aria smarrita, mi si è stretto il cuore per la tenerezza.
Cercava di non farsi travolgere da quel via vai frenetico di bambini più grandi, ogni tanto si portava le mani alla bocca e gironzolava nella stanza da sola a piccoli cerchi, incerta sul da farsi. In quel momento stava di certo pensando ai miei avvertimenti e, consapevole di aver fatto una promessa, rimaneva lì nonostante tutto. Quando i bambini hanno iniziato il gioco del tiro alla fune e per lei non era rimasto neanche un posticino, mi si è avvicinata, forse per chiedermi qualcosa, ma uno degli organizzatori, domandandole gentilmente se si stesse annoiando, l'ha presa per mano e ricondotta ai giochi.
Com'è, come non è, a un certo punto l'ho vista per mano alla cugina più grande e così è rimasta fino al momento della merenda. La cugina che si faceva i dispetti con un compagno di scuola e la Lolla al seguito che rideva di quel suo sorriso che le illumina il volto; la cugina che chiacchierava con le amiche e la Lolla, piccina, nel cerchio, con due occhi colmi di spasso.
E' stata contenta, alla fine. E anche brava. Ed è da allora che me la consumo di baci perché è giusto riprenderli quando sbagliano, ma ancora più giusto è far capire che si è fieri di loro.
Perché io lo so, che da quando è iniziata questa storia dell'iscrizione alle elementari, la Lolla sta facendo di tutto per dimostrare che non è troppo piccola per andare in prima con i suoi compagni di materna.
Ai miei rimbrotti che è ancora infantile, poco autonoma e bisognosa di giocare, rimbrotti che esteriormente non sembrano averla toccata, ma che devono averla incisa nel profondo, ha risposto cercando di vestirsi da sola, enunciandomi ogni minimo progresso nella conoscenza di lettere e numeri e mostrando quello che sa fare anziché preoccuparsi di quello che ancora non va. 
E allora basta, io non le dirò più nulla, né cercherò di convincerla a rimandare il grande passo. La guarderò crescere e la elogerò per ogni passo avanti. E le darò fiducia. Perché in fondo la sta chiedendo, e se la merita.


Le bostoniane

Si può scegliere un libro solo per la città in cui è ambientato? A me è successo. Da quando ho saputo della sua esistenza, ho rincorso Le bostoniane di Henry James sugli store on line in attesa della ristampa finché non l'ho avuto tra le mani. 
Boston. Louisburg square
Volevo riassaporare l'atmosfera inglese della capitale del Massachusettes, rivedere le eleganti geometrie delle brownstones con quei bovindo e gli infissi in legno bianco, piccole bomboniere pompose dal sapore domestico e raffinato insieme.
Boston, l'incrocio tra Mount Vernon e Charles street
Da questo punto di vista non sono stata delusa. Ci ho trovato Charles street, la Back bay, Cambridge, ma per il resto ho avuto non poche difficoltà a finire il libro. E non solo per i caratteri piccoli e a volte sfocati, ma anche per una scrittura che, a dispetto di altri James letti con piacere, stavolta ho trovato ostica, antica, da rileggere più e più volte prima di afferrarne il senso.
In più non sono riuscita ad appassionarmi alla storia di Olive Chancellor, altera (nonché nervosa) femminista che nella sua attività di liberazione della donna incontra, per caso, la bella e giovane Verena Tarrant, dotata di un talento innato per l'oratoria. Olive decide subito di farne la sua pupilla, la ospita a casa, la istruisce a dovere affinché insieme si battano, di più, dedichino la loro intera esistenza alla "causa". E questa splendida amicizia potrebbe, forse, dare i frutti sperati, se anche l'odiato cugino di Olive, Basil Ransom, non rimanesse fulminato da Verena al punto da impegnarsi a rompere il sodalizio tra le due giovani per portarsi a casa la bella oratrice, nata, a suo dire, per fare la moglie e niente più.
Ora, rimane un mistero come dovrebbe realizzarsi questa liberazione femminile a cui le ragazze aspirano per tutto il romanzo. La signora Banks, che in Mary Poppins andava con le suffragette a tirare uova a Downing street, risultava molto più credibile delle due protagoniste, tutte intente a studiare e tenere dibattiti.
Risulta un mistero, anche, perché Ransom si invaghisca di Verena che è sì bella, ma della quale non condivide nemmeno un'idea e, ancor di più, risulta un mistero perché Verena ricambi l'amore di un uomo definito affascinante, ma per niente brillante e in aggiunta senza prospettive. Un uomo che, tra l'altro, della liberazione della donna se la ride, e di gusto.
Lo stesso James, bisogna dirlo, ironizza sull'attività di Verena e Olive e fa del sarcasmo su tutti i personaggi.  
Difficile, così, affezionarsi ai protagonisti della storia, condividerne la sorte o appassionarsi alle loro vicende. Basil, che ritiene l'esistenza "non troppo allettante...data la natura delle cose", e peer il quale il modo migliore d'impiegarla è conquistare una donna; l'incantevole, chiassosa, appariscente Verena di una schiettezza priva di finzioni e ingenuamente entusiasta e Olive che resta il personaggio più ambiguo. Questa donna inquieta, tutta dedita alla "redenzione della donna" alla possibilità "di far qualcosa per il genere umano", si mostra poi insofferente verso la maggior parte delle persone, donne, ma soprattutto uomini: "E in verità, il suo sentimento dominante era una sorta di gelido disprezzo; li riteneva per lo più un mazzo di individui equivoci e prepotenti". Si tinge di tinte misteriose anche il suo rapporto, la sua predilezione per Verena che, a suo dire, ha un unico difetto, non essere ostile agli uomini come categoria, aspetto che porta la giovane oratrice a un comportamento deprecabile a detta di Olive, ovvero dar ascolto anche a "qualcun altro oltreché ad Olive Chancellor".
E sebbene Olive rappresenti la vera eroina tragica del romanzo, nemmeno nel triste finale riesce a risultare simpatica, neppure quando, con un inaspettato flashsorward conclusivo, James ci lascia un po' interdetti mostrando che, in fondo, lei aveva proprio ragione.


