venerdì 20 novembre 2020

Per cause innaturali

Con Per cause innaturali, la Seconda trilogia Dalgliesh si alza di livello, sia di spessore narrativo che di ambientazione.
Il romanzo si apre con una barca alla deriva contenente un cadavere dalle mani mutilate (sì proprio lui, l'incipit da brivido). Ci troviamo nel Suffolk, nel villaggio di Monksmere o meglio tra le case sparse sulla scogliera, lambite dalla salsedine e schiaffeggiate dal vento, che ospitano scrittori di diversa fama e ancor più diversa competenza.
A riunirli, una sera di ottobre, è la scomparsa di Maurice Seton, giallista di cui da un paio di giorni nessuno dei vicini ha più notizie. E' proprio il suo cadavere che la corrente porta alla deriva su una barchetta, uno scenario che ricorda in modo sinistro l'incipit dell'ultimo romanzo che stava scrivendo.
Adam Dalgliesh stavolta potrebbe, e vorrebbe, come dire, lavarsene le mani. In fondo lui si trova a Monksmere in vacanza ospite dalla zia, e poi l'ispettore Reckless ha già assunto la direzione delle indagini, ma il problema è che l'unica persona a non avere un alibi per la sera della scomparsa di Seton è proprio sua zia. Urge quindi darsi da fare e cercare di capire come mai un uomo che, secondo l'autopsia, è morto per cause naturali, sia stato amputato delle mani e deposto in una barca lasciata alla deriva. Per di più lontano dal posto in cui si trovava l'ultima sera in cui è stato visto in vita.
Sembra quasi di sentire ululare il vento sul promontorio di Monksmere, di provare il fastidio per l'umidità che si posa tra i sentieri di ciottoli che conducono alla spiaggia, di riempirsi le narici dell'odore delle alghe sbattute dalla corrente mentre Dalgliesh va di villa in villa a ricostruire le ultime ore di Maurice Seton. La scenografia costruita da P.D. James è affascinante, ammantata dal quieto buio delle notti autunnali tra vecchi cottage in riva al mare. Gli indizi sono disseminati un po' ovunque, ma, come sentieri secondari di un labirinto, non tutti conducono all'uscita, bensì a vicoli ciechi.
Dalgliesh riuscirà a trovare il bandolo della matassa e a seguirlo fino alla fine di una terribile notte di tempesta in riva al mare. Lui già consapevole di chi si nasconda dietro a una morte che si è fatta passare per naturale, noi un po' meno. Spiazzati da una soluzione credibile e ben congegnata, ma inaspettata.

Per cause innaturali-La seconda trilogia Dalgliesh di P.D. James, Oscar Mondadori, traduzione di Anna Solinas

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

lunedì 16 novembre 2020

Sono come i politici

 Quando torna a casa dalla scuola, la Lolla è un fiume in piena con i suoi racconti su tutto, tutto, quello che è accaduto nelle ore passate in classe. Ci sono stati momenti in cui trovavo questa valanga di informazioni difficilmente digeribile, non ora, che ogni singolo giorno di scuola è un regalo, e sentire le chiacchiere allegre di mia figlia mi dà la consapevolezza che lei sta bene.
Qualche giorno fa, a pranzo.
"Mamma oggi sono venuti due delle scuole medie che si candidano come rappresentanti degli studenti. Quest'anno siamo in quinta e possiamo votare anche noi e sono venuti a presentarci il programma".
"Ah sì, e che cosa hanno detto?".
"Lui ha detto che vuole fare delle cose tipo che ognuno porta piatti del suo Paese e si assaggiano e si mangiano tutti insieme. Poi anche delle cose per fare compagnia alle persone anziane e ascoltare i loro racconti. Lei invece ha detto che vuole aumentare la durata della ricreazione e poi vuole che a scuola si festeggino le feste. Tipo quando è Halloween bisogna addobbare la scuola e festeggiare".
"Sono tutte cose molto belle amore, ma in questo momento del Covid mi sembrano difficili da realizzare".
"Sì, lo sanno, ma hanno detto che troveranno un modo".
Interviene Ieie che fino a quel momento si è limitato a spazzolare con la consueta, meticolosa foga, tutto ciò che ha nel piatto.
"Sì Lolla, è successo anche quando andavo io in quinta. Io ho votato A. che aveva promesso di fare in modo che la scuola desse un tablet a ogni alunno. Però poi quando è stata eletta non abbiamo avuto nessun tablet".
"Va be', io comunque voterò per la femmina".
"Sì, sì, decidi tu chi votare. Ma tanto non cambierà nulla. I rappresentanti degli studenti sono come i politici, promettono, promettono, poi quando vengono eletti mangiano, ingrassano e non fanno un bel niente".

