Ci sono libri che divori con passione, e quando li hai finiti quasi ci rimani male perché non ti faranno più compagnia e allora puoi solo sfogliarli di nuovo alla ricerca delle emozioni vissute.
Ce ne sono altri che sono come l'idea di una scalata a piedi, sotto la tormenta, mentre sei lì alle pendici che guardi il monte: pensi che non ce la farai mai, a ogni passo misuri il percorso e, giunto alla fine, quando si chiude davanti ai tuoi occhi la quarta di copertina, non sei soddisfatto o felice, ma solo incredulo, e non vedi l'ora di passare ad altro.
A me è successo dopo due mesi dedicati a Rayuela, Il gioco del mondo. E dire che la descrizione della persona che me l'aveva consigliato mi aveva intrigato non poco. Il libro si legge in due modi. Il primo prevede un percorso lineare, capitolo per capitolo, il secondo avviene secondo uno schema fissato dell'autore.
Ce ne sono altri che sono come l'idea di una scalata a piedi, sotto la tormenta, mentre sei lì alle pendici che guardi il monte: pensi che non ce la farai mai, a ogni passo misuri il percorso e, giunto alla fine, quando si chiude davanti ai tuoi occhi la quarta di copertina, non sei soddisfatto o felice, ma solo incredulo, e non vedi l'ora di passare ad altro.
A me è successo dopo due mesi dedicati a Rayuela, Il gioco del mondo. E dire che la descrizione della persona che me l'aveva consigliato mi aveva intrigato non poco. Il libro si legge in due modi. Il primo prevede un percorso lineare, capitolo per capitolo, il secondo avviene secondo uno schema fissato dell'autore.
Chissà perché, ma io avevo immaginato che ci fossero due storie. In realtà la vicenda è sempre la stessa, ovvero la storia del quarentenne argentino Horacio Oliveira che a Parigi vive una vita vagabonda, senza meta e senza lavoro. Le sue giornate trascorrono tra incontri con amici artisti o pseudo tali, fumate, bevute, riflessioni a gò-gò e in compagnia di Lucia, soprannominata la Maga, giovane uruguayana molto meno intelligente e brillante di lui. Infatti Horacio si premura di ricordarle, e di ricordarsi, che non la ama e, a un certo punto, quando lei è costretta a prendere in casa con loro il figlio avuto da una precedente relazione, decide anche di lasciarla, perché è evidente che la loro storia è finita e che lei ama un altro (tesi di Horacio). In realtà sarà la Maga, in seguito a una serie di vicende, ad uscire di scena, lasciando Horacio solo e incerto sul da farsi. Deciderà infine di far rotta verso Buenos Aires dove scombinerà la vita all'amico Traveler. Seguiranno un lavoro al circo, in un manicomio e altri nonsense, intervallati da visioni della Maga che Horacio crederà di riconoscere in altre donne.
Detto così potrà sembrare avere una sua logica, ma io veramente ho fatto molta fatica a comprendere il senso del libro. E se alla seconda lettura l'inserimento di nuovi capitoli almeno chiarisce alcune situazioni che all'inizio sono solo abbozzate, la sensazione è comunque quella di trovarsi su una trottola che gira o in un labirinto senza uscita, disorientati da riflessioni simili ai flussi di coscienza dell'Ulisse di Joyce, da frasi lunghissime di cui si perde il filo, da intermezzi fuori luogo come stralci di articoli di giornale e testi di un fantomatico scrittore chiamato Morelli che secondo alcuni rappresenterebbe l'autore, Julio Cortàzar.
Eppure le recensioni di Rayuela, sia dei critici che dei lettori, sono un profluvio di lodi. Rayuela è "geniale", la seconda lettura è fitta di "sottotesti e sottotesti dei sottotesti", il romanzo è un compendio di conoscenze. Ora, per carità, Cortàzar ha sicuramente una cultura enciclopedica ed io ho colto solo una minima parte delle citazioni argute e delle metafore in cui il racconto è annegato. E' anche vero che rileggerlo aiuta a orientarsi meglio nel groviglio dell'intreccio e che forse servirebbe dedicargli molto più tempo e attenzione (di più?). Ma, al di là di tutto, mi chiedo se sono stata l'unica capra a non capirlo. Che ha provato un malessere, un senso di spaesamento, come se stessi facendo una gran fatica per niente. Come se mi trovassi davanti a uno sfoggio di bravura che però, a me, lasciava ben poco.
Detto così potrà sembrare avere una sua logica, ma io veramente ho fatto molta fatica a comprendere il senso del libro. E se alla seconda lettura l'inserimento di nuovi capitoli almeno chiarisce alcune situazioni che all'inizio sono solo abbozzate, la sensazione è comunque quella di trovarsi su una trottola che gira o in un labirinto senza uscita, disorientati da riflessioni simili ai flussi di coscienza dell'Ulisse di Joyce, da frasi lunghissime di cui si perde il filo, da intermezzi fuori luogo come stralci di articoli di giornale e testi di un fantomatico scrittore chiamato Morelli che secondo alcuni rappresenterebbe l'autore, Julio Cortàzar.
Eppure le recensioni di Rayuela, sia dei critici che dei lettori, sono un profluvio di lodi. Rayuela è "geniale", la seconda lettura è fitta di "sottotesti e sottotesti dei sottotesti", il romanzo è un compendio di conoscenze. Ora, per carità, Cortàzar ha sicuramente una cultura enciclopedica ed io ho colto solo una minima parte delle citazioni argute e delle metafore in cui il racconto è annegato. E' anche vero che rileggerlo aiuta a orientarsi meglio nel groviglio dell'intreccio e che forse servirebbe dedicargli molto più tempo e attenzione (di più?). Ma, al di là di tutto, mi chiedo se sono stata l'unica capra a non capirlo. Che ha provato un malessere, un senso di spaesamento, come se stessi facendo una gran fatica per niente. Come se mi trovassi davanti a uno sfoggio di bravura che però, a me, lasciava ben poco.
Rayuela, Il gioco del mondo, di Julio Cortàzar, Einaudi, traduzione di Irene Buonafalce
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