Le bostoniane, Henry James, BUR Rizzoli

lunedì 1 febbraio 2016

Neve

Avevamo esultato quando, col primo vero freddo invernale, la neve era caduta copiosa. Avevamo consultato le webcam con cadenza quotidiana mentre, più o meno con la stessa frequenza, avevamo fatto visita alla Decathlon (santa subito per aver reso l'abbigliamento da montagna alla portata delle tasche meno fornite) provando e riprovando tenute a prova di freddo. Tutti, tranne la sottoscritta, equipaggiata con capi vintage anni '90 risalenti all'ultima settimana bianca fine settimana bianco della sua vita.
Cos'altro ci mancava? Avevamo prenotato proprio per i giorni della merla: la neve era assicurata.
Certo. Peccato che sabato giù da noi i termometri delle auto lasciate al sole segnassero 30° e che quest'anticipo di primavera avesse sciolto tutto lo scioglibile. Per fortuna siamo turisti di poche pretese e quando la neve non la vedi da una vita, o non l'hai mai vista, di sciare non te ne importa poi tanto: una scivolata con lo slittino e una battaglia a colpi di palle bastano per farti felice.
E' così che, nel fine settimana appena trascorso, siamo tornati sul Pollino con l'obiettivo di far vedere ai bambini quella neve finora conosciuta solo attraverso le magie di Elsa. Temevamo di tornarcene con le pive nel sacco, invece, proprio in quel piano Ruggio che a settembre riluceva di un verde fosforescente, abbiamo trovato una valle incantata dove, come per una magia di Frozen, si era conservato un mantello candido e intoccato.


Abbiamo anche montato le catene alla macchina (alla faccia di chi ci diceva che occorreva portarle solo per non farsi fare la multa, tanto non sarebbero servite), operazione tutt'altro che semplice per noi gente di pianura. Per fortuna che sulla strada si sono fermate altre auto intente alla stessa opera e, come spesso succede in questi momenti di comune difficoltà, ci si è dati una mano gli uni con gli altri. Prima un signore ci ha mostrato come fare, poi noi abbiamo aiutato i suoi amici che, senza catene, erano slittati sul ghiaccio.
Ma solo una volta ritrovatici al rifugio a mangiare panini, tra un "tie" e un pasticciotto, abbiamo capito di essere conterranei. E a quanto pare dovevamo esserci riforniti tutti allo stesso scaffale della Decathlon, che appena si trovava un guanto a terra non si sapeva di chi fosse, perché indossavamo tutti lo stesso modello.
Per il resto la mattinata è volata. Mentirei se dicessi che i più contenti sono stati i bambini: anche noi adulti eravamo entusiasti. Ci siamo rotolati, abbiamo zompato affondando nel bianco fino ai polpacci, scivolato sui pendii e tirato palle di neve senza vergogna. E ovviamente fatto un pupazzo "grande come Olaf", ha tenuto a specificare la Lolla.
Non abbiamo capito quanto tempo è trascorso: a noi sono sembrati pochi minuti, ma a un certo punto eravamo madidi e con le gote fucsia. E inaspettatamente affamati. Così abbiamo fatto rotta per il rifugio. E' stato allora che una sensazione dimenticata ha fatto capolino.
Quando, dopo aver camminato sulla neve, ritorni a percorrere il terreno normale e ti senti molleggiata, un po' come quando scendi dai tappeti elastici. Erano più di vent'anni che non mi capitava di provare una sensazione simile, ma appena successo mi è sembrata familiare. Allora forse andare sulla neve è come andare in bicicletta: non si dimentica mai.