sabato 27 maggio 2017

40

Ti guardi allo specchio e te lo chiedi, se siano troppi. Perché quel numero pesa, ma dentro tu ti senti ancora giovane, a dispetto di quella ruga che ti si disegna al lato della bocca, e di quel segno che, sei sicura prima non c'era, si nasconde traditore sotto il mento.
Insomma, la tua adolescenza è proprio dietro l'angolo. Poi guardi il Tg e senti che Nek celebra i 25 anni di carriera e ti chiedi "Na, com'è possibile sia passato così tanto tempo, che me lo ricordo quando ha iniziato". E fai i conti. E tornano. Tu avevi quindici anni e adesso sono 40.
E allora ripensi alla giovinezza, a quei ricordi che tenevi catalogati con la precisione di un archivio e ti rendi conto che iniziano a mischiarsi come carte nel mazzo. Perché forse 40 cominciano a essere tanti, soprattutto quando tuo figlio, che è pervicacemente preciso, a ogni accenno al tuo passato ti chiede, quando, quanto tempo fa?
E poi fai i conti con tanti altri aspetti che, no, non tornano.
Perché a 40 anni cominci a fare un bilancio di quel che volevi e di quel che hai avuto.
Perché a 40 anni ti rendi conto che il tempo a venire potrebbe essere meno di quello già goduto.
Perché a 40 anni pensavi che saresti stata una donna sicura di sé e senza paure, ma forse adesso che sei matura, di paure ne hai più di quando guardavi spavalda al tuo futuro.
40 anni, sono troppi o no? Ancora non so dirlo, e sono al giorno due.
Poi penso ai miei bambini che ieri erano così eccitati come se fosse la loro festa. A Ieie, che gli altri anni mi portava il regalo nascosto in casa dai nonni, e questa volta no perché era arrivato in anticipo, e si crucciava di non avermi dato niente "E che festa è se non c'è un regalo?", o alla Lolla che mi ha chiesto cosa volessi per il mio compleanno e alla mia richiesta di un viaggio a New York ha risposto "Ma io non ho i soldini...però te lo posso disegnare!".
Guardo loro due e capisco che, al di là di quello che riserva il futuro, il mio futuro, il mio ponte verso il domani, sono loro. E allora non so se 40 sono troppi, però sono felice di poter rivivere la mia giovinezza grazie a loro.

lunedì 22 maggio 2017

Senza di lei

Quello dei pasti è, per me, uno dei momenti più temuti della giornata. Cerco sempre di mangiare prima dei bambini, con buona pace del concetto di pranzo in famiglia, poiché altrimenti, essendo spesso l'unica adulta della tavola, mi tocca interrompermi e alzarmi in continuazione a ogni "Mi dai un po' d'acqua?" "Ho finito il primo, che c'è di secondo?" "Mi tagli la carne?" "Mi sbucci la frutta?" "Ho versato l'acqua" "Mi sono sporcato di sugo", e no, non incentivo l'autonomia dei miei figli perché preferisco fare io piuttosto che dover pulire i disastri combinati.
Ma tutto questo, in fondo, è il minimo. Il motivo per cui mangio prima è che durante i loro pasti devo fare il vigile. Interdire inopportune quanto continue alzate da tavola (con annessi dispetti), dirimere litigi su chi è più veloce, più bravo, più tutto, mitigare sfottò, battute, insulti di ogni tipo che i due, ai capi opposti del tavolo, si lanciano come strali e, infine, moderare anche la chiacchiera continua che rallenta no, anzi, blocca il pasto come un cantiere in tangenziale. Nel mentre che faccio tutto questo, penso, mi chiedo e spero, che cali dall'alto una soluzione che renda il momento del pasto meno caotico e stressante.

Qualche giorno fa la Lolla è andata a mangiare da una compagna. Fin qui tutto normale, se non che Ieie quel giorno è tornato a casa muto e solingo. Abbiamo mangiato insieme e, devo ammetterlo, la situazione è stata strana. In cucina regnava un silenzio surreale, quasi angosciante, al quale non ero più abituata. Vedendo mio figlio un po' triste ho cercato di ravvivare la conversazione (sì, proprio io!) chiedendogli ragguagli sulla sua giornata e cercando spunti che innescassero la sua chiacchiera che, certo, non è irrefrenabile come quella della Lolla, ma che di solito fornisce valido supporto alla linguacciuta sorella. Ma niente, la conversazione ha ristagnato e alla fine ho lasciato perdere, intristita anch'io da quell'assurdo silenzio.
Poi la Lolla è tornata, e cinque minuti dopo si inseguivano per casa urlando e menandosi come bestie liberate dalle gabbie. Ieie, che mi aveva confidato di essere un po' geloso perché lei era stata invitata da un'amica e lui no, sembrava aver dimenticato tutto e recuperato il consueto brio post scolastico.

Ora, non arriverò a dire che il caos del pranzo mi è mancato (questo mai!), però, ecco, da figlia unica, mi trovo spesso a invidiare i miei figli. Perché hanno quello che io ho desiderato inutilmente per una vita e perché quando li vedo insieme, anche se spesso non fanno altro che litigare, sono contenta di sapere che per loro essere in due è scontato e normale e non sapranno cosa vuol dire essere l'unica bambina in una famiglia di adulti.

venerdì 5 maggio 2017

Niente e così sia

Non si viene al mondo per morire a vent'anni alla guerra.