Io ci ho messo un certo numero di anni prima di arrivare a una completa sfiducia nei confronti della classe politica. Ci sono voluti il miraggio di Tangentopoli e la consapevolezza gattopardiana che tutto cambia affinché nulla cambi. Da questo punto di vista, devo dire che i politici di oggi sono stati molto più performanti dei loro predecessori: sono già riusciti a disilludere chi ancora non ha neppure l'età per votare.

venerdì 13 novembre 2020

Copritele il volto

 
Qualche anno fa, la maestra di Ieie, per affrontare il tema del racconto giallo, diede alla classe l'incipit di una romanzo chiedendo ai ragazzi di scrivere un'ipotetica continuazione: in una barca portata a riva dalla corrente si scopre un cadavere dalle mani mozzate, uno scrittore di cui da qualche giorno si erano perse le tracce.
Al di là delle performance come giallista di Ieie, quel che mi premette sin da subito fu sapere come continuasse il racconto. Scoprii che l'incipit apparteneva a un certo P.D. James, che P.D. non era un uomo, bensì una prolifica giallista inglese il cui personaggio di punta, l'ispettore Adam Dalgliesh, era per altro protagonista del romanzo e da lì a procurarmi il libro il gioco era fatto.
La seconda trilogia Dalgliesh, a dispetto del titolo comincia con il romanzo con cui il brillante ispettore di Scotland Yard fa il suo debutto, Copritele il volto, che non è quello del famigerato incipit, ma ci vede proiettati nella ridente campagna inglese, precisamente nella tenuta di Martingale, antica dimora in stile elisabettiano con tanto di maneggio e parco.
Qui vive la signora Maxie con i suoi due figli, Deborah e Stephen, sempre circondati da una fedele schiera di amici e poi la servitù, tra cui spicca la bella Sally, giovane ragazza madre accolta dalla famiglia come cameriera e che parrebbe proprio una gran brava persona se non fosse che, nel bel mezzo della festa parrocchiale di Martingale, annuncia urbi et orbi di aver accettato di sposare Stephen. Povera Sally, non sa che quella sarà la sua ultima festa. Nella notte qualcuno la metterà a tacere per sempre e i sospetti ricadranno, ovviamente, sui Maxie e i loro ospiti.
E' a questo punto che fa l'ingresso il nostro investigatore. Di lui non ci viene detto quasi nulla e il lettore si confronta sin da subito con il suo modo d'indagare fatto soprattutto di interrogatori ed elucubrazioni. Si intuisce che Dalgliesh ha una pista, ma da dove arrivi e come la segua non è dato sapere. Al lettore non resta che affidarsi ai pochi elementi che l'autrice mette a disposizione, mentre i personaggi del racconto continuano le loro vite lasciando nel dubbio delle loro reali intenzioni.
Dalgliesh acquisisce elementi e particolari (ma rimane il mistero di come arrivi a certe intuizioni), il lettore capisce che l'assassino ha le ore contate e il finale vede, come nel più classico degli epiloghi, l'investigatore riunire tutti i sospetti in una stanza per smascherare il colpevole.
Più della rivelazione dell'assassino a sorprendere sarà la scoperta che verità e realtà non sempre coincidono.
Ho pensato molto prima di elaborare un giudizio su questo libro. Copritele il volto è molto diverso dai gialli a cui sono abituata. La tensione è sempre minima, quasi controllata, e l'idea che Dalgliesh abbia capito tutto sin dall'inizio certo non aiuta. Sembra che sappia già cosa e dove cercare, sebbene il lettore si senta sempre un po' all'oscuro dei suoi ragionamenti. Il finale è inaspettato, ma manca di quella forza dei coupe de théâtre alla Agatha Christie. Mancano, forse, personaggi ai quali affezionarsi, a cominciare dalla vittima che non suscita per nulla empatia.
Io comunque non demordo. La seconda indagine di Dalgliesh potrebbe essere quella buona. Ci sono una barca e un cadavere, le premesse sono allettanti.

La seconda trilogia Dalgliesh-Copritele il volto, di P.D. James, Oscar Mondadori, traduzione di Marco Buzzi

Questo post partecipa al Venerdì del libro di HomeMadeMamma

giovedì 12 novembre 2020

La torre di Babele

 Sono passati almeno venti giorni da quando la Campania ha decretato la chiusura di tutte le scuole e la diffusione dei contagi di Covid nella Regione, a quanto mi pare di capire, non ne ha minimamente beneficiato. Eppure la misura è ancora in vigore, anzi nel tempo è stata anche inasprita estendendosi alle materne. I bambini continuano ad essere tra le categorie più penalizzate. Loro, gli anziani e le persone immunodepresse o con altre malattie, ai quali si consiglia vivamente di rimanere in casa mentre i giovani e gli adulti, i veri untori, continuano ad ammassarsi nello struscio del week end, in feste clandestine o aperitivi da "strada", insofferenti, e indifferenti, alle regole. A loro, tutto sommato, tutto è consentito.
Sembra proprio che il coronavirus abbia mostrato tutta la fragilità delle nostre società, pronte a mettere da parte i più deboli, i bambini e gli anziani, per lasciare campo libero alle categorie che producono e spendono, quelle che fanno girare l'economia, in buona sostanza, e che quindi, nelle nostre società malate di profitto, hanno un superiore diritto di cittadinanza.
Guardate cosa siamo diventati, noi che abbiamo dimenticato il nostro passato e  il nostro futuro, proprio come quelle civiltà che nei secoli si sono condannate all'estinzione. Tutto sommato la pandemia ci ha mostrato il nostro riflesso, è stata la nostra nemesi, la torre di Babele di una società che credeva di essere invincibile e invece è crollata come un castello di carte.
L'individualismo occidentale è stato, tra le altre, una delle cause della nostra incapacità a contenere la pandemia. Nei Paesi asiatici, dove si è più propensi al sacrificio per il bene comune, c'è stato un maggiore rispetto delle regole che ha consentito di limitare la diffusione del virus, ma da noi, che ci crediamo superuomini, l'idea di indossare la mascherina per tutelare prima di tutto gli altri appare quasi ridicola (qui e qui due letture interessanti). E così anche le mamme che invocano la chiusura delle scuole, perché "è come quando c'era la guerra", concedono ai figli di organizzare festicciole di Halloween clandestine perché "poveri bambini, neanche Halloween possono festeggiare". Chiedetelo ai vostri nonni se, ai tempi della guerra, avrebbero trovato normale violare il coprifuoco per un veglione di Carnevale.
E qui torniamo alla scuola. Perché è evidente e lampante che, per educare i cittadini del domani al rispetto delle regole, la scuola ha un ruolo fondamentale. Facciamo tornare i bambini a scuola per insegnare loro a diventare cittadini rispettosi e consapevoli dei loro diritti e doveri. Per spiegare che uno Stato non è solo il Pil e i Dpcm, ma un insieme di principi comuni, di valori condivisi e che si avanti tutti insieme e non da soli. Facciamo tornare i bambini a scuola, perché imparino dagli errori del passato. Facciamo tornare i bambini a scuola, perché sono proprio quelli delle fasce socio culturali più basse a rischiare di rimanere ai margini del sistema, economico, culturale e sanitario.
Facciamo tornare i nostri ragazzi a scuola perché l'istruzione è un'arma potente contro ogni piaga, anche contro la malattia.