E' un libro di filosofia Niente e così sia, il diario sulla guerra che Oriana Fallaci scrisse durante la sua esperienza in Vietnam a cavallo tra il 1967 e il 1968. E' un libro di filosofia perché, nel tentativo di rispondere alla domanda che l'aveva portata al fronte (perché gli uomini facciano una cosa così stupida come la guerra, perché si uccidano e a cosa pensino quando sono lì), partendo da Saigon e spostandosi tra foreste di palme, piantagioni di caffé, colline e trincee del Vietnam del Sud, la Fallaci scopre verità immutabili e incontrovertibili sulla condizione umana.

Sono qui per spiegare quanto è ipocrita il mondo quando si esalta per un chirurgo che sostituisce un cuore; e poi accetta che migliaia di creature tutte giovani, col cuore a posto, vadano a morire come vacche al macello per la bandiera.

Il conflitto del Vietnam fu un tritacarne nel vero senso della parola, l'abbiamo imparato da una filmografia impressionante e, dopo aver visto il Cacciatore, pensavo che non si potessero aggiungere altri tasselli di atrocità a questa vicenda. Invece il libro della Fallaci conferma e amplifica tutto questo, la guerra viene vista proprio da dentro la trincea, da sotto un cielo da cui piovono bombe, in mezzo ai soldati e, in questa apoteosi del male, riusciamo a capire come i fatti, dal di dentro, assumano contorni e colori diversi. Guardiamo l'Uomo e riflettiamo con Oriana sull'assurdità del male, sulla storia che non aiuta ad evitare errori uguali ai precedenti.

La morte, sa, ha un valore relativo. Quando è poca, conta. Quando è molta, non conta più.

L'orrore della Shoa era proprio dietro l'angolo, ancora indelebile, eppure gli uomini sembravano aver già dimenticato.
Nel suo libro, forse un po' lungo, perché 400 pagine di guerra son dure da mandar giù, Oriana ascoltò tutte le voci, generali e umili soldati, americani, vietcong, nordvietnamiti e sudvietnamiti spettatori del conflitto, per fornire al lettore, e a se stessa, un quadro completo. Impressionante è come emerga, da ambo le parti, la paura e la stanchezza dei poveri soldati, mandati a morire senza un perché da uomini più potenti e grandi di loro che, però, stanno al sicuro, e a morire ci mandano gli altri.
A fare da sfondo alla bruttezza creata dall'uomo, un Paese che appare invece di una bellezza fiabesca, con i suoi fiumi, le foreste e le colline di un verde esotico e per noi sconosciuto, martoriati da un martellare di fuoco, bombe, bengala e da una quantità di armi che nemmeno immaginavamo esistessero. Proprio sulle armi, sul piccolo proiettile dell'M16, c'è una delle riflessioni più belle della Fallaci, e solo per questa bisognerebbe leggere il libro. Per chiederci, tutti, quanto siamo innocenti. Per imparare qualcosa sul concetto di responsabilità.
In conclusione la Fallaci risponde alle domande che l'avevano portata al fronte e, soprattutto, alla domanda postale dalla sorellina prima della partenza, che è l'anima del libro "La vita cos'è?". La risposta Oriana ce la dà sul finale quando, tornata dal Vietnam e in missione in Messico, rischiò la vita durante una manifestazione studentesca. Io ovviamente non la anticipo, vale la pena andare al fronte con Oriana per capire la vita cos'è.

P.S.
Ho poi scoperto che anni dopo Oriana Fallaci tornò in Vietnam, non tra le truppe americane, ma tra quelle nordvietnamite, per vedere la guerra dal fronte opposto. Gli articoli frutto di quell'esperienza sono ora raccolti nel volume Saigon e così sia

Niente e così sia, di Oriana Fallaci, Best Bur

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

martedì 2 maggio 2017

1° maggio

"Mamma lo sai quale casa mi piace di più tra la nostra, quella dei nonni e quella dei nonni al paesino?".
"No Lolla, quale?".
"Quella al paesino. E sai perché?".
"Perché?".
"Perché è vicina al mare. E perché possiamo uscire sempre. Solo quando piove restiamo a casa, ma per poco".
Caro paesino, cara casa, cosa avrete di così speciale non si sa, ma se anche la mia nonna materna, milanese, dopo la fame e la paura della guerra, approdò in questo posto dimenticato dagli uomini e le sembrò il Paradiso, un motivo per cui di generazione in generazione ci fate innamorare ci sarà.
Ancora oggi, nonostante gli uomini abbiano impiegato camion di cemento per nascondere quest'angolo di Paradiso creato da Dio in terra, c'è qualcosa di magico in questo paese lontanissimo da tutto, chiuso tra la scogliera e il mare più blu. Qualcosa che ti entra nel cuore e ti rapisce per sempre.
Ieri, a distanza di mesi, siamo tornati al paesino approfittando della prima bella giornata di sole regalataci da maggio dopo il freddo aprile. Poche novità, nemmeno piacevoli, ma la sensazione di pace e benessere è stata impagabile. Ho guardato con desiderio la cara terrazza, la Lolla ha chiesto dove fosse il dondolo, e mi sono immaginata lì, immersa in qualche buon libro, il mare davanti e il sole sopra di noi.
Andando via il venticello di scirocco mi ha persino solleticato con il profumo del mare, quel mix di alghe fresche e salsedine che d'estate è così difficile percepire, forse perché ci sono troppe narici bramose per l'aria.
E' stato bello, direi riconciliante.
E adesso dobbiamo solo aspettare l'estate.