martedì 10 novembre 2020

Déjà vu

Ogni anno, con l'arrivo dell'influenza, la scarsità di posti letto della Asl Lecce si traduce in ambulanze del 118 in attesa fuori dagli ospedali per poter liberare le barelle. Se poi a questo aggiungiamo le Tac che si rompono a catena costringendo il personale a dirottare i pazienti nelle poche strutture dove ce n'è una funzionante, si può capire come basti davvero poco a mandare un sistema già fragile in tilt.
Adesso immaginate cosa può succedere se, invece dell'influenza, arriva un virus molto più contagioso. Uniteci che oltre ai propri pazienti bisogna accogliere anche quelli delle province vicine, ormai sature, una macchina per i tamponi rapidi (l'unica della provincia) rotta e la necessità di sottoporre a tampone ogni paziente prima dell'accesso ospedaliero, per giunta con un macchinario che richiede tempi più lunghi, e avrete servito il caos di questi giorni. Ambulanze che stazionano anche quattro ore fuori dagli ospedali prima di ripartire, personale che smonta alle due di notte anziché alle venti (alcuni per altro sono volontari con un misero rimborso spese), pazienti la cui positività viene accertata con molti giorni di ritardo, rendendo ormai vano il tracciamento di contatti che sono andati in giro ignari di avere il virus.
Il mio non è un sentito dire, ma il racconto di persone che lavorano da anni nella nostra sanità e che, per anni, hanno lamentato un peggioramento continuo del sistema. Quello che si sta consumando sotto i nostri occhi è il tracollo definitivo (e annunciato) sotto i colpi del coronavirus.
La prima ondata ci aveva solo sfiorato e adesso fa effetto sentire nomi di persone conosciute tra quelle ricoverate. Fa effetto sapere che ci sono amici in quarantena. Non è più solo il racconto delle immagini televisive, è la paura che si insinua in ogni incontro, in ogni gesto residuo e vitale che ci concediamo per non annullarci del tutto.
Ormai non è più questione di capire se si farà o meno un lockdown, che tanto ormai la risposta la conosciamo già, la domanda vera da porsi è: e poi, dopo, come abbiamo intenzione di gestire i risultati?
Chiudere adesso per, diciamo, due mesi, vorrebbe dire riaprire in pieno inverno, con l'influenza a spalleggiare il coronavirus. Il rischio, viste le nostre capacità organizzative, è di dover richiudere nel tempo di un ba. E certo non si può pensare di mandare avanti quel che resta del Paese in un balletto di aperture e chiusure.
Cancellare gli errori non si può, ma forse un po' di onestà non guasterebbe, chiedere scusa e ammettere che si è sbagliato potrebbe essere un punto di partenza. Non risolve il problema, ma forse attenua la rabbia.
Perché ci avevano detto che eravamo pronti alla seconda ondata. E non era vero.
Ci avevano detto che la seconda ondata non sarebbe stata come la prima. Senza aggiungere che sarebbe stata peggiore.
Ma tranquilli, l'Italia è un modello da seguire. Sì per precipitarsi nel burrone.
E poi non ci sarà un nuovo lockdown, non ce lo possiamo permettere. Noi non ce lo possiamo permettere, a voi tanto non cambia nulla.
E comunque a dicembre ci inonderanno di vaccini. Il che, dato l'esito delle precedenti promesse, è altamente sconfortante.
Abbiamo pagato fior di esperti, messo su decine di comitati che hanno sproloquiato senza freni. Per trovarci con gli stessi, cadenti, sistemi sanitari regionali buoni a malapena a reggere una normale influenza.
Vien da pensare che di questa pandemia non si è capito un bel niente. Oppure che la verità è che non esiste soluzione al problema.
In entrambi i casi non c'è da stare tranquilli.

martedì 3 novembre 2020

Detenuti in attesa di giudizio

Cinque mesi e siamo di nuovo così. Punto e a capo e si ricomincia con l'altalena, col cuore che salta in gola a ogni sigla di Tg e la perenne spada di Damocle sulla testa: ti chiudo, non ti chiudo, per quanto ti chiudo.
Mi chiedo quanto si possa vivere in queste condizioni, con regole che cambiano più velocemente del colore delle foglie in autunno.
Mi sento come un imputato in attesa di giudizio: so che mi condanneranno, ma non so quando e per quanto tempo. Di più. Il condannato, emesso il verdetto, ha la certezza sulla data di scarcerazione. Nemmeno questa consolazione ci lasciano, perché ormai ho imparato a non credere più a niente e una volta che ci chiuderanno in casa rimarremo con l'angoscioso dubbio di quanto durerà la reclusione.
E alle saracinesche chiuse ormai da mesi se ne aggiungeranno altre, in una desolazione post bellica.
Già alcuni commercianti annunciano che in caso di nuova chiusura non  riapriranno, chi può pensa di mettersi in nero, lavorando a casa. "E non sanno cosa succederà quando toglieranno il blocco ai licenziamenti" minacciava l'altro giorno la mia parrucchiera che, per altro, è da quando ha riaperto che non ha più la lavorante nel suo negozio. Si prospetta un bagno di sangue sulla pelle dei meno tutelati, mentre gli intoccabili chiedono la chiusura a gran voce dalla postazione di lavoro sul loro divano. Paradossalmente chi non ha nulla da perdere è anche chi non teme o vuole la chiusura e magari si lamenta pure di quelle poche ore che deve trascorrere in ufficio, senza pensare a chi un lavoro farebbe di tutto pur di averlo.
C'è tanta rabbia. Rabbia per quello che si doveva fare e non è stato fatto, perché era più importante spingere l'acceleratore sul turismo o occuparsi della nuova legge elettorale.
Rabbia perché son mesi che ci trattano come bambini a cui si fanno (false) promesse per tenerli buoni. 
Rabbia perché persone che hanno rispettato le regole, sono costrette a pagare l'incompetenza di chi ci amministra e l'egoismo di chi proprio non riesce a fare a meno di un veglione a tema Halloween, seppur clandestino.
Ogni volta che infrangiamo le regole una persona perde il lavoro. Dovremmo tenerlo a mente.
Così come, a pandemia finita, tutti saremo chiamati a pagare i debiti. Anche gli intoccabili.